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Poi raggiunsero un secondo strato della parete, durissimo. Era impossibile scavarlo.

— Be’, era un’idea — disse Gaby, abbandonando le mani lungo i fianchi. Fissò, disgustata, la neve che era caduta tutt’attorno a loro per effetto delle vibrazioni. Poi inclinò la testa e guardò in alto, nel buio. Indietreggiò di un passo, afferrandosi al braccio di Cirocco per non cadere rovinosamente sul ghiaccio.

— Lì c’è un punto più scuro — disse, puntando l’indice. — Dieci… no, quindici metri sopra di noi, un po’ sulla destra. Lo vedi?

Cirocco non era sicura. Vedeva diversi punti scuri, ma nessuno le dava l’impressione di essere una caverna.

— Vado a dare un’occhiata.

— Vado io. Tu hai lavorato come una matta.

Gaby scosse la testa. — Io sono più leggera.

Cirocco non fece discussioni. Gaby cominciò a piantare chiodi nella parete, più in alto che poteva. Poi vi passava la corda e si arrampicava di nuovo più in alto che poteva per piantare un secondo chiodo. Quando si sentiva sicura toglieva il primo e lo piantava ancora più su.

Impiegò un’ora per raggiungere il punto più scuro. Sotto, Cirocco rabbrividiva, batteva i piedi, scagliava via i pezzetti di ghiaccio che Gaby faceva cadere. Poi le precipitò sulle spalle un mucchio di neve, e lei cadde sulle ginocchia.

— Scusa! — urlò Gaby. — Comunque ho trovato qualcosa. Tolgo un po’ di ghiaccio e ti faccio salire.

L’apertura era grande abbastanza da permettere a Cirocco di passare, specie dopo che Gaby ebbe piccozzato via buona parte del ghiaccio. Dentro, era una bolla cava con un diametro di un metro e mezzo circa e un’altezza leggermente inferiore. Quando furono entrate tutte e due coi rispettivi sacchi, non c’era quasi più spazio libero.

— Intimo, eh? — disse Gaby, allontanando il gomito di Cirocco dal proprio collo.

— Scusa. Scusa davvero. Gaby, il mio piede!

— Scusa tu. Ehi, ma sei enorme!

La schiena di Cirocco era praticamente appoggiata al soffitto della bolla, e le sue ginocchia tese in avanti costringevano Gaby a indietreggiare. Cirocco scoppiò in una improvvisa risata.

— Cos’hai da ridere adesso?

— Hai mai visto quelle vecchie comiche di Stanlio e Ollio? — chiese, schiamazzando. — Ce n’è una dove sono tutti e due in vestaglia e cercano di infilarsi in una cuccetta ferroviaria assieme.

Gaby la guardò sorridendo, ma ovviamente non sapeva di cosa l’altra stesse parlando.

— Una cuccetta in alto, capisci, su un treno che attraversava tutto il paese. Mi sembra che dovessero sistemare anche un paio di valigie con loro. Comunque, come ci sistemiamo qui?

Tolsero dal pavimento tutta la neve, poi ammassarono i sacchi davanti al foro, per chiuderlo. Si trovarono al buio, però almeno non sentivano più l’ululato del vento. Dopo i venti minuti di tentativi inutili, decisero di sedersi fianco a fianco. Cirocco non riusciva quasi a muoversi, ma il caldo, lì dentro, era meraviglioso.

— Credi che si possa dormire? — chiese Gaby.

— Io penso proprio di riuscirci. — Cirocco esitò un attimo, poi si chinò a baciarla. — Buonanotte, Gaby.

— Ti amo, Rocky.

— Dormi. — Lo disse sorridendo.

Quando si svegliò, Cirocco aveva la fronte e i vestiti inzuppati di sudore. Alzò la testa e scoprì che riusciva a vederci. Chiedendosi se il tempo fosse cambiato, spostò il suo sacco, e vide che l’ingresso della caverna si era chiuso.

Per un attimo pensò di svegliare Gaby, poi cambiò idea.

— Cerchiamo prima come uscire da qui — mormorò a se stessa. Non aveva senso dire a Gaby che erano state di nuovo inghiottite vive prima di aver controllato se era vero o meno. Gaby non avrebbe preso bene la notizia: il pensiero di essere confinata in uno spazio così stretto, che era già di per sé spaventoso, sarebbe stato ancora più tremendo pensando al panico che avrebbe assalito Gaby.

