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— La sai una cosa? — disse, stordita. — Se qualcuno venisse a raccontarmi che il Ringmaster non ha mai lasciato l’orbita della Terra, che tutta questa storia è stata messa in piedi da qualche sceneggiatore di Hollywood, non batterei ciglio.

— Una reazione perfettamente naturale — convenne Gea.

Girava nella stanza, versava un bicchiere di vino per Gaby e un doppio scotch con ghiaccio per Cirocco, raddrizzava i quadri, spolverava i tavoli con l’orlo del vestito.

Gea era piccola e tozza, con una forma che ricordava un barilotto. La sua pelle era sciupata e scura. Il naso sembrava una patata. Ma i suoi occhi e la sua bocca sensuale avevano un’espressione sorridente.

Cirocco cercò di capire chi le ricordasse quella faccia, soprattutto per risparmiarsi la fatica di pensare. W.C. Fields? No, a parte il naso. Ecco, sì: Gea era identica a Charles Laughton in La vita privata di Enrico VIII.

Gaby e Cirocco sedevano alle due estremità di un divanetto. Gea mise un bicchiere sui tavolini che avevano vicino, poi andò a sistemarsi su una poltrona dallo schienale alto. Ansimò un attimo, poi intrecciò le dita in grembo.

— Chiedetemi quello che volete — disse, protendendosi in avanti. Cirocco e Gaby si fissarono, poi guardarono Gea. Ci fu un breve silenzio.

— Parli inglese — disse Cirocco.

— Questa non è una domanda.

— Come fai a parlare inglese? Dove l’hai imparato?

— Guardo la televisione.

Cirocco aveva in mente una domanda, ma esitava a farla. E se quella donna fosse stata solo l’ultima sopravvissuta dei costruttori di Gea? Non avevano trovato nessuna prova a favore del fatto che Gea fosse davvero un organismo unico, come aveva detto Aprile; però era possibile che quella persona credesse di essere una dea.

— E tutta… tutta quella scena qui fuori? — chiese Gaby.

Gea agitò vagamente una mano.

— Solo giochi di specchi, mia cara. Trucchetti. — La sua faccia assunse un’espressione quasi di vergogna. — Volevo spaventarvi, nel caso non foste veri eroi. Ho fatto del mio meglio. Poi ho pensato che a questo punto era il caso di venire a discutere qui. Un ambiente comodo, cibi e bevande… Volete mangiare qualcosa? Un caffè? Un po’ di cocaina?

— No, io… Hai detto caffè? Cocaina?

Le prudeva ancora un poco il naso, ma Cirocco si sentiva più attenta e meno impaurita che mai. Puntò gli occhi in quelli della creatura che si chiamava Gea.

— Specchi, hai detto. Allora tu dove sei?

Il sorriso di Gea si allargò.

— Al nocciolo della questione, eh? Bene. Mi piacciono le maniere spicce. — Si leccò le labbra, parve meditare sulla domanda. — Vuoi sapere cos’è questo, o cosa sono io? — Appoggiò le mani appena sopra i suoi seni enormi senza aspettare la risposta. — Io sono tre tipi di vita. C’è il mio corpo, che è l’ambiente in cui voi avete vissuto. Poi ci sono le mie creature, come i titanidi, che appartengono a me ma non sono controllate da me. E poi ci sono i miei strumenti, separati da me, ma parte di me. Posseggo alcuni poteri mentali, che tra parentesi mi sono serviti per creare le illusioni che avete visto poco fa. Diciamo che si tratta di ipnotismo e telepatia, anche se non è esatto. Sono capace di costruire creature che sono estensioni della mia volontà. Questa che vedete ha ottant’anni, ed è l’unica del suo genere. Ne ho anche altri tipi. Sono state queste creature a costruire la stanza e la scalinata esterna, da idee che ho rubato ai vostri film. Io vado pazza per il cinema, quindi capisco…

— Sì, ma per tornare…

— Lo so, lo so. Tendo a divagare. Purtroppo è una necessità, capisci. Devo parlare così. Prima, quando ho detto io ti sento, stavo usando la valvola superiore di Oceano per laringe, e ho pompato aria giù dal raggio. Il tempo ne risente: quelle tre parole hanno coperto di neve Iperione… Ma siccome vi lascio vedere questo corpo, voi vorreste credere che io sono una vecchia un po’ matta, tutta sola quassù.

Fissò intensamente Cirocco.

— Tu lo pensi ancora, vero?

