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"Quel giorno volavo col vento. Era una bella giornata. Ne abbiamo uccisi molti perché i miei simili mi hanno ascoltato e sono corsi sul dorso fluttuante. I quattro-gambe sono rimasti sorpresi perché il respiro era finito. Sul fluttuante eravamo ancora in pochi, stanchi e affamati, ma nel nostro sangue c’era ancora la rabbia, eravamo capaci di agire assieme.

"Era un giorno per i più grandi canti. I miei simili seguivano me, me!, facevano quello che io dicevo loro; e in cuor mio io sapevo che i quattro-gambe sarebbero scomparsi ben presto dal volto di Gea. Quella era solo una scaramuccia della nuova guerra.

"Poi ho visto Agosto, e in me si è spenta ogni intelligenza. Volevo ucciderla, volevo volare lontano da lei, volevo abbracciarla e piangere con lei. Me ne sono andata. Ora temo il respiro di Gea, perché un giorno mi costringerà a scendere e uccidere mia sorella, e allora morirò. Io sono Ariele la rapida, ma in me rimane ancora qualcosa di Aprile Polo che non mi permetterebbe di sopravvivere."

Cirocco si sentì commossa, eppure eccitata. Aprile sembrava avere un ruolo importante fra gli angeli. Certo l’avrebbero ascoltata.

— Sono giunta sin qui per portarvi la pace — disse. — Non andartene, ti prego!

Aprile tremò, ma non si mosse. — La pace è impossibile.

— Non posso crederlo. Molti titanidi hanno il cuore ferito, come te.

Aprile scosse la testa. — L’agnello tratta col leone, oppure l’insetto col pipistrello, o il verme con l’uccello?

— Ma tu stai parlando di prede e predatori!

— Siamo nemici naturali. Sta scritto nei nostri geni che dobbiamo uccidere i quattro-gambe. Io riesco… la parte di me che è Aprile riesce a capire quello che tu pensi. La pace non sarebbe impossibile. Dobbiamo superare distanze enormi solo per attaccare battaglia. Molti di noi non riescono a tornare indietro. Il volo è terribile, e cadiamo in mare.

Cirocco scosse la testa. — Sto pensando che se riuscissi ad aprire un negoziato…

— Ti ripeto che è impossibile. Noi siamo aquile. Non potremmo mai condurre una vita sociale, e tanto meno parlare coi quattro-gambe. Esistono altri clan. Alcuni sono socievoli, ma non vivono in questo raggio. Forse con loro la tua missione potrebbe incontrare successo, ma ne dubito.

Restarono a lungo in silenzio: Cirocco sentiva il peso della sconfitta. Poi Gaby mise una mano sulla spalla di Cirocco.

— Cosa ne pensi? Dice la verità?

— Temo di sì. È proprio come mi raccontava Maestrocantore, una cosa incontrollabile. — Cirocco alzò di nuovo gli occhi su Aprile. — Mi hai detto che hai tentato di vedere Gea. Perché?

— Per ottenere la pace. Volevo chiederle perché debba esistere guerra. Mi sentivo quasi felice, se non fosse stato per la guerra. Però lei non ha ascoltato il mio richiamo.

"Ma forse Gea non esiste", pensò Cirocco.

— Salirete fino a lei? — chiese Aprile.

— Non so. A cosa potrebbe servire? Credi che questo essere sovrumano metterebbe fine alla guerra solo perché glielo chiedo io?

— Una missione non è poi l’ultima delle cose. Se tornaste indietro, cosa fareste?

— Non so nemmeno questo.

— Avete fatto molta strada. Dovete aver superato difficoltà enormi. I miei simili dicono che a Gea piacciono le storie ben raccontate, e gli eroi. Tu sei un eroe?

Cirocco pensò a Gene che precipitava nelle tenebre, a Flauto che correva incontro alla morte, al pesce che si lanciava verso di lei. Un eroe avrebbe fatto molto meglio.

— Certo che è un eroe — disse improvvisamente Gaby. — Fra tutti noi, solo Rocky ha tenuto fede a uno scopo. Non ci saremmo mossi di un passo, se non ci avesse spinti lei. Ci ha sempre guidati verso un obiettivo. Può darsi che non lo raggiungeremo mai, ma continueremo a provare e riprovare, stanne certa.

