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— Me ne assumo la responsabilità — rispose Krug. — Non ho tempo da sprecare aspettando i comodi della vostra rete.

Angustiati, gli androidi li condussero rapidamente nella sala di trasferimento. Era un ambiente di oscurità luccicante e di silenzio pieno di misteriosi ticchettii; si vedevano due alte cuccette e vari apparecchi lustri come specchi che pendevano dal soffitto. Krug venne fatto accomodare per primo. Thor, quando fu il suo turno, incontrò con lo sguardo gli occhi dell’inserviente alfa e rimase stupito dallo sbalordimento e dal timore che vi lesse. Fissandolo, si strinse impercettibilmente nelle spalle, come per dire: Ne so quanto te.

Dopo aver collocato sulla loro fronte l’elmetto del trasferimento e collegato gli elettrodi, l’alfa disse: — Alla chiusura del contatto, sentirete immediatamente la pressione della rete statica che separa l’Io dalla sua matrice fisica. Vi parrà di subire un attacco isterico, e in un certo senso lo subirete. Comunque, cercate di rilassarvi e di accettare il fenomeno, perché è impossibile resistere, per prima cosa, e, per seconda, ciò che sperimenterete sarà proprio il trasferimento che avete richiesto. Non dovete preoccuparvi di nulla. Nel caso di anormalità di funzionamento, interromperemo automaticamente il circuito e vi restituiremo alla vostra identità.

— E sarà bene! — mormorò Krug.

Thor non poté più né udire né vedere. Si limitò ad attendere. Non poté neppure fare i soliti gesti di conforto, perché gli avevano legato le braccia alla cuccetta per evitargli movimenti bruschi nel corso dello scambio mentale. Cercò di pregare. Credo in Krug sempiterno Creatore di ogni cosa, pensò. Krug ci ha messo al mondo e a Krug noi ritorniamo. Krug è nostro Creatore e nostro Protettore e nostro Salvatore. Krug, ti supplichiamo di guidarci alla luce, AAA AAG AAC AAU a Krug AGA AGG AGC AGU a Krug. ACA ACG ACC…

Una forza calò senza preavviso e gli separò l’Io dal corpo, troncando il collegamento come un colpo d’accetta.

Si trovò alla deriva. Ondeggiò in abissi senza tempo dove nessuna stella splendeva. Vide colori che non corrispondevano a nessuna frequenza dello spettro; udì note musicali che non appartenevano a nessuna scala. Spostandosi a volontà, veleggiò al di sopra di golfi dove funi gigantesche si tendevano come sbarre da un bordo all’altro del vuoto. Penetrò in tetre gallerie ed emerse all’orizzonte; si sentì stirare a una lunghezza infinita. Non aveva massa. Non aveva durata. Non aveva forma. Scorreva per grigi reami di mistero.

Senza alcun senso di transizione, entrò nell’anima di Simeon Krug.

Conservava una fuggevole coscienza della propria identità. Non divenne Krug: acquistò semplicemente libero accesso a tutto quel deposito di atteggiamenti, memorie, risposte e finalità che costituivano la personalità di Krug. Non poteva esercitare alcun influsso su questi atteggiamenti, memorie, risposte e finalità: era solo un passeggero, uno spettatore. E sapeva che in un’altra parte dell’universo l’Io vagabondo di Simeon Krug aveva libero accesso a quell’archivio di atteggiamenti, memorie, risposte e finalità che costituivano la personalità dell’androide Alfa Thor Guardiano.

Si mosse liberamente all’interno di Krug.

