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— Sarebbe meglio vedere che dentatura ha. Ci darebbe qualche utile informazione.

— Forse la cosa migliore è catturarlo — disse Gaby. Con un sospiro, si incamminò verso l’animale prima che Cirocco potesse fermarla.

— Gaby, fermati — sussurrò Cirocco, cercando di non mettere in allarme l’animale. In quel momento s’accorse che Gaby aveva in mano una pietra.

La creatura alzò di nuovo la testa. Il suo muso sarebbe sembrato molto buffo, in altre circostanze. La testa era rotonda, senza orecchie e senza naso; gli occhi erano dolci, enormi. In quanto alla bocca, sembrava che stesse suonando un’armonica; era larga il doppio della testa, persa in un sorriso folle.

Con uno scatto delle quattro zampe posteriori, si alzò in aria di tre metri. Gaby, sbalordita, cadde a sedere per terra. Cirocco la raggiunge, cercò di toglierle di mano la pietra.

— Andiamo, Gaby. Non ne abbiamo un bisogno così disperato.

— Stai calma — rispose Gaby a denti stretti. — Lo sto facendo anche per te. — Si liberò dalla stretta di Cirocco e corse avanti.

Con altri due salti, l’animale si era spostato di una ventina di metri. Ora, brucava tranquillamente l’erba a testa bassa.

Alzò placidamente gli occhi quando Gaby si fermò a due metri da lui. Non doveva avere paura. Si rimise a brucare.

Gaby esitò solo un attimo. Balzò sull’animale, alzò il braccio, lo colpì alla testa con la pietra e si tirò indietro.

La bestia tossì, rabbrividì, cadde di fianco, restò immobile. Non successe più niente.

Gaby gli si avvicinò, lo scosse con un piede. Non successe nulla, così lei gli si inginocchiò accanto. Non era più grande di un daino. Cirocco si sentiva vagamente disgustata, Gaby era senza fiato.

— Pensi che sia morto?

— Direi di sì. Però dovremo accertarcene.

— Per me va bene.

Gaby si passò una mano sulla fronte, poi colpì di nuovo la testa della creatura con la pietra, finché non ne uscì un sangue rosso. Cirocco rabbrividì. Gaby si pulì le mani sulle cosce.

— Se vai a prendere un po’ di quei pezzi di legna, dovrei riuscire ad accendere un fuoco.

— E come farai?

— Non ti preoccupare. Portami la legna.

Cirocco si riempì di legna le braccia. Poi, improvvisamente, si fermò a chiedersi da quando paby aveva cominciato a dare ordini.

— Be’, in teoria doveva funzionare — disse Gaby, depressa.

Cirocco diede un altro morso a quella carne che non voleva staccarsi dall’osso.

Gaby si era data da fare per un’ora intera con un pezzo della sua tuta e con quella che sperava fosse una pietra focaia. Avevano tutti gli ingrendienti indispensabili per il fuoco; ma la scintilla non scoccava.

In quell’ora, Cirocco aveva cambiato idea. Prima ancora che Gaby interrompesse i tentativi per accendere il fuoco, aveva capito di essere disposta a mangiare la carne cruda, e più che volentieri.

— Questo animale non aveva predatori — disse Cirocco a bocca piena. La carne era meglio di quanto si aspettasse, ma un po’ di sale non avrebbe guastato.

— Sembrava proprio di no — convenne Gaby. S’accoccolò dall’altro lato della carcassa e lasciò vagare lo sguardo oltre la spalla di Cirocco. Anche lei stava guardando nella stessa direzione.

— Forse non esistono predatori abbastanza grandi da darci preoccupazioni.

Il pranzo richiese un sacco di tempo perché non era facile masticare la carne cruda. Così, studiarono la carcassa dell’animale. Sembrava molto normale agli occhi poco addestrati di Cirocco. Chissà cosa ne avrebbe pensato Calvin. Carne, epidermide, ossa e pelo avevano colore e consistenza normali, e neppure il sapore era insolito. C’erano organi che Cirocco non riuscì a identificare.

— La pelle dovrebbe servire a qualcosa — disse Gaby. — Potremmo usarla per farci dei vestiti.

Cirocco arricciò il naso. — Usala pure tu, se vuoi. Tra un po’ puzzerà. E poi, qui fa caldo.

