— Vai via — disse Siegfried Classificatore, con voce indistinta. — Vai via!
Thor scrollò le spalle. Provava un immenso senso di tristezza, si sentiva freddo e vuoto. Si allontanò dai due alfa, quello vivo e quella morta, avvolti nel bianco sempre più fitto, e si avviò a nord per cercare il luogo in cui era stata trasferita la cappella.
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E il primo che Krug generò fu Gamma, e Krug disse a lui: Ecco, tu sarai forte e robusto, e senza discutere eseguirai quanto ti sarà domandato, e sarai felice del tuo lavoro. E tanto Krug amò Gamma da farne molti altri, cosicché egli fu moltitudine.
E il secondo che Krug generò fu Beta, e Krug disse a lui: Ecco, tu sarai forte, ma insieme avrai l’intelligenza, e sarai molto utile al mondo, e le tue giornate saranno felici e buone. E tanto Krug amò Beta da risparmiargli i più gravi fardelli del corpo, e così pure i più gravi fardelli della mente, e la vita di Beta fu una luminosa giornata di primavera.
E l’ultimo che Krug generò fu Alfa, e Krug disse a lui: Ecco, il compito che ti spetterà non sarà leggero, perché nel corpo tu supererai i Figli del Ventre, e nella mente sarai uguale a loro, ed essi si appoggeranno a te come a un bastone robusto. E tanto Krug amò Alfa da fargli molti doni, cosicché egli si portò con orgoglio e fissò negli occhi senza paura i Figli del Ventre.
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— Buona sera, buona sera, buona sera! — disse l’inserviente alfa del salone di trasferimento di New Orleans, mentre Manuel Krug e i suoi compagni uscivano dal trasmat. — Signor Krug, signor Ssu-ma, signor Guilbert, signor Tennyson, signor Mishima, signor Foster. Buona sera, da questa parte, per favore. La vostra sala d’aspetto è pronta.
Il vestibolo del salone di New Orleans era una struttura fredda, a forma di tunnel, lunga un centinaio di metri: era divisa in otto salette chiuse, nelle quali gli aspiranti al trasferimento di personalità aspettavano che la rete statica fosse pronta ad accoglierli. Le salette, anche se piccole, erano abbastanza comode: poltroncine di plastica espansa, eleganti figurazioni a modulazione sensoriale che si rincorrevano sul soffitto, cubi musicali disponibili a comando, un buon assortimento di terminali olfattivi e visivi sulle pareti, e tutti gli altri servizi moderni. L’alfa li fece accomodare uno per poltroncina e disse: — Questa sera la calibrazione richiederà circa novanta minuti. Niente male, no?
— E non riuscite a fare più in fretta? — chiese Manuel.
— Oh, no. Purtroppo non è possibile. Ieri sera, non so se l’avete saputo, l’attesa media era di quattro ore. Ecco, signor Krug, permettetemi di collocare gli elettrodi in posizione… fatto, grazie. E anche questo. Ecco. E lo scansore di matrice… così, bene. Siete a posto. Ora voi, signore Ssu-ma, per favore?
L’androide continuò ad affaccendarsi su tutti gli occupanti della stanza, inserendoli. La preparazione richiedeva circa un minuto ciascuno. Quando quel lavoro fu terminato, l’alfa si ritirò. Dai sei uomini nella sala d’attesa, i dati richiesti presero a fluire al calcolatore. La rete statica rilevava il profilo della loro personalità, in modo da poter far fronte a un’improvvisa punta d’emozione mentre era in corso lo scambio di personalità.
Manuel si guardò intorno. Si sentiva teso per l’anticipazione, desideroso di iniziare il trasferimento. Le cinque persone che lo accompagnavano erano i suoi amici fedeli, i suoi più vecchi amici: li conosceva fin dall’infanzia. Qualcuno li aveva soprannominati “Gruppo dello Spettro”, una decina d’anni prima, quando per caso, presentandosi all’inaugurazione di un nuovo sensorium sottomarino, erano arrivati indossando costumi nelle diverse tonalità dello spettro visibile: Nick Ssu-ma in rosso, Will Mishima in violetto, e gli altri nei toni intermedi. Il soprannome era rimasto. Tutti erano molto ricchi, anche se nessuno, ovviamente, ricco come Manuel. Erano giovani ed energici. Tutti, salvo Cadge Foster e Jed Guilbert, erano sposati da pochi anni, ma il matrimonio non aveva interrotto il loro sodalizio. Manuel aveva diviso con loro il piacere del salone di trasferimento una decina di volte: l’attuale visita era già stata prenotata fin dal mese precedente.