Cirocco si sentì imbarazzata, ma stranamente commossa. Da mesi, da che il Ringmaster era andato distrutto, pensava di essere una fallita; e l’opinione di Gaby non poteva certo dispiacerle. Però non credeva proprio di essere un’eroina. Non sapeva nemmeno cosa bisognava fare.

— Credo che Gea resterà impressionata — disse Aprile. — Vai da lei. Mettiti nel mozzo e urla. Non chiedere, non implorare. Dille che hai diritto a una risposta, per tutti noi. Ti ascolterà.

— Vieni con noi, Aprile.

La donna-angelo si ritrasse. — Il mio nome è Ariele la rapida. Non vado con nessuno, e nessuno viene con me. Non ci rivedremo mai più. — Volò via, e Cirocco capì che avrebbe tenuto fede alla promessa.

Guardò Gaby, che sollevò gli occhi verso l’alto.

— Continuiamo a salire?

— E perché no? Qualche domanda vorrei proprio fargliela.

23

— Cerca di capirmi. Non sono un eroe.

— D’accordo, eroina.

Cirocco rise. Era l’ultimo giorno del loro quattordicesimo inverno. Si trovavano nel raggio da otto mesi. Al mozzo mancavano solo dieci chilometri. Appena passato il disgelo, non avrebbero avuto la minima difficoltà a concludere la salita.

— Nemmeno. Se qui c’è un’eroina, sei tu.

Gaby fece segno di no.

— Io ti ho solo aiutata. Certo, se non ci fossi stata io per te sarebbe stato molto più difficile.

Cirocco le strinse la mano.

— Ma non ho fatto altro che seguirti. Ti ho tolto da qualche guaio, però non possiedo la statura dell’eroe. Un eroe non avrebbe mai cercato di buttare Gene giù dal cavo senza paracadute. Tu saresti arrivata fin qui anche da sola. Io no.

Per un po’ restarono in silenzio, perse nei loro pensieri.

Cirocco non era sicura che quello che diceva Gaby fosse vero. In parte sì, anche se non l’avrebbe mai ammesso. Però sapeva che Gaby non sarebbe riuscita a guidare lei fino a quel punto, perché non aveva la stoffa del capo.

"E io ho questa stoffa?" si chiese. Per lo meno aveva tentato con tutte le sue forze; ma sarebbe riuscita da sola? Ne dubitava.

— È stato divertente, no? — chiese Gaby, piano.

Cirocco restò sorpresa. Era possibile definire divertimenti otto mesi di sforzi continui?

— Forse non è proprio il termine che userei io.

— No, hai ragione. Però mi capisci, vero?

E, stranamente, capiva. Finalmente riusciva a capire la depressione che la tormentava da qualche settimana: entro poco tempo il loro viaggio sarebbe finito. Avrebbero scoperto un mezzo per tornare sulla Terra, oppure sarebbero rimaste lì per sempre.

— Non voglio tornare sulla Terra — disse Cirocco.

— Nemmeno io.

— Però non possiamo tornare indietro.

— Anche questo è vero. Tu sai cos’è meglio.

— Scusami, sto diventando stupida. Dobbiamo proseguire. Per Aprile, per Gene, per tutti noi. Dobbiamo scoprire cosa ci hanno fatto, e perché.

— Prendi le spade, per favore.

— Ti aspetti guai?

— Le spade non servirebbero a niente, in questa situazione. Però averne una in mano mi darebbe coraggio. Io sono un eroe, giusto?

Gaby non discusse. Tirò fuori dal sacco le spade a lama corta, ne lanciò una a Cirocco.

Si trovavano quasi al termine di quella che doveva essere l’ultima scalinata. Come quella che avevano superato alla base del raggio, girava a spirale attorno al cavo. Il cavo era riemerso all’improvviso da una zona in salita che segnava il confine tra la foresta e la valvola superiore. Per superare quel punto avevano impiegato due giorni, a forza di mani, piedi e corde.

Non avevano più olio, per cui avevano risalito la scalinata al buio, un gradino per volta. Non era successo niente. Poi Cirocco aveva visto, davanti a loro, una luce rossastra, debole, e le era venuta voglia di stringere in mano una spada. Una buona arma, anche se l’impugnatura era troppo corta. In quella gravità non pesava quasi niente. Cirocco accese un fiammifero, sfiorò la figura di un titanide scolpita sul dorso della lama.