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Lei non si mosse, non fiato nemmeno quando andai alla porta, nemmeno quando l'apersi. Non so perche. La mia tirata non era efficace fino a quel punto.

Scesi le scale, attraversai il cortile, e, uscendo dal portone per poco non cozzai contro un ometto snello, dagli occhi neri, che si era fermato ad accendere una sigaretta.

– Scusatemi – dissi con calma – temo di impedirvi la via.

Feci per girargli attorno, poi mi accorsi che nella destra alzata stringeva una chiave. Allungai una zampa e senza nessuna ragione al mondo gli feci saltare la chiave di mano. Guardai il numero che vi era inciso. N° 14.

L'appartamento di Mavis Weld. La gettai via, dietro una macchia di cespugli.

– Non vi occorre – dissi. – La porta non e chiusa.

– Naturalmente – fece l'omino. C'era un curioso sorriso, sulle sue labbra. – Che sciocco sono.

– Gia – convenni. – Siamo stupidi entrambi. Tutti, sono stupidi, quelli che si occupano di quella donnaccia.

– Non direi – osservo l'altro, quietamente, mentre i suoi piccoli occhi tristi mi studiavano, senza nessuna espressione particolare.

– Non e necessario che lo diciate – continuai. – L'ho detto io, per voi. Vi prego di scusarmi. Vado a riprendervi la chiave.

Girai dietro i cespugli, ritrovai la chiave e la porsi all'omino.

– Mille grazie – mormoro lui. – E, a proposito… – Esito. Io mi fermai. – Spero di non aver interrotto un interessante litigio. Mi dispiacerebbe proprio. No? – Sorrise. – Be', dal momento che la signorina Weld e un'amica comune sara bene che mi presenti. Mi chiamo Steelgrave. Non vi ho gia visto, in qualche posto?

– No, non mi avete visto in nessun posto, signor Steelgrave. Mi chiamo Marlowe. Philip Marlowe. E estremamente improbabile che ci siamo conosciuti. E, strano a dirsi, io non vi ho mai sentito nominare, signor Steelgrave. E di voi non me ne importa un fico… e non me ne importerebbe nemmeno se vi chiamaste "Frigna" Moyer. – Non ho mai capito perche avessi detto una cosa simile. Non c'era nessuna ragione, a parte il fatto che avevo sentito quel nome poche ore prima. Il viso dell'ometto divenne stranamente immobile. I suoi occhi neri, silenziosi, si fecero singolarmente fissi. Lo sconosciuto tolse la sigaretta di bocca, ne studio la punta, scosse via un po' di cenere, sebbene non vi fosse cenere da scuoter via, e, sempre cogli occhi bassi osservo:

– "Frigna" Moyer? Che nome curioso. Non mi pare d'averlo mai sentito. E qualcuno che dovrei conoscere?

– No, a meno che non abbiate una passione particolare per gli scalpelli da ghiaccio – risposi e lo piantai in asso.

Scesi i gradini, attraversai la strada, raggiunsi la mia macchina e prima di salirvi mi voltai. L'omino era fermo allo stesso punto, e guardava giu, verso di me, con la sigaretta fra le labbra. Da quella distanza non potevo vedere se vi fosse un'espressione qualsiasi, sul suo viso. Quando mi voltai non si mosse, non fece il piu piccolo gesto. Non distolse nemmeno lo sguardo. Rimase semplicemente dov'era. Io montai in macchina e partii.

CAPITOLO XII

Mi diressi a est, verso il Sunset Boulevard, ma non andai a casa. A La Brea voltai a nord, puntai verso Highland, superai Cahuenga Pass, scesi sul Ventura Boulevard e costeggiai Studio City, Sherman Oaks ed Encino.

Non fu un tragitto solitario. Niente e solitario, su quel percorso. I fanatici della velocita, sulle loro Ford ridotte all'essenziale schizzavano dentro e fuori dalle colonne del traffico, mancando i parafanghi altrui per frazioni di centimetro, ma, in un modo o nell'altro riuscendo sempre a mancarli.