— Queste attese sono insopportabili — disse Manuel. — Vorrei poter entrare nella rete statica nello stesso minuto in cui arrivo qui.
— Troppo pericoloso — disse Lloyd Tennyson. Era agile, alto: un ottimo atleta. Sulla sua fronte alta e spaziosa luccicavano tre specchietti.
— È proprio quello, l’interesse della cosa — replicò Manuel. — Il brivido del pericolo. Entrarci arditamente, in un attimo, rischiando tutto in un singolo grande gesto.
— E il valore inalienabile della vita umana? — chiese Will Mishima. Aveva gli occhi come due fessure, il volto bianco come gesso. — Non lo permetterebbero mai. Conoscono bene i rischi.
— Prendi uno degli ingegneri di tuo padre — propose Jed Guilbert, e fagli inventare una rete statica capace di calibrarsi istantaneamente. Eliminerebbe tanto il pericolo quanto l’attesa.
— Se si potesse farlo, l’avrebbero già fatto — osservò Tennyson.
— Potresti dare la mancia a un inserviente ed entrare senza attendere la calibrazione — propose maliziosamente Nick Ssu-ma.
— Già provato disse — Manuel. — Un alfa del salone di Pittsburg, tre anni fa. Gli ho offerto qualche mille, ma l’alfa si è limitato a sorridere. Ho raddoppiato l’offerta, e lui ha fatto un sorriso due volte più largo. I soldi non gli interessavano. Non ci avevo mai pensato, ma come si fa a corrompere un androide?
— Vero — disse Mishima. — Sì, si può comprare un androide… o si può comprare tutto un salone d’egoscambio, se è solo per quello… ma la corruzione è tutta un’altra faccenda. I motivi di un androide sono…
— Allora potrei comprare un salone — disse Manuel.
Jed Guilbert lo fissò interessato: — Davvero correresti il rischio di entrare nella rete senza attesa?
— Credo di sì.
— Anche se sai che in caso di sovraccarico o di errore di trasmissione potresti non ritornare più nella tua testa?
— Che probabilità ci sono?
— Non molte, ma ci sono — disse Guilbert. — Hai ancora un secolo e mezzo da vivere. Ti pare sensato rischiare…
— Sono d’accordo con Manuel — disse Cadge Foster. Era il più riservato del gruppo: era portato a rimanere taciturno, ma, quando parlava, parlava con convinzione. — Il rischio è una parte essenziale della vita. Abbiamo bisogno di rischiare. Rischiare noi stessi.
— In rischi inutili? — chiese Tennyson. — La qualità del trasferimento non aumenterebbe affatto, entrando senza calibrazione. La sola differenza sarebbe quella di eliminare il periodo di attesa. Mi pare sproporzionato. Rischiare un secolo per risparmiare un paio di ore? L’attesa mi da fastidio, ma non fino a quel punto.
— Potresti essere stanco della vita stessa — disse Nick Ssu-ma. — Potresti esserne talmente stanco da rischiare un secolo per un’ora, tanto per fare qualcosa di diverso. Non ti capita mai di desiderarlo? A me sì. Una volta c’era un gioco con la pistola a tamburo, un gioco chiamato… Roulette svedese?…
— Russa — lo corresse Lloyd Tennyson.
— Roulette russa, allora. Prendevano la pistola, che poteva contenere sei od otto cariche esplosive, e ne mettevano solo una…
Il nuovo indirizzo preso dalla conversazione non piaceva a Manuel. Interrompendo, chiese a Cadge Foster: — Che cos’è quell’affare che hai in mano?
— L’ho trovato in una nicchia sotto la poltrona. Dev’essere una specie di strumento di comunicazione. Ti dice delle frasi.
— Fa’ vedere.