– Be', se e un posto come l'altra pensione non posso biasimarlo.
Lei strinse le labbra, in una linea dura di disgusto.
– In fondo non ha voluto dirmi niente di niente.
– Vi ha solo parlato di delitti, e altre bazzecole del genere.
Diede una risatina che pareva una cascatella.
– L'ho detto per farvi paura. Non intendevo veramente che avessero assassinato qualcuno, signor Marlowe. Mi eravate parso cosi freddo e distante. Ho temuto che non voleste piu aiutarmi. E… ebbene, ho inventato tutto.
Trassi un paio di respiri profondi e mi guardai le mani. Stesi le dita, molto lentamente. Poi mi alzai in piedi. Senza una parola.
– Siete in collera con me? – chiese la ragazza timidamente, disegnando un circolino con un dito, sul piano della scrivania.
– Dovrei portarvi via la faccia a schiaffi – dissi. – E piantatela di fare l'innocentina, altrimenti gli schiaffi non vi arriveranno in faccia.
Le si mozzo il fiato, di colpo.
– Ma dico! Come vi permettete!
– E una battuta che avete gia usato. – replicai. – Anzi l'usate troppo spesso. E ora chiudete il becco e levatevi dai piedi. Credete che mi diverta, a prendere di certi spaventi? Oh, gia… ecco qua. – Spalancai il cassetto di colpo, tirai fuori i suoi venti dollari e glieli gettai davanti. – Portatevi via questi quattrini. Fateci un reddito vitalizio per un ospedale, un laboratorio di ricerche o qualcosa di simile. Mi rende nervoso, averli in giro.
La sua mano si poso, automaticamente, sul danaro. Dietro le lenti gli occhi erano tondi, perplessi.
– Oh, cielo – disse raccogliendo la borsetta, con graziosa dignita. – Non immaginavo proprio che vi spaventaste tanto facilmente. Vi credevo un tipo energico.
– E tutta una commedia – mugolai, girando attorno alla scrivania. Lei si ritrasse, sulla poltrona, come per proteggersi da me. – Sono energico solo con le ragazzine come voi, che tengono le unghie troppo corte. Ma dentro sono pura acqua di rose.
L'afferrai per un braccio e la feci alzare di scatto. Il capo le si rovescio all'indietro. Le labbra le si schiusero. Ero un pericolo pubblico, per le donne, quel giorno.
– Mi troverete Orrin, vero? – bisbiglio lei. – Eran tutte bugie… Tutto quel che vi ho detto eran bugie. Orrin non mi ha telefonato. Io… io non so niente.
– Profumo – dissi, fiutando. – Ma come, piccola cara, ti sei messa il profumo dietro le orecchie… e tutto per me!
Lei accenno di si, col mento. Pareva che gli occhi le si sciogliessero.
– Levami gli occhiali, Philip – sussurro. – Non m'importa se bevi un po' di whisky, ogni tanto. Davvero. Non m'importa.
C'erano si e no dieci centimetri, tra i nostri visi. Avevo paura, a levarle gli occhiali. Paura di darle un pugno sul naso.
– Si – dissi con una voce che pareva quella di Orson Welles con la bocca piena di croccanti. – Te lo trovero, dolcezza, se e ancora vivo. E gratis. Neanche un centesimo di spese. In cambio ti chiedo solo una cosa.
– Che cosa, Philip? – chiese sommessamente, e aperse un poco di piu le labbra.
– Chi e la pecora nera della tua famiglia?
Si strappo da me, come una gazzella spaventata, ammesso che io spaventi una gazzella e quella si strappi da me. Poi mi fisso, con un viso che pareva di pietra.
– Avete detto che Orrin non era la pecora nera della vostra famiglia, ricordate? E con un'enfasi tutta particolare. In seguito, poi, quando avete accennato a vostra sorella Leila avete tirato via alla svelta, come se si fosse trattato d'un argomento sgradevole.
– Io… io non ricordo d'aver detto niente di simile – rispose molto lentamente.
– Cosi io ho cominciato a chiedermi, come si fa chiamare vostra sorella Leila, nel cinema?
– Cinema? – chiese con aria vaga. – Ah, volete dire… nei film? Ma io non ho mai detto che lavorasse nei film. Non ho mai detto niente, di lei.
Le rivolsi il mio consueto, brutto, largo sorriso un po' storto. Improvvisamente lei monto su tutte le furie.
– Lasciate stare mia sorella Leila! – mi grido, come un gatto che soffia. – Non toccate mia sorella Leila con le vostre luride insinuazioni.
