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Il desiderio di lei gli ritornò, lo stordì. La girò, la piegò, la penetrò. Sentì le sue caviglie contro le gambe, si sentì stringere, serrare con reale passione. Ondeggiarono, salirono, veleggiarono insieme.

Infine, ridiscesi entrambi al plateau, lei disse: — Sono proprio stata una donnaccia…

— Come?

— La scenata di prima. Quando ti ho detto quel che dovevi avere per la testa.

— Scordatene, Lilith.

— Forse avevi ragione tu. Penso che fosse una proiezione dei miei timori. Forse mi sento in colpa perché sono l’amante di una persona umana. Forse voglio che tu pensi a me come a un manichino di gomma. Da qualche parte, dentro di me, devo vedermi così.

— No. No.

— Noi androidi non possiamo farne a meno. Lo mandi giù con l’aria che respiri. Mille volte al giorno siamo costretti a ricordare di non essere reali.

— Tu sei reale come tutti quelli che conosco, Lilith. Più reale di molti di loro. — Più reale di Clissa, pensò, ma non osò dirlo. — Lilith, non ti ho mai visto in questo stato. Cos’hai?

— La tua visita alla fabbrica — rispose lei. — Fino a oggi ero sicura che tu fossi diverso dagli altri. Che non avessi mai pensato, neppure per un momento, a come o a dove sono nata, o che ci fosse qualcosa di vergognoso in quel che c’è tra noi. Ma temevo che, dopo avere visto la fabbrica, dopo avere visto in dettaglio, clinicamente, tutto il processo, tu potessi cambiare. Poi, quando sei entrato, c’era qualcosa in te, qualcosa di gelido che non conoscevo… — Scosse le spalle. — Forse me lo sono immaginato. Sono certa di essermelo immaginato. Tu non sei come gli altri, Manuel. Tu sei un Krug; sei un re; non devi buttare giù gli altri per salire. Tu non dividi il mondo in uomini e androidi. Non lo hai mai fatto. E quella singola occhiata alle vasche non poteva cambiarti.

— Non poteva, certo — rispose lui, con la voce schietta che usava quando mentiva. — Gli androidi sono delle persone, e le persone sono delle persone, non ho mai pensato altrimenti e non lo penserò mai. E tu sei bellissima. E io ti amo molto. E chi crede che gli androidi siano una razza inferiore è un povero malato di mente.

— Sostieni la piena uguaglianza giuridica per gli androidi?

— Certo.

— Intendi dire androidi alfa, no? — chiese lei, maliziosamente.

— Io… ecco…

— Tutti gli androidi dovrebbero essere uguali agli esseri umani. Ma gli alfa dovrebbero essere più uguali degli altri.

— Vile! Mi prendi in giro…

— Prendo le difese delle prerogative degli alfa. Perché, un gruppo etnico oppresso non può stabilire distinzioni di classe nel proprio interno? Oh, ti amo, Manuel. Non prendermi sempre così sul serio.

— Non posso farne a meno. Sai, non sono intelligente come te, e non capisco mai se scherzi o no. — Le baciò la punta del seno. — Adesso devo andare.

— Ma sei appena arrivato!

— Mi dispiace moltissimo. Devo davvero andare.

— Sei arrivato in ritardo; abbiamo sprecato metà del tempo in quella discussione sciocca… rimani ancora un’ora con me, Manuel!

— Ho una moglie che mi aspetta in California — disse lui. — Ogni tanto, il mondo reale si fa sentire anche lui.

— E quando ci rivedremo?

— Presto. Presto. Presto.

— Dopodomani?

