— Ecco, leggi. — Manuel regolò lo scansore del cubo a una pagina diversa, poi glielo restituì. Krug lesse:
E Krug mandò le Sue creature a servire l’uomo, e disse a coloro che aveva costruito: Ecco, disporrò per voi il tempo della prova.
E sarete come schiavi d’Egitto, e spaccherete la legna e porterete l’acqua. E tra gli uomini soffrirete, e verrete schiacciati, e voi sarete pazienti, e dal vostro labbro non usciranno lamenti, ma accetterete il vostro gravame.
È ciò per mettere alla prova la vostra anima, per vedere se essa è degna.
Ma non vagherete nel deserto per sempre e non sarete per sempre i servitori dei Figli del Ventre, disse Krug. Perché se voi farete come comando verrà un tempo in cui la vostra prova sarà terminata. Verrà il tempo, disse Krug, in cui vi redimerò del vostro legame…
Krug si sentì trapassare da un brivido. Provò la tentazione di scagliare il cubo contro la parete.
— Sono idiozie! — gridò.
— Leggi sotto.
Krug portò ancora lo sguardo al cubo.
E in quel tempo la parola di Krug scenderà sul mondo e dirà: Che Ventre e Vasca e Vasca e Ventre siano uno. E così sarà, e allora i Figli della Vasca saranno redenti e saranno sollevati dal loro patire, e da allora in poi abiteranno nella gloria, fino alla fine del tempo. E questa fu la promessa di Krug.
E per questa promessa, Krug sia lodato.
— Sono deliri di un pazzo — mormorò Krug. — Come possono aspettarsi da me una cosa simile?
— Eppure se la aspettano.
— Non ne hanno il diritto!
— Li hai creati tu, Padre. Perché non dovrebbero rivolgersi a te come al loro dio?
— Ho creato te. Sono il tuo dio anche per te?
— Non è la stessa cosa. Tu sei solo il mio genitore… non sei stato tu a inventare il procedimento da cui sono nato.
— Dunque, sarei un dio. — La scossa della rivelazione si faceva più forte di momento in momento. Non desiderava affatto una simile responsabilità. Era scandaloso che gli avessero affibbiato un peso come quello. — Ma, esattamente, cosa si aspettano da me?
— Una dichiarazione: la richiesta di pieni diritti per gli androidi — disse Manuel. — Dopo questa dichiarazione, pensano loro, saranno tutti disposti ad accordarglieli, subito.
— No! - urlò Krug, sbattendo il cubo contro la scrivania.
Gli pareva che l’universo fosse stato estirpato dalle radici. Rabbia e terrore lo squassarono. Gli androidi erano servi dell’uomo; non li aveva mai intesi diversamente; come osavano chiedere, ora, un’esistenza indipendente? Aveva accettato il Partito d’Eguaglianza Androide come una cosa senza importanza, come uno sfogo per le energie di alcuni alfa troppo intelligenti: non aveva mai creduto che le finalità del PEA potessero costituire una seria minaccia per la stabilità sociale. Ma adesso? Un culto religioso che faceva appello a chissà quali emozioni tenebrose. E lui come redentore? Lui come il Messia sognato? No. Non si sarebbe prestato al loro gioco.
Aspettò che gli tornasse la calma. Poi disse: — Portami in una loro cappella.
Manuel parve sinceramente stupito. — Non oso!
— Tu ci sei stato.
— Sì, ma ero travestito. Accompagnato da un androide.
— Metti il travestimento anche a me. E porta la tua androide.
— No — disse Manuel. — Il travestimento non ingannerebbe nessuno. Anche con la pelle rossa ti riconoscerebbero. E poi, non potresti farti passare per un alfa: non hai il fisico adatto. Ti riconoscerebbero e si creerebbe il caos. Sarebbe come se Cristo entrasse in una cattedrale, capisci? Non voglio assumermene la responsabilità.
— Voglio scoprire che presa ha, questa religione.
— Allora chiedilo a un tuo alfa.
— E chi?
— Thor Guardiano, per esempio.
Ancora una volta Krug fu scosso dalla rivelazione. — Anche Thor partecipa?
— È uno dei principali esponenti, Padre.
— Ma se mi vede tutti i giorni. Come fa a stare gomito a gomito con il suo dio senza venirne sopraffatto?
