Tre drogati sfilano lentamente.
Un maschio gamma, col volto segnato di vernice rossa e azzurra, si ferma a cantare, forse a noi:
Cade in ginocchio e vomita. Un liquore azzurro pallido gli esce dalle labbra, ci schizza quasi sui piedi.
Andiamo via. Sentiamo un’eco:
Al-fa! Al-fa! Al-fa! Al-fa!
Due gamma si accoppiano in un’alcova. Corpi sottili e lucidi di sudore. A dispetto di me stesso, mi fermo a guardare la spinta delle anche e lo schiaffo della carne contro la carne. La donna picchia forte le mani sulla schiena del partner. Cerca di opporsi a una violenza carnale, oppure è solo un modo di manifestare il suo piacere? Sono destinato a ignorarlo per sempre, perché un drogato, brancolando fuori dal buio, inciampa sulla coppia: tutto diventa un singolo rimescolio di membra. Lilith mi porta via. Bruscamente, sento un pesante desiderio di lei. Penso ai suoi seni sodi sotto la rete, al suo sesso umido e nudo. Cercarci un’alcova, accoppiarci tra i gamma. Le appoggio la mano sul fianco, e sento i muscoli contrarsi mentre cammina. Lilith si scuote via la mano. Non ora, mi dice. Non qui. Anche noi dobbiamo conservare le distanze sociali.
Dal soffitto della galleria scintilla una cascata di luce. Si gonfiano bolle rosate, che esplodono liberando odori acri. Una decina di gamma sbuca di gran carriera da un passaggio laterale: si bloccano sorpresi, accorgendosi che per poco non travolgevano due alfa, e fanno un segno rispettoso; corrono via urlando, ridendo, cantando.
Piuttosto allegri, dico.
Lilith fa un cenno d’assenso. Devono essere pieni fino alle orecchie, dice. Scommetto che vanno a un’orgia radiante.
Vanno a cosa?
Una pozza di liquido giallastro sgocciola fuori da una porta chiusa. Si alzano fumi acri. Orina gamma? La porta si spalanca. Una femmina gamma (occhi spiritati, seni fosforescenti, cicatrice livida sul ventre) ci sorride scioccamente. Fa un inchino. Signora. Signore. Vuoi grumare con me? Ride. Piega le gambe, si siede sulle caviglie, si agita in una danza stordita. Inarca la schiena, si scuote i seni, allunga le gambe. Dalla stanza da cui è uscita brillano luci verdi e dorate. Si affaccia una seconda figura.
E quello cos’è, Lilith?
Altezza normale, ma largo il doppio di un gamma: tutto coperto di pelo fitto e opaco. Una scimmia? Eppure il volto è umano. Alza le mani. Dita brevi e tozze; membranose! Afferra la donna e la riporta dentro. La porta si chiude.
Uno scarto, dice Lilith. Qui ce ne sono molti.
Uno scarto di che?
Androidi di scarto. Tare genetiche; impurità della vasca, forse. A volte sono senza braccia, a volte senza gambe, senza testa, senza apparato digerente, senza questo o senza quello.
E non vengono automaticamente distrutti alla fabbrica?
Lilith sorride. No, non vengono distrutti. Quelli incapaci di sopravvivere muoiono da soli; abbastanza presto. Gli altri vengono fatti uscire quando i supervisori non guardano, poi vengono indirizzati a una delle città sotterranee. Soprattutto questa. Non possiamo mettere a morte i nostri fratelli idioti, Manuel!
Levitico, le dico. Alfa Levitico Saltatore.
Sì. Guarda: eccone un altro.
Lungo la galleria, a passo svelto, arriva una figura mostruosa. Sembra che l’abbiano messa nel forno finché la carne non cominciava a liquefarsi: la struttura di base è umana, ma i dettagli no. Il naso è una proboscide, le labbra sono due piatti, le braccia sono disuguali, le dita paiono tentacoli. I genitali fanno spavento: pene da cavallo, testicoli da toro.
Meglio ucciderli, dico a Lilith.
No. No. Nostro fratello. Il nostro povero amato fratello deforme.
Il mostro si ferma a una decina di metri da noi. Le sue braccia curve si muovono nel segno dell’un due tre.
Con voce perfettamente chiara ci dice: La pace di Krug sia con voi, alfa. Andate con Krug. Andate con Krug.
E Krug sia con te, risponde Lilith.
Il mostro s’allontana ciondolando; cinguetta felice tra sé e sé.
La pace di Krug? Andate con Krug? Krug sia con te? Lilith, cosa significa?
Un saluto, dice lei. Un amichevole augurio.
Krug?
E stato Krug a farci, dice lei. Non ti pare?
Allora mi torna in mente qualcosa che ho sentito dai miei amici, nel salone di trasferimento: «Non ti sei mai accorto che tutti gli androidi sono innamorati di tuo padre? Certo: a volte ho l’impressione che sia come una religione, per loro. La religione di Krug. Be’, è abbastanza giusto adorare il proprio creatore. Non ridere».
La pace di Krug. Andate con Krug. Krug sia con te.
Lilith, ma gli androidi credono che mio padre sia Dio?
Lilith evita di rispondere. Ne parleremo un’altra volta, mi dice.
Qui c’è troppa gente che ascolta. Certe cose non si possono dire liberamente.
Ma…
Un’altra volta!
Lascio perdere. Ora la galleria si allarga: una stanza spaziosa, illuminata, affollata. Cos’è, un mercato? Botteghe, banchi, gamma dappertutto. Ci fissano. Nella stanza ci sono molti scarti, uno più brutto dell’altro. Non si capisce come possano sopravvivere delle creature così storpie e malformate.
Non escono mai da questi sotterranei?
Mai. Gli umani potrebbero vederli.
A Gamma Town?
Preferiscono non correre rischi. Li ucciderebbero tutti.
Nel pigia-pigia della stanza affollata, gli androidi battono uno contro l’altro, si spingono via, litigano, si lanciano imprecazioni. Fanno un po’ di spazio libero intorno ai due alfa, ma non troppo. Si stanno svolgendo due distinti duelli al coltello, ma nessuno ci bada. C’è molta lussuria in giro, coram populo. La stanza puzza di rancido. Una ragazza dagli occhi grandi si spinge fino a me e mi sussurra: Benedetto da Krug! Benedetto da Krug! Mi mette qualcosa in mano e si allontana.
Un dono.
Un piccolo cubo freddo, come quelli del salone di New Orleans. Chissà se trasmette delle frasi? Sì: vedo parole formarsi e scivolare via nel suo interno lattiginoso:
Frasi senza senso. Lilith, ne capisci qualcosa?
Non molto. I gamma hanno un gergo tutto loro, sai? Qui, vedi, dove dice…
Un gamma maschio, scarlatto e butterato, ci strappa di mano il cubo. Rotola sul pavimento; il gamma si tuffa a cercarlo in un groviglio di piedi. Clamore generale. Tutti gli si gettano addosso. Il ladro emerge dal viluppo degli altri e si allontana rapidamente lungo una galleria. I gamma continuano a picchiarsi nella baraonda. Una ragazza si erge sul mucchio; ha perso i pochi stracci: si scorgono graffi insanguinati sul seno e sulle cosce. Ha in mano il cubo. Riconosco la ragazza che me l’aveva dato poco prima. Ora mi fa una smorfia demoniaca, snuda i denti. Agita il cubo, e poi lo rinserra tra le gambe. Uno scarto, grosso e corpulento, la spinge via; ha un braccio solo, ma quel braccio è massiccio come un tronco d’albero. Sgrugo! gli grida lei. Proco! Sbavo! Svaniscono.