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LUGLIO 2076

Charlie stava concludendo una settimana di soggiorno sulla Terra quando venne lanciata la John F. Kennedy. Stanco di venire intervistato, sgattaiolò via dalla sala dei media al porto degli shuttle, al Cape. La tessera bianca gli permise di recarsi sulla pista d’atterraggio, da solo.

Lo shuttle di mezzanotte veniva rifornito di carburante in fondo alla pista, e luccicava d’un color bianco-rosato nell’ultima luce del sole al tramonto. L’immagine si distorceva nel calore irradiato dalla distesa di tarmac. L’odore del catrame ammollato era associato in modo indelebile, nella sua mente, al sollievo della partenza.

Raggiunse il centro della pista e consultò l’orologio. Cinque minuti. Accese una sigaretta e la buttò via. Ricontrollò i calcoli mentali: il volo avrebbe avuto inizio in basso, a sud-ovest. Alzò la mano per escludere il sole. Come sarebbero apparse, 150 bombe al secondo? Per i mass-media si chiamavano capsule di combustibile. Coloro che le avevano scrupolosamente montate e portate in orbita e installate nei serbatoi le chiamavano bombe. Dieci volte più luminose della luna piena, avevano detto. Sull’L-5 non bisognava guardare da quella parte senza un filtro scuro.

Niente riscaldamento. Apparve all’improvviso, un punto iridiscente dello splendore impossibile, poco al di sopra dell’orizzonte. Brillò per vari minuti, poi si affievolì lievemente nella foschia, e scivolò lontano.

In gran parte degli Stati Uniti non l’avrebbero visto fino a che non fosse ritornato, un paio d’ore dopo, trasformando la notte in giorno, gareggiando con i fuochi d’artificio locali. Poi sarebbe ripassato di nuovo ogni due ore. Charlie l’avrebbe visto ancora una volta, e quindi sarebbe salito a bordo dello shuttle. E finalmente avrebbe smesso di doverlo chiamare con il nome d’un politico morto da un pezzo.

SETTEMBRE 2076

Sull’L-5 ci furono festeggiamenti tranquilli quando la Daedalus arrivò a metà percorso, si girò e incominciò a decelerare. Il rapporto pervenuto dall’equipaggio affermava che il viaggio procedeva «senza imprevisti». In quel momento stavano viaggiando a quasi due decimi della velocità della luce. Il raggio laser portava le comunicazioni, da azzurro che era, era diventato arancione per via dell’effetto Doppler: il messaggio che comunicava l’avvenuto turnaround impiegò due settimane per arrivare dalla Daedalus all’L-5.

Annunciavano una leggera correzione di rotta. Avevano analizzato la polarizzazione della luce di Scilla-Cariddi via via che il loro angolo di fase aumentava, ed erano sicuri che il sistema fosse circondato da anelli piatti di detriti, come Saturno. Si sarebbero avvicinati «stando bassi» per evitare una collisione.

GENNAIO 2077

La Daedalus aveva trasmesso immagini riconoscibili del sistema Scilla-Cariddi per tre settimane. Finalmente ne avevano una abbastanza sensazionale per darla in pasto ai terragnoli.

Charlie mise il cubo olografico sulla scrivania.

— Questo è incredibile. Come hanno fatto?

— È un montaggio, naturalmente. — Johnny era uno degli adulti più giovani rimasti sull’L-5: un soffio al cuore, ginocchia deboli e sovrabbondanza di astrofisici.

— Le due stelle sono una foto stroboscopica a infrarossi. Più o meno. Dieci o ventimila immagini scattate mentre la nave orbitava intorno al sistema, e poi selezionate e potenziate. — Johnny indicò, ma non servì a molto, perché Charlie stava guardando il cubo da un angolo diverso.

«La lamina di fuoco dove le atmosfere si toccano è stata fotografata all’ultravioletto. Così mostra meglio la struttura fine.

«Gli anelli sono stati più facili. Lunghe esposizioni a luce visibile. E dà anche il campo sellare.