— Non credo. Ma presto, comunque. Ti chiamo io. — Si rivestì. Nella mente gli scoppiettavano quelle parole: Non sei come gli altri, Manuel… Non dividi il mondo in uomini e androidi. Era vero? Poteva essere vero? Le aveva mentito, chiaro: era marcio di pregiudizi e la visita a Duluth gli aveva spalancato nella mente una scatola di veleni. Ma forse avrebbe potuto superare queste cose con un atto di volontà. Si chiese se oggi non avesse trovato la vocazione che cercava. Che cosa avrebbero detto se il figlio di Simeon Krug avesse abbracciato la scottante causa dell’eguaglianza androide? Manuel il perdigiorno, l’ignavo, il playboy, trasformato in Manuel il crociato? Si baloccò con quel pensiero. Chissà. Era una buona occasione per togliersi il marchio della superficialità. Una causa, una causa, finalmente una causa! Chissà. Lilith lo accompagnò alla porta; si baciarono ancora, e la sua mano lo accarezzò; chiuse gli occhi. Ma, costernato, vide stagliarsi davanti a sé la sala delle vasche, e l’immagine di Nolan Bompensiero gli balenò nel cervello, spiegandogli affabilmente come s’insegnava agli androidi freschi di decantazione l’arte di controllare lo sfintere anale. Ferito, si sciolse dall’abbraccio di Lilith. — Presto — ripeté. — Ti chiamo io. — E uscì.

Ore 16 e 44. California. Uscendo dalla cabina trasmat, si trovò nell’atrio della propria casa, sulle lastre d’ardesia del pavimento. Il sole del pomeriggio stava quasi per affondare nel Pacifico. Tre androidi corsero subito da lui, portandogli un cambio d’abito, una tavoletta rinfrescante, un giornale. — Dov’è la signora Krug? — chiese. — Ancora addormentata?

— È alla spiaggia — lo informò un valletto beta.

Manuel si cambiò in fretta, prese il rinfrescante, scese alla marina. Clissa, a un centinaio di metri di distanza, diguazzava fra le onde. Tre uccelli dalle lunghe zampe le giravano intorno, e lei li chiamava, rideva, batteva le mani. La raggiunse senza essere visto. Al confronto con le forme voluttuose di Lilith, Clissa pareva malignamente immatura: cosce magre, fianchi piatti da adolescente, seno da dodicenne. Il triangolo nero alla base del ventre sembrava un’assurdità, una cosa fuori posto. Una bambina per moglie, pensò lui, e una donna di plastica per amante. — Clissa? — disse.

Lei si voltò. — Oh! Mi hai spaventato!

— Ti piace l’oceano? Ma l’acqua non è un po’ troppo fredda in questa stagione?

— No, per me non è mai troppo fredda, Manuel, lo sai. E tu, ti sei divertito alla fabbrica degli androidi?

— Era interessante — rispose lui. — Come ti senti? Meglio, mi pare.

— Meglio? Perché, stavo male?

Lui la fissò, sorpreso. — Stamane, alla torre. Tu eri… be’, un po’ scossa.

— Oh, quello! Non ci pensavo più. Dio, è stato terribile, no? Hai l’ora, Manuel?

— Le cinque meno dieci, minuto più minuto meno.

— Allora è meglio che cominci a prepararmi. Abbiamo quel ricevimento a Hong Kong.

Fu costretto ad ammirare l’abilità con cui Clissa riusciva a scrollarsi di dosso i traumi. Disse: — Adesso è ancora mattino, a Hong Kong. Non c’è fretta.

— Be’, allora perché non ti fai una nuotata con me? L’acqua non è fredda come credi. Oppure potremmo… — S’arrestò. — Non mi hai neppure abbracciato per salutarmi!

— Ciao — disse lui.

— Ciao. Ti amo.

— Ti amo — rispose. Baciarla era come baciare alabastro. Sentiva ancora sulle labbra il gusto di Lilith. Chi è la donna viva, appassionata, si chiese, e chi è la cosa fredda, artificiale? Nello stringere la moglie non provava nessuna sensazione. La lasciò. Lei gli prese il polso, lo tirò verso l’acqua: nuotarono un poco, e lui ne uscì raggelato, con i brividi. Al crepuscolo, presero un aperitivo nell’atrio. — Mi sembri così distante — gli disse lei. — È tutto quel viaggiare trasmat. Ti toglie le forze, anche se il dottore dice di no.