Presero un osso della gamba da usare come arma. Cirocco spolpò la carcassa di una buona porzione di carne. Gaby si costruì una cintura con la pelle dell’animale e vi appese i resti della sua tuta. Poi ripresero a camminare.

Videro altre creature simili a quella che avevano uccisa, sole o in gruppi di tre o sei. C’erano altri animali che salivano su e giù per i tronchi degli alberi a una velocità tale che era quasi impossibile vederli, e altri ancora che se ne stavano fermi ai margini del corso d’acqua. Tutti si lasciavano avvicinare facilmente. Esaminarono gli animali degli alberi, scoprirono che sembravano senza testa. Erano sfere blu di pelo corto, con sei zampe che spuntavano qua e là, e riuscivano a correre in tutte le direzioni. La bocca si trovava sotto il corpo, al centro di una miriade di zampe.

Il paesaggio cominciò a cambiare. C’erano sempre più animali, e altri tipi di piante. Il fogliame rendeva verdastra la luce. Centomila passi equivalevano a una giornata di ventiquattro ore. Sfortunatamente, persero subito il conto.

I tipi d’albero divennero centinaia, e fra loro si stendevano cespugli, piante rampicanti, vegetali parassiti. Le uniche due costanti erano date dal torrente, e dagli alberi di Temi. Ognuno di essi avrebbe meritato una targa e di essere inserito nel giro turistico del Parco nazionale delle sequoie.

Svanì anche il silenzio che aveva accompagnato il primo giorno del loro viaggio: adesso la foresta gemeva, urlava, abbaiava. E la carne era sempre migliore.

Mangiavano appoggiate al tronco di un albero troppo caldo, con la corteccia morbida e radici che creavano nel terreno rigonfiamenti più alti d’una casa. Le foglie si perdevano contro il cielo.

— Mi sa che c’è più vita su questi alberi che al suolo — disse Cirocco.

— Guarda lì — disse Gaby. — Qualcuno ha intrecciato quei rampicanti. Sgocciolano acqua.

— Già. E come faremo a riconoscere una forma di vita intelligente, se ci fosse? Vedi, all’inizio io volevo impedirti di uccidere quell’animale proprio per questo motivo. Ormai sappiamo che sono inoffensivi. Perché non proviamo a parlare con loro?

— Ma sono stupidi, non hanno nemmeno il cervello di una mucca. L’hai visto coi tuoi occhi. Comunque hai ragione. Sarebbe davvero orribile mangiare una creatura che sa parlare. Ehi, che cos’era?

D’improvviso, tutti i rumori erano scomparsi. Solo il rumore dell’acqua e i sibili delle foglie rompevano il silenzio. Poi, in un crescendo così impercettibile da durare minuti, nacque il grande gemito.

Dio potrebbe gemere a quel modo, se avesse perso tutto quello che ama e se possedesse una gola come la canna di un organo lunga chilometri. Il gemito continuò a crescere su un’unica nota, senza uscire dalla soglia più bassa dell’udito umano. Ma lo si sentiva nelle viscere, dietro gli occhi.

Sembrava già che riempisse l’universo, eppure continuava a crescere. Sembrava che violoncelli e bassi elettrici si fossero uniti al gemito. Al di sopra di quel complesso tessuto musicale c’erano sibili supersonici. Il tutto divenne sempre più forte, anche se sembrava impossibile che potesse succedere.

Cirocco pensò che le stesse esplodendo il cranio. Era a malapena consapevole del fatto che Gaby la stringeva a sé. Vennero sommerse da un mucchio di foglie morte che cadevano dall’alto, poi ci fu una pioggia di piccoli animali che correvano via da tutte le parti. Anche il suolo si mise a urlare, come se il pianeta volesse spezzarsi in due.

Sopra di loro ci fu uno schianto. Un vento improvviso raggiunse la foresta, si portò via un gigantesco ramo. Gli alberi urlavano, gemevano, protestavano.

La violenza della natura raggiunse un certo livello e lì si stabilizzò. I venti dovevano avere una velocità di sessanta chilometri orari. Più in alto, doveva essere ancora peggio. Le due ragazze erano rannicchiate dietro le radici degli alberi e osservavano la tempesta tutt’attorno a loro. Cirocco dovette urlare per farsi sentire sotto quell’immane brontolio.