Bussarono alla porta, e un assistente si affacciò. — Ha un secondo, dottore?

— Sicuro.

— C’è al telefono qualcuna del comitato organizzatore russo del Primo maggio. Vuol sapere se hanno cambiato in Brezhnev il nome della nave.

— Già. Le dica che però abbiamo deciso di chiamarla Lev Trotsky.

L’assistente annuì, serissimo. — Va bene — disse, e fece per richiudere la porta.

— Aspetti! — Charlie si soffregò gli occhi, — Le dica… uhm… la nave non ha un nome commemorativo, finché resta in orbita lassù. La ribattezzeranno immediatamente prima d’incominciare il viaggio di ritorno.

— È vero? — chiese Johnny.

— Non lo so. Chi se ne frega? Fra un paio di mesi saranno loro a non volere che prenda il nome da qualcuno. — Charlie ed Ab avevano preparato un piano (per la verità un po’ traballante) per proteggere l’L-5 dalla collera dei terragnoli: nessuno, sul satellite, aveva saputo in anticipo che la nave era diretta a 61 Cygni. Era una decisione che l’equipaggio aveva preso prima di raggiungere Scilla-Cariddi; avevano modificato il sistema motore in modo da reggere alla distruzione materia-antimateria mentre orbitavano intorno alla stella doppia. L’L-5 sarebbe venuto a conoscenza del piano d’ammutinamento tramite una trasmissione effettuata mentre la Daedalus lasciava Scilla-Cariddi. Sarebbero stati in viaggio ormai da un mese prima che il messaggio arrivasse alla Terra.

Era piuttosto trasparente; ma almeno avevano avuto cura che nessun documento sulla vera missione della Daedalus rimanesse sull’L-5. Tuttavia c’erano tremila persone che conoscevano al verità, e qualunque ingegnere o scienziato che sapesse il fatto suo avrebbe potuto sospettarlo.

Ab aveva pensato che, sebbene fosse molto probabile che venisse a galla la verità, i terragnoli non sarebbero riusciti a serbare rancore per ventitré anni… anche se non si fossero lasciati impressionare dall’antimateria e da altre meraviglie…

E del resto, pensò Charlie, è una preoccupazione che ormai non li riguarda più.

Così come andarono le cose, l’equipaggio della Daedalus avrebbe avuto cose ben più grosse di cui preoccuparsi.

GIUGNO 2077

I russi festeggiarono il Primo Maggio… Charlie lo vide alla televisione, rabbrividendo ogni volta che sentiva nominare la nave Leonid I. Brezhnev. Poi tutto tornò alla normalità. Charlie e altri tremila attesero nervosamente il messaggio «a sorpresa». Arrivò all’inizio di giugno, come previsto, in un canale volutamente disturbato e riservato ai dati. Ma non diceva quello che ci si aspettava.

Da Abigal Bemis a Charles Leventhal.

Charlie, siamo nei guai. La nave è stata danneggiata, colpita a poppa da un grosso pezzo di non so cosa. Ha sfondato il riflettore principale del motore, ha distrutto una serie di sensori di comando e un jet d’assetto.

A quanto possiamo capire, la situazione è stabile. Manteniamo l’accelerazione inferiore d’una frazione a una gravità. Ma non possiamo manovrare, e non possiamo spegnere il motore principale.

Non abbiamo avuto grane con i detriti degli anelli mentre stavamo in orbita, dato che eravamo all’interno del limite di Roche. All’arrivo, come sai, avevamo sfruttato le divisioni naturali degli anelli. Abbiamo tentato di fare altrettanto in uscita, ma è stata una manovra più lenta e più complicata, dato che adesso la nostra massa è troppo grande. Dobbiamo aver incoccato in un pezzo di qualcosa al limite di uno degli anelli esterni.

Se potessimo spegnere il motore, forse avremmo una possibilità di ripararlo. Ma le gondole da lavoro non possono star dietro alla nave, ad una gravità. Le radiazioni, laggiù, arrostirebbero comunque l’operatore in pochi secondi.