– Dove alloggiate?
– Io… io… preferirei non dirvelo, se non vi dispiace.
– Perche?
– Cosi. Preferirei di no. Ho una paura terribile delle collere di Orrin.
E… be', posso sempre telefonarvi, no?
– Gia gia. Di che cos'avete paura, oltre alle collere di Orrin, signorina Quest? – Avevo lasciato spegnere la pipa. Accesi un fiammifero e l'accostai al fornello, osservando la ragazza.
– Fumar la pipa non e un'abitudine poco pulita? – mi domando lei.
– Probabilmente – ammisi. – Ma ci vorrebbero ben piu di venti dollari per farmela smettere. E non cercate di eludere le mie domande.
– Non vi permettete di parlarmi cosi – scatto la ragazza. – Fumare la pipa e davvero poco pulito. Mamma non ha mai permesso a papa di fumare in casa, nemmeno negli ultimi due anni, dopo che gli era venuto il colpo. E a volte lui se ne stava seduto con la pipa vuota in bocca. Ma a mamma, in fondo, non piaceva nemmeno questo. Avevamo tanti debiti, anche, e lei diceva che non poteva permettersi di dargli danaro per una cosa inutile come il tabacco. La chiesa ne aveva molto piu bisogno di lui.
– Sto cominciando a capire – dissi lentamente. – In una famiglia come la vostra per forza qualcuno dev'essere la pecora nera.
La ragazza balzo in piedi di scatto, stringendosi al petto la sua cassettina di pronto soccorso.
– Non mi piacete – dichiaro. – Credo proprio che non vi assumero.
State insinuando che Orrin abbia fatto qualcosa di male. Ebbene, vi posso assicurare che non e Orrin, la pecora nera della nostra famiglia.
Non battei ciglio. Lei fece dietrofront e s'avvio alla porta a passo di marcia, poso le dita sulla maniglia, poi fece di nuovo dietrofront, torno indietro, sempre a passo di marcia, e improvvisamente scoppio a piangere. Io reagii esattamente come un pesce imbalsamato reagisce all'esca. La ragazza tiro fuori un fazzolettino, e si fece il solletico agli angoli degli occhi.
– E ora immagino che chiamerete la p-p-polizia – disse con voce rotta.
– E il g-g-giornale di Manhattan verra a sapere tutto e stampera qualcosa di d-d-disgustoso sul conto nostro.
– Voi non immaginate niente di simile. Smettetela di straziarmi il cuore. Su, vediamo una foto del giovanotto.
Lei ripose alla svelta il fazzoletto, pesco qualcos'altro nella borsa, e me lo passo. Una busta. Molto sottile. Pero poteva contenere due istantanee.
Non vi guardai dentro.
– Descrivetemelo come lo vedete voi – dissi.
La ragazza si concentro. Questo le diede modo di fare qualche mossa inutile con le sopracciglia.
– Orrin ha compiuto ventott'anni nel maggio scorso. Ha i capelli castano-chiari, molto piu chiari dei miei, e li tiene spazzolati all'indietro. Anche gli occhi li ha d'un azzurro piu chiaro. E molto alto, piu di uno e ottantacinque. Ma pesa solo sessantatre chili. E piuttosto ossuto. Una volta portava un paio di baffetti biondi, ma mamma glieli ha fatti tagliare. Sosteneva…
– Non me lo dite. Il prevosto ne aveva bisogno per imbottire un cuscino.
– Non potete parlare cosi di mia madre – scatto lei, bianca di rabbia.
– Oh, non fate la stupida. C'e un mucchio di cose, che non so, sul conto vostro. Pero potete subito piantarla di fingervi un angioletto dell'oratorio.
Ha qualche segno particolare, Orrin? Un porro, una cicatrice, o il tatuaggio del Ventesimoterzo Salmo sul petto? E non disturbatevi ad arrossire.
– Be' non e necessario che alziate la voce. Perche non guardate la fotografia?
– Probabilmente ha i panni addosso. Dopotutto voi siete sua sorella.
Dovreste saperlo.
– Ebbene, non l'ha – rispose, a fatica. – Ha una piccola cicatrice sulla mano sinistra, dove gli han tolto una cisti.
– E che mi dite, delle sue abitudini? Che cosa fa oltre a non fumare, a non bere e a non andare a ragazze?
– Ma… come fate a saperlo?
– Me l'ha detto vostra madre.
Lei sorrise. Avevo appunto cominciato a chiedermi se sapesse farlo. Aveva i denti piccoli e non metteva in mostra troppe gengive. Era gia qualcosa.
– Che sciocco, siete – mormoro. – Orrin studia parecchio e ha una macchina fotografica molto costosa, con la quale si diverte a fotografare la gente di sorpresa. A volte manda fuori dai gangheri. Ma Orrin dice che tutti dovrebbero vedersi come sono realmente.
