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— Mi piaceva… — rispose lui, sperando che fosse l’osservazione giusta.

— Sì, ma ti ha eccitato?

— Credo di sì.

— Non si direbbe.

— E come lo sai?

— Si vedrebbe — gli rispose, e sorrise.

Si sentiva assurdo, impacciato, fuori posto; si sentiva escluso dalla propria identità, incapace di tornare a essere il Thor Guardiano che conosceva e che capiva, incapace perfino di ritrovarsi. Fin dall’inizio, fin quasi dal momento di lasciare la Vasca, egli si era sempre considerato più vecchio, più saggio, più competente, più sicuro di sé degli altri alfa: un uomo che conosceva il mondo e che sapeva il posto che gli spettava. E ora? In pochi minuti, Lilith l’aveva fatto diventare goffo, ingenuo, sciocco… e impotente.

Lilith portò la mano al suo inguine. — Visto che qui non s’è mosso niente — disse — è chiaro che non eri eccitato… — Si arrestò senza terminare la frase. — Oh. Sbagliavo. Capisci, adesso?

— È successo quando mi hai toccato.

— Non è niente di strano. Dunque ti piace, eh? Sì. — Muoveva le dita con abilità, e Thor fu costretto ad ammettere che si trattava di una sensazione interessante, e che quel brusco risveglio della sua virilità nelle mani di lei era un risultato ben peculiare. E tuttavia si manteneva sempre un po’ al di fuori di se stesso; una sorta di osservatore distaccato, lontano, privo di partecipazione: come se stesse ascoltando una conferenza sui costumi sessuali dei proteinoidi centauriani.

Ora lei lo sfiorava di nuovo, corpo contro corpo. Si muoveva da parte a parte, tremava e vibrava sopprimendo la tensione. Lui la strinse tra le braccia e passò ancora le mani sulla sua pelle.

Lei lo curvò verso il pavimento.

Ora le era sopra, appoggiati a terra, gomiti e ginocchi, per non gravarla di tutto il proprio peso. Le sue gambe lo circondavano; le sue cosce gli stringevano i fianchi. Lei spinse la mano tra i loro due corpi, lo afferrò, lo guidò nel proprio interno. Cominciò ad alzare e ad abbassare la pelvi; anche lui, dopo un istante per scoprire il ritmo del movimento, combinò le proprie spinte con quelle di lei.

Dunque, pensò, questo è l’atto sessuale.

Si chiedeva cosa provassero le donne a farsi spingere nel corpo una cosa come quella, lunga e rigida. Era chiaro che dovevano trarne piacere: Lilith ansava e tremava di qualcosa che doveva proprio essere quello. Ma gli sembrava ben strano, desiderarlo tanto. E spingersi in una donna era poi tanto emozionante? Tutto lì, l’atto che aveva ispirato poeti, fatto scoppiare duelli, spinto a rinunciare a troni?

— E come si fa, per sapere se è finito? — chiese dopo un po’.

Lei aprì gli occhi. Non si capiva se fosse collera o derisione. — Lo capisci da solo — rispose. — Sta’ zitto e continua a muoverti!

E lui continuò a muoversi.

Il moto dei fianchi di Lilith diveniva più violento. Il suo viso si tese, si distorse, si mutò quasi in una maschera orribile: una specie di tempesta interiore si stava scatenando dentro di lei. Muscoli discordanti si contraevano qua e là nel suo corpo. Lui si sentiva afferrato, nel loro punto d’unione, da intimi, vivaci spasmi.

E d’improvviso, anche lui provò uno spasmo, e smise di catalogare i vari effetti che la presente unione produceva in lei. Anche lui chiuse gli occhi. Lottò per il proprio respiro. Il cuore gli batté freneticamente; la pelle gli avvampò. La strinse forte, affondando il volto nel cavo tra la guancia e la spalla di lei. Una serie di scosse lo agitò.

Sì, Lilith aveva ragione: si capiva da soli quando era finito.

E come faceva in fretta, l’estasi, a scorrere via! Ora, la forte sensazione di qualche istante prima era un pallido ricordo. Si sentiva imbrogliato, come se, dopo avergli promesso un banchetto, gli avessero portato solamente le fotografie dei cibi. Tutto lì? Come acqua che scivola via dalla riva dopo la breve esplosione di un’onda? E sulla battigia, solo cenere. Non ti rimane niente, si diceva Thor Guardiano. È una truffa.

Si staccò da lei.

