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Ora cadde. L’aria spostata dalla mole in caduta si avventò selvaggiamente su Thor e per poco non lo gettò a terra. Il basamento della torre pareva quasi immobile, ma la sezione mediana cambiava d’angolo in modo misurato e la sommità ancora incompiuta descriveva un arco brusco, fiammeggiante, avvicinandosi ferocemente al terreno. Giù, giù, giù, giù cadde. La caduta era incapsulata in un momento al di fuori del tempo; Thor riusciva a distinguere ogni singola fase del crollo, a separarla dalla fase precedente, come se fosse stata una serie di immagini staccate. Giù. Giù. L’aria urlava e gemeva e portava odore di bruciato. La torre colpì il terreno, non tutta ma a sezioni, colpendo e rimbalzando e toccando di nuovo, spaccandosi, scagliando nell’aria immensi schizzi di fango, scagliando a enorme distanza i suoi stessi blocchi frantumati.

Il punto culminante della caduta parve durare molti minuti, con monconi di parete cristallina che si alzavano e cadevano; la torre parve contorcersi come un gigantesco serpente in agonia. Un insopportabile fragore di tuono continuò a echeggiare senza posa. Poi, finalmente, tutto tornò immobile e rimasero solo frammenti di cristallo dispersi per centinaia di metri. Gli androidi chinavano il capo in preghiera. Manuel, accovacciato tristemente ai piedi di Lilith, premeva la guancia contro il suo polpaccio. Lilith, ferma a gambe divaricate, le spalle all’indietro, il petto in tumulto, brillava dei residui dell’estasi. Thor, poco distante da lei, meravigliosamente calmo, sentiva farsi strada tra la sua esultanza la prima macchia di tristezza ora che la torre era caduta. Strinse Lilith più forte.

L’istante successivo, Simeon Krug emerse da uno dei trasmat. Thor già se l’aspettava. Krug si portò la mano agli occhi, come per parare un bagliore accecante, e si guardò intorno. Osservò il punto dove prima sorgeva la torre. Guardò i gruppi silenziosi, stipati, di androidi. Fissò lungamente l’immensa distesa di schegge lucide. Infine si voltò verso Thor Guardiano.

— Com’è successo? — chiese con calma, tenendo la voce sotto rigido controllo.

— I nastri refrigeranti hanno cessato di funzionare nel modo corretto. Il terreno si è sgelato.

— C’era una decina di controlli di sicurezza per evitare questo pericolo.

— Ho assunto il controllo dei controlli.

— Tu?

— Sentivo la necessità di un sacrificio.

La sovrannaturale calma di Krug non si dileguò ancora. — È dunque questa la tua riconoscenza, Thor? Ti ho dato la vita. Sono tuo padre, in un certo modo. Ti ho negato quanto volevi, e tu mi hai distrutto la torre. Eh? Che senso ha, Thor?

— Ha senso.

— Per me non ne ha — disse Krug. Rise amaramente. — Ma, è chiaro, io sono solamente un dio. Forse gli dèi possono non capire le ragioni dei mortali.

— Gli dèi possono tradire il loro popolo — disse Thor. — Voi ci avete tradito.

— Ma era anche la tua torre! Le hai dedicato un anno di vita, Thor! So quanto la amavi. Sono stato nella tua mente, ricordi? Eppure, eppure tu…

Krug s’interruppe, tossendo, ansando.

Thor prese Lilith per mano. — Ora dobbiamo andare. Qui abbiamo fatto quanto dovevamo fare. Torniamo a Stoccolma dagli altri.

Passarono accanto al silenzioso, immobile Krug e si diressero verso le cabine trasmat. Thor ne mise in azione una. Il campo era verde puro: il colore giusto; tutto doveva essere tornato a posto nelle centrali trasmat.

Cominciò a formare le coordinate. Mentre lo faceva, udì il ruggito spasmodico di Krug:

— Thor Guardiano!

