Perché, qui non occorre l’iscrizione all’albo?
Qui non occorre niente. Mi dicono che svolga il suo lavoro con scrupolo. Uno strano tipo, ma vuol bene ai suoi pazienti. Te lo presento?
No. No. Che cos’è l’“intossicazione di slungo”?
Lo “slungo” è un narcotico che prendono i gamma, dice Lilith. Prima o poi incontreremo qualche drogato.
E chi sono, le “piastre”?
Hanno qualcosa che non funziona nel cervello. Concrezioni scagliose nel cervelletto.
“Solidificazioni”?
Una malattia muscolare. Indurimento dei tessuti o qualcosa di simile. Non so bene: colpisce solo i gamma.
Mi aggrotto. Chissà se mio padre ne è al corrente? L’integrità del suo prodotto è garantita da lui. Se i gamma vanno soggetti a malattie misteriose…
Ecco un drogato di slungo, dice Lilith.
Arriva un androide, diretto verso di noi. Ondeggia, galleggia, scivola, danza, cammina con una stramba lentezza viscosa. Occhi fissi; faccia stralunata; braccia larghe; dita molli. Brancola come se fosse nell’atmosfera gioviana. Indossa solo un paio di calzoncini cenciosi, eppure suda nella gelida brezza della sera. Borbotta qualcosa, con timbro meccanico. Dopo un periodo lunghissimo, eccolo vicino a noi. Pianta bene i piedi per terra, alza la testa, si porta le mani ai fianchi. Silenzio. Un minuto. Infine, a voce bassa e ringhiosa, pronuncia alcune parole con esasperante lentezza: Al… fa… sal… ve… al… fa… bel… li… al… fa…
Lilith gli dice di andarsene.
Per un po’, nessuna risposta. Poi il suo volto crolla. Indicibile tristezza. Alza la sinistra con un gesto goffo, da pagliaccio, si tocca la fronte; poi la mano scende lentamente al petto, all’inguine. Si è fatto il segno al contrario… vorrà dire qualcosa? Pronuncia in tono tragico: Ma… io… amo… gli… alfa… belli… alfa…
Chiedo a Lilith: Che razza di droga è?
Accelera il senso del tempo. Un’ora diventa un minuto. Distruggono il proprio tempo libero. Noi, è chiaro, per loro ci stiamo muovendo come turbini. Di solito i drogati stanno insieme, così viaggiano tutti alla stessa velocità. Hanno l’illusione che i giorni durino ore.
Ed è una droga pericolosa?
Dice lei: Toglie un’ora di vita per ogni due ore sotto l’influenza della droga. Ma i gamma vogliono proprio quello. Rinunciano a vivere quelle ore: perché no?
Ma riduce la forza di lavoro!
I gamma avranno il diritto, spero, di impiegare la propria vita come meglio credono. Non ti pare, Alfa Saltatore? Non vorrai sostenere anche tu che sono solamente una proprietà, e che ogni danno che procurano a se stessi è un reato contro il loro padrone…
No. No. Certo no, Alfa Mesone. Ne ero certa, dice Lilith.
Il drogato cammina scioccamente in circolo intorno a noi, e cantilena qualcosa, talmente piano che ogni sillaba si confonde e non ne viene fuori senso compiuto. Si ferma. Un gelido sorriso gli arriccia lentissimamente le labbra. Piega le ginocchia, si raggomitola. Alza la mano, apre le dita. La mano si dirige chiaramente verso il petto di Lilith. Noi restiamo immobili. Ora riesco a capire cosa dice l’androide:
A… A… A… A… A… G… A… A… C… A… A… U…
Cosa dice?
Lilith scuote la testa. Niente d’importante.
Lei si allontana: la mano protesa è ancora a una spanna dal suo seno. Il corruccio comincia a sostituire il sorriso sul volto dell’androide. Ha un’espressione ferita. La sua cantilena assume un tono dolente:
A… U… A… A… U… G… A… U… C… A… U… U…
Giunge rumore di passi lenti, strascicati. Alle mie spalle s’avvicina un secondo drogato: una ragazza, con indosso un mantello stracciato che le copre le spalle e termina in un lungo strascico, ma che le lascia nudi ventre e cosce. Si è tinta di verde i capelli e li ha raccolti in una specie di tiara. Ha un viso pallido e desolato; gli occhi semichiusi; la pelle lustra di sudore. Ondeggia verso il primo androide e gli dice qualcosa, con uno stupefacente timbro baritonale. Lui risponde trasognato. Non riesco ad afferrare una sola parola: è per la droga ritardatrice, oppure parlano un patois gamma? Ho l’impressione che presto succederà qualcosa di spiacevole. Accenno a Lilith di andarcene, ma lei scuote la testa. Resta fermo. Osserva.