– Quali luride insinuazioni? – domandai. – O devo provarmi a indovinare?
– Voi pensate soltanto ai liquori e alle donne! – strillo. – Vi odio!
Si precipito alla porta, l'aperse con violenza e usci. Percorse il corridoio esterno quasi correndo.
Tornai alla scrivania e mi lasciai cadere sulla poltroncina. Una ragazzetta molto strana. Molto strana davvero. Dopo qualche istante il telefono suono, com'era prevedibile. Al quarto trillo allungai la mano e mi portai il ricevitore al viso, con un gesto maldestro.
– Impresa pompe funebri McKinley – dissi.
Una voce femminile esclamo: "Coooosa?" e scoppio in una risata stridula. Quella battuta aveva avuto un successo travolgente fra i funzionari di polizia, nel millenovecentoventuno. Che spirito. Acuto, come la punta d'un materasso.
Spensi le luci e me ne andai a casa.
CAPITOLO XV
Alle otto e quarantacinque, la mattina seguente, ero fermo con la macchina a poca distanza dal negozio di "Tutto per la Foto" a Bay City, tranquillo e con la pancia piena, che leggevo il giornale locale attraverso un pan di occhiali neri. Avevo gia spulciato i giornali di Los Angeles ma non avevo trovato niente a proposito di scalpelli da ghiaccio, all'albergo Van Nuys o in qualsiasi altro albergo. Non dicevano nemmeno: "MORTE MISTERIOSA IN UN ALBERGO DEL CENTRO" senza particolari, come i nomi o l'arma usata. Il News di Bay City, invece, aveva trovato il tempo d'occuparsi d'un delitto. L'aveva messo in prima pagina, proprio vicino al prezzo della carne.
Nelle tarde ore di ieri una telefonata anonima ha fatto accorrere la polizia in uno stabile di Idaho Street, di fronte al magazzino di legname della Ditta Scamans e Jansing. Gli agenti trovavano la porta appena accostata, ed entrati nell'appartamento del direttore della pensione, Lester B. Clausen, di anni 45 lo rinvenivano morto sul divano. Clausen era stato pugnalato al collo con uno scalpello da ghiaccio tuttora infisso nella ferita. Dopo un breve esame preliminare il giudice istruttore Frank L. Crowdy annunciava che Clausen aveva ingerito una grande quantita di alcool ed era probabilmente fuori conoscenza al momento del decesso.
La polizia non riscontrava alcun segno di lotta.
Il tenente Moses Maglashan, della Squadra Investigativa assumeva immediatamente la direzione delle indagini e procedeva all'interrogatorio degli ospiti della pensione, man mano che tornavano dal lavoro. Fino a questo momento, pero, tali interrogatori non hanno gettato alcuna luce sulle circostanze del delitto. Intervistato dal nostro reporter il Giudice Istruttore Crowdy ha dichiarato che la morte di Clausen potrebbe anche venir considerata un suicidio, ma la posizione della ferita tenderebbe a svalutare questa ipotesi. In seguito veniva esaminato il registro degli ospiti della pensione e si scopriva che una pagina era stata strappata di recente. Il tenente Maglashan, dopo un esauriente interrogatorio dei pensionati ci ha detto che un uomo tarchiato, di mezz'eta, dai capelli scuri e dai lineamenti grossolani era stato notato varie volte nei corridoi della pensione, pero nessuno degli ospiti ne conosceva il nome e l'occupazione. Dopo un attento esame delle camere il tenente Maglashan veniva alla conclusione che un ospite se ne era andato nelle ultime ore, con una certa fretta. La pagina mancante del registro, pero, l'ambiente in cui e avvenuto il fatto e la mancanza d'una descrizione precisa del ricercato, rendono estremamente arduo il compito di rintracciarlo.
– Non ho idea, fino a questo momento, delle ragioni per cui Clausen e stato assassinato – ha dichiarato il tenente Maglashan a tarda notte. – Pero avevo messo gli occhi sul nostro uomo da parecchio tempo e mi e nota l'identita di molti suoi amici.
E un caso duro, ma lo sbroglieremo…
Era un bel "servizio" e nominava il tenente Maglashan solo quattordici volte nel testo, e altre due volte nelle didascalie delle illustrazioni. C'era una foto del tenente a pagina tre, che reggeva uno scalpello da ghiaccio e lo contemplava, con profonda concentrazione, aggrottando le sopracciglia.