Lilith rimaneva immobile, con il capo leggermente reclino, gli occhi chiusi, la bocca aperta; era madida di sudore e pallida. Pareva, a Thor, di non avere mai visto bene quella donna prima di allora. Dopo un istante che l’ebbe lasciata, lei spalancò gli occhi. Si alzò su un gomito e gli sorrise. Quasi timidamente; chissà.

— Ciao — disse lei.

— Ciao. — Distolse lo sguardo.

— Come ti senti?

Thor alzò le spalle. Cercò le parole giuste ma non riuscì a trovarle. Rinunciandoci, disse: — Stanco, più che altro. È normale? Mi sento… svuotato.

— Normalissimo. C’è un vecchio proverbio latino: Post coitum omne animal triste. E tu sei un animale, Thor. Non dimenticarlo.

— Un animale stanco. — Cenere spenta sulla battigia. E l’acqua del mare molto bassa. — Ti è piaciuto, Lilith?

— Perché, non te ne sei accorto? — rispose. E poi: — No, non credo che te ne sia accorto. Mi è piaciuto. Mi è piaciuto molto.

Lui le sfiorò la coscia. — Ne sono lieto. Ma credo di non avere capito.

— Capito, cosa?

— Tutto l’insieme. La struttura, la configurazione degli avvenimenti. Spingi. Tiri. Sudi. Soffi. Un solletico al basso ventre ed è subito finito. Io…

— No — disse lei. — Non ragionarci sopra. Non analizzarlo. Forse ti aspettavi di più di quel che è. È solo un piacere, Thor. È una cosa che si fa per stare felici insieme. Tutto qui. Non si tratta di un’esperienza cosmica.

— Mi spiace. Sono solamente uno stolido androide che non sa…

— Non dirlo. Tu sei una persona umana, Thor.

Comprese che, negando di essere stato sopraffatto dall’esperienza del loro accoppiamento, la offendeva. E offendeva anche se stesso. Si rizzò lentamente in piedi. Si sentiva triste: un vaso vuoto, abbandonato nella neve. Aveva provato un lampo di gioia, si disse, nel momento culminante; ma cosa valeva quell’istante d’illuminazione, se poi, ogni volta, gli succedeva quella insopportabile tristezza?

Comunque, Lilith l’aveva fatto per il suo bene. Aveva voluto renderlo più umano.

La alzò, la strinse a sé per un istante, le sfiorò la gota con le labbra, indugiò con la mano su uno dei seni. Disse: — Lo faremo ancora, vero?

— Quando vorrai.

— È stata un’esperienza strana, questa prima volta. Ma sarà migliore le prossime. Ne sono certo.

— Anch’io, Thor. La prima volta è sempre un’esperienza strana.

— Credo sia ora di andarmene.

— Se così vuoi.

— Sì, è ora di andarmene. Ma presto ci rivedremo.

— A presto. — Gli toccò il braccio. — E intanto… andrò avanti come abbiamo detto. Porterò Manuel a Gamma Town.

— Ottimo!

— Krug sia con te, Thor.

— Krug sia con te. Prese a rivestirsi.

23

E Krug disse: Vi sarà questa sola differenza in voi, per sempre.

I Figli del Ventre nasceranno sempre dal Ventre, e i Figli della Vasca nasceranno sempre dalla Vasca. E non vi sarà dato di partorire i giovani dal vostro corpo come fanno i Figli del Ventre.

E questo perché la vostra vita possa scaturire solo da Krug, e perché solo a Lui sia riservata la gloria della vostra creazione, fino alla fine del tempo.

24

A 800 metri la torre domina e incombe. La sua immensità è irresistibile: chi esce dal trasmat, notte o giorno che sia, s’arresta attonito a fissare quella lancia rastremata di cristallo lucente. La desolazione della tundra rende ancora più impressionante la sua altezza.

Ormai ha già superato il punto di mezzo.

Negli ultimi tempi si sono verificati alcuni incidenti, causati dalla fretta. Due manovali sono precipitati dal livello più alto. Per un errore di cablaggio su una soletta, un elettricista ha folgorato cinque gamma che posavano un conduttore. Due benne, scontrandosi, hanno trascinato alla morte sei androidi. Alfa Euclide Pianificatore ha rischiato gravi lesioni nervose quando, per un guasto di trasmissione, è entrata nel computer un’enorme ondata d’informazioni a bassa ridondanza, mentr’egli era innestato. Tre beta sono precipitati per 400 metri in un pozzetto di servizio, a causa del crollo di un’impalcatura. Finora i lavori hanno già distrutto una trentina di androidi, ma gli androidi che lavorano al cantiere sono migliaia, e il progetto comporta dei rischi e rappresenta una lavorazione di tipo inconsueto: nessuno considera troppo elevato il numero degli infortuni.