Passammo davanti a due poliziotti in uniforme, poi imboccammo uno stretto vicolo, fra due teatri. Una bandierina meccanica rossa oscillava in mezzo alla via, sulla porta contrassegnata col numero dodici c'era una fanale rosso acceso, e, sopra di esso, un campanello squillava ininterrottamente. Wilson si fermo accanto alla porta. Un altro agente, seduto su una sedia inclinata contro il muro lo saluto con un cenno e mi guardo da capo a piedi, con quell'espressione grigia, morta, che si forma sui poliziotti come la melma sull'acqua di un serbatoio.
Il campanello e la bandierina smisero di funzionare e il fanale rosso si spense. Wilson spinse una grossa porta ed io passai, prima di lui. Nell'interno c'era un altro uscio. Varcammo anche quello, e dopo la luce del sole mi parve di essere piombato nell'oscurita piu completa. Poi notai una concentrazione di luci nell'angolo piu lontano. Il resto dell'enorme teatro pareva completamente vuoto.
Ci dirigemmo verso le luci dei riflettori. Man mano che ci avvicinavamo il pavimento era sempre piu ingombro di grossi cavi neri. Incontrammo una fila di sedie pieghevoli e un gruppo di camerini mobili, coi nomi sulle porte. Eravamo sul retro del set e io vedevo soltanto l'impalcatura di legno e due grandi schermi ai lati. Due macchine per la proiezione in "trasparente" ronzavano, a poca distanza.
Una voce urlo: – Si gira! – Una campana suono chiassosamente. I due schermi si animarono di onde marine in movimento. Un'altra voce, piu calma, disse:
– Badate alla vostra posizione, prego. Dovremmo finire pressappoco come si vede in questo schizzo. Avanti, azione.
Wilson si fermo di botto e mi poso una mano su un braccio. Le voci degli attori sorsero dal nulla, ne forti ne chiare, un mormorio senza importanza e senza significato.
Improvvisamente uno degli schermi del trasparente si spense. La voce tranquilla senza cambiar tono ordino:
– Alt.
La campana suono, e si udi un brusio generale. Wilson ed io riprendemmo il cammino. Il mio compagno mi sussurro in un orecchio.
– Se Ned Gammon non termina questa ripresa prima di colazione finisce col dare un pugno sul naso a Torrance.
– Oh, c'e Torrance in questo film?
Dick Torrance, a quell'epoca, era un divo di second'ordine e di ordinaria amministrazione. Il tipo piuttosto comune, ad Hollywood, dell'attore che nessuno desidera, in modo particolare, ma che alla fine, molti devono scritturare per mancanza di meglio.
– Ti spiace ripetere la scena, Dick? – chiese la voce tranquilla, mentre giravamo l'angolo del set, e vedevamo la scena… il ponte di un panfilo da diporto, vicino a poppa.
C'erano due ragazze e tre uomini, in azione. Uno era un signore di mezz'eta in abiti sportivi mollemente adagiato su una poltrona a sdraio. Uno portava una divisa bianca, aveva i capelli rossi e aveva l'aria d'essere il capitano della nave. Il terzo era il navigatore dilettante, col berretto all'ultima moda, la giacca blu dai bottoni d'oro, le scarpe e i calzoni candidi e il fascino altero. Quello era Torrance. Delle ragazze una era una bellezza bruna che aveva visto giorni migliori: Susan Crawley. L'altra era Mavis Weld.
Portava un costume da bagno bianco di rayon lucido, ed era evidentemente appena salita a bordo. Un truccatore le stava spruzzando acqua sulla faccia e sulle punte dei capelli biondi.
Torrance non aveva risposto. A un tratto si volto e fisso la macchina da presa.
– Credi che non sappia le mie battute?
Un uomo dai capelli grigi, e dall'abito grigio avanzo, dall'ombra del teatro, nel cerchio di luce dei riflettori. I suoi occhi bruciavano ma la voce era priva di calore.
– A meno che non le cambi di proposito – rispose, con gli occhi fissi in quelli di Torrance.
– Puo darsi che io non sia abituato a recitare davanti a un trasparente che ha l'abitudine di esaurire il film a meta ripresa.
– E giusto – dichiaro Ned Gammon. – Il guaio e che nella macchina ci son solo centocinquanta metri di pellicola, e la colpa e mia. Se tu potessi accelerare un po' i tempi…
– Uh! – sbuffo Torrance… – Se io potessi accelerare un po'! Forse, se si potesse convincere la signorina Weld a salire a bordo impiegando un po' meno tempo di quel che ci e voluto per costruire la maledettissima nave…
Mavis Weld gli lancio un rapido sguardo, greve di disprezzo.
– Il "tempo" dtlla Weld e esatto – dichiaro Gammon. – E anche la sua interpretazione va bene.
Susan Crawley si strinse elegantemente nelle spalle.
– Io ho l'impressione che potrebbe metterci un po' piu di vita. Va bene, ma potrebbe andar meglio.
– Se andassi meglio, carissima – le disse Mavis Weld con pericolosa dolcezza – qualcuno potrebbe dire che recito. E tu non vorresti mai che succedesse una cosa simile, in un tuo film, vero?
Torrance scoppio in una risata. Susan Crawley si volto e lo fulmino con gli occhi.
– Che cosa c'e da ridere, signor Tredici?
Il viso di Torrance si trasformo in una maschera di ghiaccio.
– Ancora quel nome? – sibilo.
