— Non trascuro affatto Clissa, ti assicuro — disse Manuel. — Le dirò che hai chiesto di lei.
Uscì. Krug si portò alla gota rovente la fredda superficie del cubo. In principio era Krug, ed Egli disse: Siano le Vasche. E le Vasche furono. E Krug vide che le Vasche erano buone. Me lo sarei dovuto immaginare, pensò.
Sentiva nel cranio un terribile martellio.
Chiamò Leon Spaulding. — Di’ a Thor che lo voglio qui in ufficio — disse. — Immediatamente.
34
Ora che la torre si avvicinava alla quota di 1200 metri, cominciava per Thor Guardiano la parte più impegnativa del progetto. A quell’altezza era ammessa solo una minima tolleranza d’errore nella posa dei singoli blocchi, e la saldatura molecolare tra l’uno e l’altro doveva avvenire in modo perfetto. Non si potevano lasciare punti di tensione se si voleva che i livelli più alti della torre resistessero nel modo previsto alle violente burrasche dell’Artico. Adesso Thor passava varie ore al giorno innestato al computer, occupato a leggere direttamente gli scansori che, nel corpo dell’edificio, ne controllavano la continuità strutturale. Quando scopriva una minima deviazione dal piano costruttivo, Thor ordinava che il blocco difettoso venisse dissaldato e sostituito: si recava varie volte ogni ora in cima alla torre, per controllare di persona l’installazione o la sostituzione di un blocco critico.
La bellezza dell’edificio dipendeva dalla mancanza di strutture portanti interne, per tutta la sua lunghezza smisurata, ma per erigere un edificio come quello occorreva controllare con la massima precisione ogni dettaglio. Era fastidioso doversi allontanare dal posto di lavoro proprio a metà del turno, ma non si poteva rifiutare una chiamata di Krug.
Come Thor, appena uscito del trasmat, entrò nell’ufficio, Krug gli chiese: — Dimmi, Thor, da quanto tempo sono il tuo dio?
Thor rimase sbalordito. Lottò silenziosamente per riacquistare l’equilibrio interiore; scorse il cubo sulla scrivania di Krug, e comprese quel che era successo. Lilith; Manuel; sì, ecco cos’era. Krug sembrava straordinariamente tranquillo. L’alfa non riusciva a decifrare la sua espressione.
Guardingo, Thor disse: — Che altro creatore avremmo dovuto venerare?
— Che motivo c’era, di venerarne uno?
— Quando si è nell’angoscia più profonda, signore, si desidera rivolgersi a qualcuno più potente di noi, per trarne conforto e aiuto.
— Dunque — chiese Krug — è a questo che serve un dio? Per ottenere favori da lui?
— Per avere la sua misericordia, forse.
— E pensate che io possa darvi quanto chiedete?
— Così noi preghiamo.
Thor, incerto e preoccupato, studiò Krug. Krug prese in mano il cubo. Lo attivò a caso e lesse qualche versetto qui e là; annuì, sorrise e infine lo spense. L’androide non si era mai sentito imbarazzato come in quel momento, neppure quando Lilith si era servita del proprio corpo per sedurlo. Il destino di tutti gli androidi, comprese, forse dipendeva da quella conversazione.
Krug disse: — Sai, mi è molto difficile capire. La bibbia. Le cappelle. L’intera vostra religione. Mi chiedo se ci sia mai stato nessuno che, come me adesso, abbia scoperto di punto in bianco che migliaia di persone lo consideravano il loro dio.
— Forse non c’è mai stato nessuno.
— E mi chiedo la profondità dei vostri sentimenti. La penetrazione di questa religione, Thor. Tu mi hai sempre parlato come si parla a un uomo: il tuo datore di lavoro, non il tuo dio. Non mi hai fatto sospettare quel che pensavi di me, a eccezione di un certo rispetto, forse anche un certo timore. E invece eri sempre al fianco di Dio, eh? — Krug rise. — Osservavi le lentiggini sulla testa pelata di Dio. Vedevi il foruncolo sul mento di Dio. Sentivi l’odore dell’aglio che Dio aveva mangiato a colazione. Cosa hai pensato in tutto questo tempo, Thor?
— Devo proprio rispondere, signore?