Con sollievo scoprì che non c’era alcun motivo d’allarmarsi. Tastando la parete con la mano, scoprì che il foro nella materia grigia si riapriva da solo. Dietro c’era uno strato di ghiaccio. Cirocco colpì il ghiaccio con un pugno e la crosta si ruppe, lasciando entrare una folata di aria gelida. Si affrettò a chiudere il foro col suo sacco.

Lo tolse dopo qualche minuto: la parete si era già richiusa, lasciando solo un foro di pochi centimetri.

Cirocco studiò attentamente il foro, riflettendo. Quando le parve di aver capito svegliò Gaby.

— Sveglia. C’è un altro contrordine.

— Eh? — Gaby aprì subito gli occhi. — Accidenti, ma questo è un forno!

— Appunto. Dovremo toglierci qualche vestito. Vuoi fare prima tu?

— Comincia pure. Cercherò di non intralciarti troppo.

— Okay. Sai perché fa così caldo? Ci hai pensato?

— Mi sono appena svegliata, Rocky. Abbi pazienza.

— D’accordo. Te lo spiegherò io. Tocca la parete. — Riuscì, con movimenti complicatissimi, a togliersi la giacca a vento, mentre Gaby faceva la stessa scoperta che lei aveva già fatto.

— È calda.

— Già. Ci ho messo un po’ a capire. All’inizio pensavo che gli alberi non fossero stati previsti dai costruttori, come gli alberi sul cavo; però non potrebbero crescere se non fosse la parete a nutrirli, mi sembra ovvio. Ho cercato di capire che tipo di macchina potrebbe nutrirli, e ho concluso che può essere solo una macchina a biochimica naturale. Un animale, o una pianta, possibilmente con una genetica creata appositamente. E mi pare alquanto difficile credere che una cosa del genere abbia potuto svilupparsi in un tempo ragionevole. Perché, capisci, è alto trecento chilometri, con un foro nel mezzo, e ricopre la vera parete.

— E gli alberi sarebbero parassiti? — Gaby la stava prendendo meglio di quanto non si aspettasse.

— Solo nel senso che traggono nutrimento da un altro animale. Però non sono veri parassiti, perché tutto è stato predisposto. I costruttori hanno creato questo animale come habitat per gli alberi, e a loro volta gli alberi forniscono un habitat ad altri animali più piccoli, e probabilmente agli angeli.

Gaby diede un’occhiata tranquilla a Cirocco.

— Un po’ come gli enormi animali che secondo noi vivono giù, sotto il suolo — disse.

— Sì, qualcosa del genere. — Gaby non mostrava il minimo accenno di panico, pensò. — L’idea non… non ti preoccupa?

— Stai pensando alle mie fobie?

Cirocco tese una mano, tolse il sacco, toccò la parete ghiacciata, che si aprì e poi ricominciò a chiudersi.

— Vedi? Si chiude, ma basta toccarla e si riapre. Non siamo intrappolate, e questo non è uno stomaco o roba…

Gaby le sfiorò la mano, le sorrise debolmente. — Grazie per queste attenzioni.

— Non voglio metterti in imbarazzo. Vorrei solo…

— Hai fatto bene. Se me ne fossi accorta io per prima, probabilmente starei ancora urlando. Però, fondamentalmente, non sono claustrofobica. Ho solo una paura terribile di essere mangiata viva. Comunque vorrei una risposta convincente da te. Se questo non è uno stomaco, cos’è?

— Non esistono paragoni con nessuna creatura che io conosca. — Ormai Cirocco si era quasi spogliata del tutto, e decise di fermarsi lì. Cominciò a svestirsi anche Gaby, mentre Cirocco cercava di farsi più piccola che poteva. — È un rifugio. Serve precisamente a ripararsi dal freddo, come stiamo facendo noi. Ci scommetto che gli angeli vivono in caverne del genere, e forse anche altri animali. Chi lo sa. Forse i loro escrementi servono da fertilizzante.

— A proposito di fertilizzanti…

— Già, anch’io ho lo stesso problema. Dovremo usare un contenitore per cibo vuoto o qualcosa del genere.