— Non… Non so cosa pensare. Se anche ti credessi, ancora non so cosa sei.

— Sono un Titano. E tu vuoi sapere cos’è un Titano. — Si appoggiò all’indietro sulla poltrona, e il suo sguardo si perse nel vuoto

— Quello che io sono realmente si perde ormai nel passato. Noi siamo una razza antica, questo è chiaro. Siamo state costruite, non ci siamo evolute da sole. Viviamo tre milioni di anni ed esistiamo da più di un migliaio delle nostre generazioni. In questo periodo di tempo siamo cambiate, anche se non attraverso i processi evolutivi che voi conoscete.

"Gran parte della nostra storia si è persa. Non sappiamo quale razza ci abbia costruite, né per quale scopo. Basti dire che i nostri costruttori lavoravano bene. Loro sono scomparsi, ma noi esistiamo ancora. Forse i loro discendenti vivono dentro di me, ma se così fosse hanno dimenticato la loro grandezza. Io ascolto i messaggi delle mie sorelle sparse in questa galassia, e nessuna di loro parla dei costruttori."

Chiuse gli occhi per un attimo, poi li riaprì e aspettò.

— Hai tralasciato un sacco di particolari — disse Cirocco. — Come hai fatto ad arrivare qui? Perché sei un essere unico? Se ascolti la radio, lanci anche messaggi? Se sì, perché non ti sei messa in contatto con la Terra? Se…

Gea alzò una mano e rise.

— Una domanda per volta, te ne prego. Tu dai troppe cose per scontate. Cosa ti fa credere che io sia "arrivata" qui? Sono nata in questo sistema, esattamente come te. In questo momento, su Giapeto, mia figlia sta raggiungendo la maturità. Attorno a Urano c’è una famiglia di Titani. Formano gli anelli invisibili. Sono tutte più piccole di me. Io sono la più grande in questa zona dello spazio.

— Giapeto? — disse Gaby. — Uno dei motivi per cui noi…

— Stai tranquilla. Ti spiegherò io, e vi risparmierò un viaggio. Noi non possiamo viaggiare fra le stelle. Possiamo eseguire solo correzioni orbitali minime. Io lancio le mie uova dall’orlo esterno, dove posseggono già una velocità rispettabile a causa della mia rotazione. Cerco di mirare il meglio possibile, ma colpire il bersaglio su queste distanze è problematico, e dopo il lancio è impossibile controllare il volo delle uova.

"Quando cadono su un mondo adatto… Giapeto è perfetto: niente atmosfera, roccioso, illuminato dal Sole, né troppo piccolo né troppo grande… mettono radici. Dopo cinquantamila anni il Titano è pronto a nascere. In quello stadio ha ricoperto un intero emisfero del corpo ospite. È questo l’aspetto che Giapeto aveva settantacinque anni fa; uno dei suoi lati era molto più luminoso dell’altro.

"Poi il Titano si contrae fino a diventare una linea sottile che circonda il mondo da polo a polo. È così che ora appare Giapeto. Mia figlia si è spinta fino al nucleo del pianeta per trovare gli elementi che le servono. Temo che ormai Giapeto sia alquanto impoverito; mia nonna, e sua madre prima di lei, hanno usato a loro volta quella luna.

"Mia figlia sta sintetizzando i carburanti che le saranno necessari per allontanarsi da Giapeto, il che dovrebbe succedere fra cinque o sei anni. Quando sarà pronta, e non un solo giorno prima, perché una volta nata conterrà già tutta la sua massa definitiva, si lancerà nello spazio. È probabile che Giapeto andrà in pezzi, come il mondo che ha formato gli anelli. Poi…"

— Stai dicendo che sono stati i Titani a far formare gli anelli? — chiese Gaby.

— Non l’ho spiegato chiaramente? — Gea parve un po’ irritata, ma il racconto la riassorbì subito. — È successo molto tempo fa, e io non ho nessuna responsabilità. A ogni modo, una volta libera mia figlia assumerà la stessa rotazione che ho io. La parte di lei che diventerà il mozzo in questo momento tocca la superficie di Giapeto. Nello spazio si contrarrà, proiettando in fuori i raggi. Mia figlia aumenterà l’accelerazione, si stabilizzerà, si riempirà d’aria, comincerà a muovere dentro di sé le montagne per prepararsi alle creature che… Insomma, avete capito. Quando parlo di mia figlia vado per le lunghe, come ogni genitore, immagino.