Uomini stanchi, in due posti o berline impolverate, strabuzzavano gli occhi e stringevano piu forte il volante mentre arrancavano, in direzione nord o in direzione est verso la casa, la cena, e una serata in compagnia della pagina sportiva dei giornali, e della radio che garriva, fra i piagnistei dei loro ragazzini viziati e le chiacchiere insulse delle loro stupide mogli. Oltrepassai le chiassose insegne al neon, e le facciate false, dietro di esse, le rosticcerie, fatte di sputo, che parevano palazzi, sotto le luci brillanti e colorate, i ristoranti circolari per automobilisti, gai come circhi equestri, con le servette vivaci, dagli occhi duri, i banchi luminosi e le cucine unte e sudaticce, che avrebbero avvelenato un rospo. Grossi autocarri a rimorchio scendevano rombando da Wilmington e da San Pedro verso Sepulveda e tagliavano verso la Ridge Route, partendo dai semafori al "minimo", col ruggito dei leoni dello zoo. Dietro Encino, qualche rara luce ammiccava dalle colline, fra gli alberi folti. Le case delle dive del cinema. Dive del cinema: puah. Le veterane di migliaia di alcove. Piantala, Marlowe, non sei umano, questa sera.

L'aria si fece piu fresca. Lo stradone si restrinse. Le macchine erano cosi rade, ora, che i fari abbagliavano fino a far male. Il pendio saliva fra contrafforti di argilla, e sulla vetta, una brezza che l'oceano non mitigava, danzava distrattamente nella notte.

Mi fermai per la cena in un locale poco lontano da Thousand Oaks. Cattiva ma spiccia. Riempiteli e buttateli fuori. Affari vertiginosi. Non possiamo stare ad aspettare mentre indugiate sulla seconda tazza di caffe, signore. Lo spazio rende. Vedete quelle persone laggiu, dietro la corda? Vogliono mangiare. Credono di doverlo fare, se non altro. Sa Dio perche vogliono mangiare qui. Farebbero un pasto piu decente a casa, con un barattolo di roba in conserva. Ma sono irrequieti. Come voi. Devono per forza tirar fuori la macchina e andare da qualche parte. Son "polli" fin troppo facili da pelare per gli imbroglioni che han messo le mani sui ristoranti. Ecco che ci risiamo. Non sei umano questa sera, Marlowe.

Pagai il conto e piu avanti mi fermai a un bar, per buttar giu un brandy, appoggiato a un bancone d'acciaio "Tipo New York". Perche poi New York, pensai: l'acciaio lo si lavora a Detroit. Uscii nell'aria della notte, sulla quale nessuno finora e riuscito a far valere un diritto di prelazione. Ma chissa quanti stan tentando l'impossibile. E un giorno o l'altro ci arriveranno.

Giunsi fino all'interruzione di Oxnard, poi presi la via del ritorno, lungo l'oceano. Gli autotreni a otto e a sedici ruote correvano in processione verso nord, tutti costellati di fanalini arancione. Sulla destra, l'ampio, grasso, solido oceano Pacifico arrancava stancamente verso la spiaggia come una donna a ore che rincasa. Niente luna, niente confusione, quasi nemmeno l'eco della marea. Nessun odore. Neanche l'aspro, selvatico odore del mare.

Un oceano californiano. La California, lo stato-grande-magazzino. Quasi tutto di tutto e il meglio di niente. Ecco che ricominci. Non sei umano, questa sera, Marlowe.

E va bene. Perche dovrei esserlo? Me ne sto in ufficio, a giocare con una mosca morta, ed ecco che mi compare una ragazzetta malmessa di Manhattan, Kansas, e mi induce ad accettare venti dollari lisi per trovarle il fratello. Lui ha tutta l'aria di un menagramo, ma lei lo vuol trovare. Cosi con quel gran patrimonio stretto al seno me ne vado fino a Bay City, e il lavoro che compio e un'ordinaria amministrazione cosi frusta e vieta che dormo in piedi. Faccio conoscenza di alcune amabili persone, con e senza scalpelli da ghiaccio nel collo. Poi me ne vado, ma resto con le spalle scoperte. Dopo torna la ragazza, mi porta via i venti dollari, mi da un bacio, e finisce col darmi indietro anche i quattrini, perche non ho compiuto un'intera giornata lavorativa.

Cosi vado a trovare il dottor Hambleton, ottico in ritiro (e come!) di El Centro, e m'imbatto in un altro esemplare di fermagli da colletto all'ultima moda. E non lo dico alla polizia. Mi limito a perquisire il parrucchino del morto e a inscenare una commedia. Perche? Per chi la rischio brutta, questa volta? Per una bionda con gli occhi invitanti e troppe chiavi del portello? Per una ragazza di Manhattan, Kansas? Non lo so. So solo che qualcosa non e come sembra, e l'istinto, vecchio stanco, ma sempre degno di fede, mi dice che se la mano la si gioca come son messe le carte, perde la posta la persona che non lo merita. E affar mio? Be', ma che cosa e affar mio? Lo so? L'ho mai saputo? Sorvoliamo, su questo punto. Non sei umano, questa sera, Marlowe. Forse non lo sono mai stato, e non lo saro mai.