L’androide si guardò alle spalle. Krug era a pochi metri dalla cabina. Aveva il volto arrossato e distorto dalla collera, le labbra contratte, gli occhi stretti come fessure; rughe profonde gli solcavano le guance. La sua mano sferzava l’aria. Con un improvviso scatto di furia, afferrò Thor per il braccio e lo tirò fuori del trasmat.

Krug pareva cercare delle parole. Non le trovò. Dopo un istante in cui rimase fermo a fissare Thor, alzò il braccio e lo schiaffeggiò. Fu un colpo violento, ma l’androide non fece alcun tentativo per restituirlo. Krug lo colpì di nuovo, questa volta con un pugno. Thor indietreggiò verso il trasmat.

Con un urlo spesso, strangolato, Krug si avventò in avanti. Prese Thor per le spalle e cominciò a scrollarlo freneticamente. Thor era stupefatto dalla furia che si era impossessata di Krug. Krug lo prendeva a calci, gli sputava in faccia, gli affondava le unghie nella carne. Thor cercò di separarsi. Krug sferrava testate contro il petto di Thor. Sarebbe stato facile scagliarlo via, si accorse lui. Ma non poteva farlo.

Non poteva levare la mano su Krug.

Nella furia dell’assalto, Krug l’aveva spinto fin quasi al bordo del campo. Thor si guardò preoccupato alle spalle. Non aveva formato tutte le coordinate; il campo era ancora aperto: un condotto verso il nulla. Se lui o Krug ci fossero caduti dentro…

— Thor! — gridò Lilith. — Attento!

La fiamma verde lo sfiorava. Krug, piegato sotto di lui, continuava a colpire. Occorreva porre termine alla lotta, si disse Thor. Portò le mani sulle braccia muscolose di Krug e si spostò sui piedi, preparandosi a scagliare a terra l’aggressore.

Ma questo è Krug, pensò.

Ma questo è Krug.

Ma questo è Krug.

Krug lo lasciò. Sorpreso, Thor trasse un respiro e cercò di capire. Ora Krug gli corse contro: caricando, urlando, strillando. Thor non si oppose all’urto dell’attacco. La spalla di Krug si scontrò con il petto di Thor. Per una seconda volta, l’androide scoprì un evento incapsulato al di fuori del tempo. Galleggiò indietro in caduta libera, si mosse senza tempo, con una lentezza infinita. Il verde campo trasmat si alzò a inghiottirlo. Udì debolmente il grido di Lilith, udì debolmente l’urlo di trionfo di Krug. Delicatamente, pacatamente, serenamente, Thor precipitò nell’alone verde, facendosi un ultimo segno di “Krug ci salvi” mentre scompariva.

37

Krug è appoggiato allo stipite della cabina trasmat. Ansa. Rabbrividisce. Si è fermato appena in tempo; ancora un passo e sarebbe finito nel campo con Thor Guardiano. Si arresta un istante. Poi fa un passo indietro. Si volta.

La torre è rovinata al suolo. Migliaia di androidi sono lì fermi, immobili come statue. La donna alfa Lilith Mesone giace faccia a terra sulla tundra in disgelo. Piange. A una decina di metri di distanza c’è Manuel, inginocchiato: una figura dolente, sporca di sangue, macchiata di fango, gli abiti stracciati, gli occhi vacui, il volto rilasciato.

Krug sperimenta un immenso senso di pace. Il suo spirito s’innalza; è libero da ogni legame. Si avvia verso Manuel.

— Su — dice. — Alzati.

Manuel resta in ginocchio. Krug lo prende per le ascelle, lo tira su, lo sorregge finché non riesce a stare in piedi da solo.

— Ora — dice Krug — il comando è tuo. Ti lascio tutto. Guida la resistenza, Manuel. Prendi il controllo. Opera verso il ristabilimento dell’ordine. Sei tu il capo. Sei Krug. Mi capisci, Manuel? In questo istante io abdico.

Manuel sorride. Manuel tossisce. Manuel fissa il suolo fangoso.

— E tutto tuo, ragazzo. So che puoi farcela. Oggi le cose ti possono parere nere, ma è solo una situazione provvisoria. Ora hai un impero, Manuel. È per te. Per Clissa. Per i vostri figli.