Ecco la fanciullezza. Una cosa soffocante e distorta, ficcata in uno scompartimento buio. Ed ecco speranze, sogni, intenzioni, appagate e no, bugie, successi, rivalità, invidie, capacità, discipline, illusioni, contraddizioni, fantasie, soddisfazioni, frustrazioni, severità. Ecco una ragazza dai capelli rossi e dall’ampio petto, su un corpo ossuto, che si schiudeva timidamente a lui, ed ecco il ricordo del primo fiotto di passione nell’affondare in quel rifugio. Ecco dei maleodoranti composti chimici, in una vasca. Ecco strutture molecolari che ondeggiano su uno schermo. Ecco il sospetto. Ecco il trionfo. Ecco l’appesantimento della carne negli anni seguenti. Ecco un’insistente configurazione di brevi impulsi sonori: 2-5-1, 2-3-1, 2-1. Ecco la torre germogliare come un fulgido fallo e squarciare il cielo. Ecco Manuel che sorrideva, che faceva una smorfia, che si scusava. Ecco una vasca scura, profonda, con alcune ombre che si agitavano pigramente nell’interno. Ecco una folla di consiglieri finanziari che borbottava calcoli laboriosi. Ecco un neonato rosa dal volto molliccio. Ecco le stelle che avvampavano nella notte. Ecco Thor Guardiano aureolato di orgoglio e di lode. Ecco Leon Spaulding, furtivo e amaro. Ecco una ragazza carnosa che agitava i fianchi con ritmo disperato. Ecco l’esplosione dell’orgasmo. Ecco la torre violentare le nubi. Ecco la musica del messaggio delle stelle: brevi suoni acuti su uno sfondo di interferenze. Ecco Justin Malinotti che mostrava il progetto della torre. Ecco Clissa Krug, nuda, il ventre gonfio, i seni stipati di latte. Ecco degli alfa umidi arrampicarsi sul bordo della vasca. Ecco una nave inconsueta, dalla carena granulosa, puntata verso le stelle. Ecco Lilith Mesone. Ecco Siegfried Classificatore. Ecco Cassandra Nucleo che scivolava sul terreno ghiacciato. Ecco il padre di Krug: una figura senza volto, avvolta nella nebbia. Ecco il vasto edificio dove gli androidi incespicavano in una delle prime fasi dell’addestramento motorio. Ecco una fila di robot lucidi, con i pannelli pettorali spalancati per la manutenzione. Ecco un lago scuro con ippopotami e canneti. Ecco un atto non caritatevole. Ecco un tradimento. Ecco l’amore. Ecco il rimorso. Ecco Manuel. Ecco Thor Guardiano. Ecco Cassandra Nucleo. Ecco un foglio sporco e sbertucciato, con le formule di struttura degli amminoacidi. Ecco il potere. Ecco la bramosia. Ecco la torre. Ecco una fabbrica d’androidi. Ecco Clissa che partoriva, un fiotto di sangue che le usciva dal ventre. Ecco il segnale delle stelle. Ecco la torre ultimata. Ecco un pezzo di carne cruda. Ecco la collera. Ecco il professor Vargas. Ecco un cubo, con iscritte le parole: In principio era Krug, ed Egli disse: Siano le Vasche. E le Vasche furono.

La veemenza di Krug nel rifiutare la propria divinità annichili Thor. L’androide vide quel rifiuto levarsi come una liscia muraglia di pietra bianca, abbagliante, senza crepe, senza porte, senza punti espugnabili, che si stendeva sull’orizzonte e che sbarrava il mondo. Non sono il loro dio, diceva la muraglia. Non sono il loro dio. Non sono il loro dio. Non accetto. Non accetto.

Thor si librò più in alto; superò quella bianca muraglia infinitamente lunga e scese lentamente entro il territorio cintato.

E laggiù fu ancora peggio.

Trovò un completo rifiuto delle aspirazioni degli androidi. Trovò le reazioni e gli atteggiamenti mentali di Krug, schierati come soldati in manovra sulla pianura. Che sono gli androidi? Gli androidi sono cose che escono dalle vasche. Perché esistono? Per servire l’umanità. Che ne pensi del movimento d’eguaglianza androide? Una sciocchezza. Quando riceveranno, gli androidi, i pieni diritti di cittadino? Li riceveranno quando li riceveranno i robot e i computer. E gli spazzolini da denti. Gli androidi sono dunque così ottusi? Alcuni sono molto intelligenti, certo. Ma anche i computer sono molto intelligenti. L’uomo fabbrica i computer. L’uomo fabbrica gli androidi. Entrambi sono cose fabbricate. Non concedo la cittadinanza alle cose. Neppure se quelle cose sono abbastanza intelligenti da chiederla. E da pregare per averla. Una cosa non può avere un dio. Una cosa può solo credere di avere un dio. E io non sono il loro dio, nonostante quel che credono loro. Io li ho fatti. Io li ho fatti. Io li ho fatti. Sono cose.