— No. No. Lascia perdere. — Krug ritornò a osservare il cubo. Thor, immobile davanti a lui, cercava di fermare un improvviso tremore alla coscia destra. Perché Krug continuava a giocare con lui a questo modo? E che cosa stava succedendo alla torre? Euclide Pianificatore cominciava il turno tra diverse ore; chissà se la posa dei blocchi stava procedendo nel modo dovuto, ora che mancava il capomastro? Bruscamente, Krug disse: — Thor, sei mai stato in un salone di trasferimento?
— Signore?
— Un egoscambio. Saprai di cosa si tratta. In una rete statica con un’altra persona. Cambiare identità per un giorno o due.
Thor scosse la testa. — Non è un passatempo per androidi.
— Lo so. Be’, oggi verrai a trasferirti con me. — Krug si accostò al terminale e disse: — Leon, procurami un appuntamento nel primo salone di trasferimento che trovi. Per due. Nei prossimi quindici minuti.
Sbalordito, Thor esclamò: — Signore, ma dite seriamente? Io e voi…
— E perché no? Hai paura di fare scambio di personalità con Dio, è così? Accidenti, Thor, tu verrai! Ho bisogno di sapere alcune cose, e di saperle in fretta. Andiamo a trasferirci. Lo sai che neanch’io ci sono mai andato? Ma oggi ci vado.
All’alfa, la cosa sembrava sfiorare pericolosamente il sacrilegio. Ma non poteva rifiutare. Opporsi alla Volontà di Krug? Anche se mi dovesse costare la vita, obbedirei ugualmente.
L’immagine di Spaulding aleggiò nell’aria. — Ho un appuntamento a New Orleans — disse. — La aspettano immediatamente, anche se hanno dovuto spostare tutte le prenotazioni. Ma ci sarà un intervallo di un’ora e mezzo per la calibrazione della rete.
— Impossibile. Entreremo nella rete appena arrivati.
Sul volto di Spaulding si diffuse l’orrore. — Signor Krug, non lo fanno mai!
— Lo faranno per me. Che controllino attentamente l’equilibrio della rete quando noi saremo dentro, tutto qui.
— Non credo che accetteranno…
— Gli hai detto chi hanno come cliente?
— Sì, signore.
— Bene, di’ che insisto! E se continuano a protestare, di’ che comprerò quel maledetto salone e lo farò funzionare come voglio, se non fanno come chiedo.
— Certo, signore.
L’immagine di Spaulding svanì. Krug, borbottando tra sé e sé, prese a comporre numeri sulla tastiera del terminale e ignorò completamente la presenza di Thor. L’alfa rimase in piedi senza osare muoversi, raggelato, costernato. Meccanicamente, si fece diverse volte il segno di “Krug ci salvi”. Avrebbe voluto potersi sottrarre alla situazione che egli stesso aveva contribuito a creare.
Di nuovo comparve l’immagine di Spaulding nell’aria. — Si arrendono — disse. — Ma solo se lei firma una dichiarazione di piena responsabilità.
— La firmo — disse Krug, seccamente.
Dalla feritoia del riproduttore uscì una pagina stampigliata. Krug le diede un’occhiata senza attenzione e scribacchiò la propria firma. Si alzò. A Thor disse: — Andiamo. Ci aspettano al salone.
Thor non si era mai preoccupato di informarsi a fondo sul trasferimento di personalità. Era un divertimento praticato solo dagli umani, e solo dai ricchi: da innamorati che volevano intensificare la propria unione spirituale, da amici che si trasferivano per divertimento, da persone stanche del tran-tran quotidiano, che, frequentando il salone con estranei altrettanto annoiati, ottenevano il risultato di introdurre un po’ di varietà nelle loro giornate. Non aveva mai pensato che una volta o l’altra si sarebbe trasferito anche lui, e certo non avrebbe osato pensare a uno scambio di personalità con Krug. Ma non poteva opporsi. Il trasmat li trasportò istantaneamente da New York allo scuro vestibolo del salone di scambio di New Orleans: lì furono accolti da alcuni inservienti alfa che avevano sul volto un’espressione di preoccupazione intensa. La tensione degli alfa aumentò quando videro che uno dei candidati allo scambio era un alfa anche lui. Lo stesso Krug pareva inquieto: serrava le mascelle e muoveva le labbra in modo rivelatore. Gli alfa si aggiravano intorno a loro. Uno continuava a ripetere: — Dobbiamo farvi presente l’irregolarità della richiesta. Calibriamo sempre la rete statica. A far così, potrebbe succedere di tutto, nel caso di un brusco apporto carismatico…