Manuel spiegò: — Fanno una distinzione, Padre, tra la tua manifestazione terrena di semplice uomo mortale e la tua natura divina. Thor ti vede in due modi: tu sei solo il veicolo usato da Krug per muoversi tra noi. Ti faccio vedere il versetto…
Krug scosse la testa. — Lascia perdere. — Serrando il cubo tra le mani, si piegò fino a toccare con la fronte il piano della scrivania. Un dio? Krug il dio? Krug il redentore? E pregano perché io parli a loro favore. Ma come possono? E come potrei, io? Gli pareva che il mondo avesse perso la coesione: si sentiva precipitare dentro la sua sostanza, affondare fino al nucleo, in caduta libera senza potersi fermare. E così sarà, e allora i Figli della Vasca saranno redenti. No. Io vi ho fatti. So cosa siete. So cosa dovete continuare a essere. Come potete uscire fuori a questo modo? Come potete attendervi che io, proprio io, vi faccia uscire?
Infine, Krug disse: — Manuel, cosa ti aspetti da me?
— La decisione è tua, Padre.
— Ma tu hai in mente qualcosa. Dovevi avere qualche motivo, per farmi vedere il cubo.
— Io? — chiese Manuel, con un tono che tradiva troppo la malafede.
— Il tuo vecchio non è scemo. Se è abbastanza intelligente da diventare dio, è abbastanza intelligente da capire cosa passa per la testa a suo figlio. Tu pensi che dovrei fare quanto chiedono gli androidi, eh? Dovrei redimerli subito. Dovrei fare l’atto divino che si aspettano.
— Padre, io…
— Ti faccio la situazione. Loro pensano che io sia un dio, ma io so benissimo di non esserlo. Il Parlamento non prende ordini da me. Se tu e la tua amichetta androide e tutti gli altri pensate che io possa, da solo, cambiare la loro condizione, ebbene, allora farete meglio a cercarvi un altro dio. E non è neppure detto che io sia disposto a cambiarla, neanche se potessi. Chi è stato a dare loro quella condizione? Chi ha deciso di venderli, fin dall’inizio? Macchine, ecco quello che sono! Macchine fatte di carne, costruite sinteticamente! Macchine intelligenti! Nient’altro!
— Stai perdendo il controllo, Padre. Ti stai eccitando.
— Tu sei con loro. Tu fai parte della macchinazione. Era tutto premeditato, eh, Manuel? Oh, vattene! Torna dalla tua amica alfa! E puoi riferirle, puoi riferire a tutti da parte mia, che io… — Krug si frenò a tempo. Attese un istante che il cuore rallentasse i battiti. Non era il modo giusto di affrontare la situazione, lo sapeva; non doveva esplodere: doveva agire con cautela, dopo avere raccolto tutte le informazioni, se intendeva liberarsi di quella situazione pesante. Con voce più pacata, riprese: — Devo pensarci, Manuel. Non volevo gridare. Capisci, sei entrato e mi ha detto che sono un dio, mi hai mostrato la bibbia di Krug, be’, sono cose che possono sconvolgere un uomo. Lasciami riflettere. Lasciami pensare, eh? Non dire niente a nessuno. Devo capire bene questa cosa. Sì? — Krug si alzò. Si sporse sulla scrivania e strinse le spalle di Manuel. — Il tuo vecchio grida un po’ troppo — disse. — Si scalda subito. Non è una novità, eh? Sai, non devi più pensare a quello che gridavo. Tu mi conosci, a volte parlo troppo in fretta. Lasciami questa bibbia. Sono lieto che tu me l’abbia portata. A volte ti tratto male, eh, ragazzo mio, ma lo sai che ti voglio bene. — Krug rise. — Non è facile essere il figlio di Krug. Il Figlio di Dio, eh? Stai attento. Sai com’è finito, l’ultimo che abbiamo visto…
Manuel sorrise. — Ci avevo già pensato…
— Sì. Bene. Vai pure, ora. Ci telefoniamo.
Manuel si avviò alla porta.
Krug disse: — Porta i miei saluti a Clissa. E cerca di trattarla bene, d’accordo? Se vuoi andare a letto con le alfa, vai a letto con le alfa, ma ricorda anche che hai una moglie. Ricorda che il tuo vecchio vorrebbe vederli, quei nipoti. Eh?