– Speriamo che non capiti mai a lui – osservai. – Che tipo di macchina usa?
– Una di quelle piccole piccole con un obiettivo molto buono. Si possono prendere istantanee quasi con ogni luce. Una Leica.
Apersi la busta e ne trassi un paio di foto molto chiare.
– Queste non son state fatte con un arnese del genere.
– Oh, no. Quelle le ha prese Philip. Philip Anderson. Un ragazzo col quale sono andata attorno, per un certo periodo. – Fece una pausa e sospiro. – Immagino che sia questa la vera ragione per cui sono venuta qui, signor Marlowe. Anche voi vi chiamate Philip.
Io mi limitai ad osservare «gia gia» ma mi sentii vagamente commosso.
– Che ne e stato di Philip Anderson?
– Ma si tratta di Orrin…
– Lo so – interruppi. – Ma che ne e stato di Philip Anderson?
– E ancora a Manhattan. – La ragazza guardo altrove. – Alla mamma non piace molto… Sapete com'e.
– Si – affermai – so com'e. Potete piangere, se volete. Non ve ne vorro, per questo. Anch'io sono uno stupido sentimentale.
Guardai le due foto. In una il soggetto guardava a terra e non mi serviva a niente. L'altra era l'istantanea, piuttosto ben riuscita, di un tizio alto e angoloso, con gli occhi molto vicini, la bocca dritta e sottile e il mento a punta. Orrin aveva esattamente l'espressione che mi aspettavo. Se vi foste dimenticato di pulirvi il fango dalle scarpe lui era il ragazzo che ve l'avrebbe fatto notare. Misi da parte le due foto e guardai Orfamay Quest, cercando di scoprire qualcosa, nel suo viso, che mi ricordasse lontanamente il fratello. Non ci riuscii. Tra loro non esisteva la minima rassomiglianza, il che, naturalmente, non significa nulla. Non ha mai significato nulla.
– D'accordo – dissi. – Andro laggiu a dare un'occhiata. Ma voi dovreste intuire quel che e accaduto. Il ragazzo e in una citta forestiera. Per un certo periodo guadagna parecchio. Piu di quanto abbia mai guadagnato in vita sua, forse. Incontra gente come non ne ha mai incontrata prima. E la citta… credetemi, conosco Bay City… non ha niente in comune con Manhattan, Kansas. Cosi Orrin smette di fare il bravo, e non vuole che la sua famiglia lo venga a sapere. Ma si rimettera in carreggiata.
La visitatrice mi fisso per un istante, in silenzio, poi scosse il capo.
– No. Orrin non e il tipo da fare una cosa simile, signor Marlowe.
– Tutti lo siamo – obiettai. – Specialmente un ragazzo come Orrin, il santificetur di provincia che ha vissuto tutta la vita fra le cocche del grembiale di mamma, col curato che lo teneva per manina. Da queste parti si sente solo. Ha soldi in tasca. Gli vien voglia di comprarsi un po' di dolcezza e di luce, ma non il tipo di luce che viene dalle finestre a levante di una cattedrale. Non che io abbia qualcosa contro una luce simile. Voglio soltanto dire che lui ne aveva gia avuto a sufficienza. O mi sbaglio?
Lei fece di si col capo, in silenzio.
– Cosi comincia a spassarsela – continuai. – Ma non sa come si fa.
Anche per questo ci vuole esperienza. Cosi perde un po' la trebisonda con una ragazzetta leggera e una bottiglia di liquore, e dopo gli pare di aver rubato le mutande al vescovo. Dopotutto il ragazzo ha quasi ventinove anni, e se vuole far qualche porcheriola e affar suo. Dopo un po' trovera qualcuno cui dare la colpa.
– Mi fa orrore credervi, signor Marlowe – disse la ragazza, lentamente. – Mi fa orrore per mamma…
– Avevamo detto qualcosa a proposito di venti dollari – interruppi.
Lei parve scandalizzata.
– Devo pagarvi ora?
– Come si farebbe a Manhattan, Kansas?
– Non abbiamo investigatori privati a Manhattan, c'e solo la polizia regolare. Cioe non credo che abbiamo investigatori…
Frugo di nuovo nella sua cassettina degli arnesi e pesco un borsellino rosso dal quale trasse un certo numero di banconote, piegate con cura, una per una. Tre fogli da cinque e cinque da uno. Tenne la borsa in modo che potessi vedere quanto era vuota. Poi spiego i biglietti di banca, sulla scrivania, li mise uno sopra l'altro, e li spinse verso di me. Molto lentamente, con infinita tristezza, come se stesse annegando il micino prediletto.