I drogati danzano una danza grottesca. Le mani si toccano, i ginocchi si alzano e si abbassano. Una gavotta per statue di marmo. Un minuetto per elefanti impagliati.
Si borbottano qualcosa. Si girano intorno. I piedi dell’uomo inciampano nello strascico della ragazza. Lei si sposta: lui resta fermo; il mantello si straccia e la ragazza resta nuda in mezzo alla strada. Tra i seni ha un coltello, appeso a una corda verde. Ha tutta la schiena coperta di cicatrici. L’hanno frustata? La donna si eccita della propria nudità. Vedo le punte dei seni alzarsi al rallentatore. Ora l’uomo si è avvicinato. Alza la mano con penosa lentezza e le strappa il coltello dal fodero. Con altrettanta lentezza lo abbassa e porta il freddo metallo a contatto dell’inguine, del petto, della fronte della ragazza. Il segno sacro. Io e Lilith siamo appoggiati al muro, vicino all’uscio del medico. Quel coltello mi preoccupa.
Vado a toglierglielo, dico.
No. No. Tu sei solo un turista, qui. Son fatti che non ti riguardano.
Allora, Lilith, andiamocene.
Aspetta. Guarda.
L’amico riprende a cantilenare. Sempre lettere dell’alfabeto, come prima. U… C… A… U… C… G… U… C… C…
Porta il braccio dietro, poi comincia a spingerlo in avanti. La punta del coltello mira all’addome della ragazza. Palla tensione dei muscoli, vedo che è un colpo sferrato a tutta forza; non è affatto un passo di danza. La lama è a pochi centimetri dalla pelle, quando io corro avanti e gliela sbatto via di mano.
L’uomo comincia a lamentarsi.
La ragazza non ha ancora capito di essere salva. Manda un basso muggito, che probabilmente è uno strillo. Cade a terra; si porta una mano al petto, l’altra al ventre. Sussulta lentamente.
Non dovevi intrometterti, mi sgrida Lilith. Su, ora andiamo.
Ma stava per ucciderla!
Non ti riguarda. Non ti riguarda.
Mi prende la mano. Mi volto. Cominciamo ad allontanarci.
Vedo con la coda dell’occhio che la ragazza si sta alzando: le luci sgargianti dell’avviso di Poseidon Moschettiere, Medico, le brillano sui fianchi nudi e sottili. Io e Lilith facciamo due passi, e subito sentiamo un grugnito. Ci voltiamo: la ragazza, alzandosi, ha trovato il coltello e l’ha piantato in pancia all’uomo. Metodicamente, lo guida dalla vita al petto. L’ha sbudellato, ma lui se ne sta accorgendo solo ora, lentamente. Manda un suono gorgogliante.
Ora dobbiamo scappare, dice Lilith.
Corriamo all’angolo. Come lo raggiungiamo, mi volto. La porta di Alfa Moschettiere si è spalancata. Nel vano scorgo una figura allampanata e frusta, dell’altezza degli alfa, con capelli grigi arruffati e occhi gonfi. È lui il famoso medico? Corre verso i drogati. La ragazza è in ginocchio accanto alla sua vittima, che è ancora in piedi. Il sangue le imporpora la pelle rorida. La ragazza canta: G! A! A! G! A! G! G! A! C!
Entra qui, dice Lilith, e ci tuffiamo in un androne buio.
Passi. Odore secco di cose appassite. Ragnatele. Scendiamo a profondità misteriose. Lontano, molto al di sotto di noi, brillano luci gialle. Scendiamo, scendiamo, scendiamo.
Dove siamo? le chiedo.
Rifugi. Scavati nelle Guerre Batteriologiche di due secoli fa. Fanno parte di un sistema che attraversa tutta Stoccolma. Ora sono dei gamma.
Una specie di fogna.
Odo rapidi scrosci di risa, pezzi e bocconi di discorsi frammentari. Qui sotto ci sono anche dei negozi, con tendine di nastro e piccole luci intermittenti. I gamma vanno e vengono. Alcuni, passandoci accanto, fanno il segno dell’un due tre. Spinta da un timore che non so capire, Lilith mi porta via di corsa. Cambiamo galleria, entriamo in un passaggio ad angolo retto con il primo.