– Oh, santo cielo, vuoi dire che non lo sai? – mormoro Susan Crawley, con aria sognante. – Ti chiamano signor Tredici perche ogni volta che fai una parte vuol dire che dodici attori prima di te, l'hanno rifiutata.
– Vedo – fece Torrance, freddamente, poi scoppio di nuovo a ridere, e si rivolse a Ned Gammon. – E va bene, Ned. Adesso che tutti hanno sputato fuori il loro veleno forse potremo recitare come desideri.
Il regista annui.
– Non c'e come una piccola pagliacciata per schiarire l'atmosfera. Benissimo, ricominciamo.
Torno dietro la macchina da presa. Il suo vice grido "si gira" e la scena ando liscia come l'olio.
– Alt – ordino Gammon. – Stampate questa. Intervallo per la colazione. Per tutti.
Gli attori scesero gli scalini di legno grezzo salutando Wilson con un cenno. Mavis Weld venne per ultima, perche si era fermata ad infilare un accappatoio di spugna e un paio di sandali da spiaggia. Quando mi vide si fermo di botto. Wilson fece un passo avanti.
– Salve George – disse Mavis Weld, fissando me. – Ti occorre qualcosa?
– Il signor Marlowe vorrebbe dirti due parole. Hai tempo?
– Il signor Marlowe?
Wilson mi lancio una occhiata rapida e penetrante.
– E dell'ufficio di Ballou. Credevo che lo conoscessi.
– Puo darsi che l'abbia visto. – Stava ancora fissandomi. – Che c'e?
Non apersi bocca.
Dopo un istante la ragazza disse:
– Grazie, George. Vi conviene accompagnarmi al mio camerino, signor Marlowe.
Si volto e si diresse verso l'estremita opposta del set. Contro il muro era appoggiato un camerino bianco e verde. Sulla porta era scritto: Miss Weld.
Quando vi giunse, la ragazza torno a voltarsi e si guardo attorno, attentamente. Poi mi pianto in faccia i suoi splendidi occhi azzurri.
– E adesso, signor Marlowe?
– Dunque vi ricordate di me?
– Mi pare di si.
– Riprendiamo dove eravamo rimasti… o iniziamo una partita nuova, con un mazzo pulito?
– Qualcuno vi ha permesso di entrare qui. Chi? Perche? Occorrono spiegazioni.
– Io lavoro per voi. Mi e stata pagata una caparra, e la ricevuta l'ha in tasca Ballou.
– Che pensiero gentile. E ammesso che io non desideri che voi lavoriate per me… qualunque sia il vostro lavoro?
– E va bene, fate la spiritosa. – Trassi di tasca la foto di Alle Danze e gliela porsi. Lei mi fisso, intensamente, per un lungo attimo, prima di abbassare gli occhi. Poi guardo l'istantanea che mostrava lei e Steelgrave nel separe. La guardo gravemente, senza un gesto. Poi, molto adagio, alzo una mano, e sfioro le ciocche di capelli bagnati che le ricadevano ai lati del viso. Ebbe un brivido, quasi impercettibile. La mano si abbasso, prese la foto. Mavis Weld la fisso a lungo. Poi sollevo di nuovo lo sguardo, molto, molto lentamente.
– Ebbene? – domando.
– Ho in mano la negativa e alcune altre copie. Le avreste voi, ora, se aveste avuto piu tempo e aveste saputo dove cercare. O se lui fosse vissuto abbastanza a lungo per vendervele.
– Ho un po' freschino – mormoro. – E devo mangiare un boccone. – E mi porse la foto.
– Avete un po' freschino e dovete mangiare un boccone – ripetei.
Mi parve che la gola le pulsasse. Ma la luce non era molto buona. Poi Mavis Weld abbozzo un sorriso, molto vago, distante. Il tocco dell'aristocratica annoiata.
– Il senso di tutto questo mi sfugge – sospiro.
– Passate troppo tempo sui panfili. In realta voi volete dire: dal momento che conosco Steelgrave e conosco voi, che cos'ha, questa foto, per indurre tutti a farmi ponti d'oro?
– Appunto – fece lei. – Che cos'ha?
– Non lo so – risposi. – Ma se scoprirlo servira a farvi smettere queste arie da duchessa lo scopriro. E, nel frattempo, voi avete ancora freschino e dovete ancora mangiare un boccone.
– E voi avete aspettato troppo – mormoro lei, tranquillamente. – Non avete piu niente da vendere. Eccetto la vostra vita, forse.
– Quella la vendo a buon mercato. Per amore di un paio di occhiali neri, d'un cappello color pervinca e d'una botta in testa con una scarpina a tacco alto.
La bocca le vibro, come se stesse per ridere, ma nei suoi occhi non c'era allegria.
– Per non contare tre schiaffi in piena faccia – aggiunse. – Addio signor Marlowe. Siete arrivato troppo tardi. Troppo, troppo tardi.
– Per me… o per voi?
Allungo una mano, dietro di se, e aperse la porta del camerino.
– Per entrambi, penso. – Ed entro rapidamente, lasciando l'uscio aperto.
– Venite dentro, e chiudete l'uscio – chiamo la sua voce dall'interno.
Obbedii. Non era un camerino elaborato, fatto su ordinazione, come quelli delle dive. Era rigidamente funzionale. Conteneva un piccolo divano disadorno, una poltrona, un tavolino da toeletta, con uno specchio a due lampade e una sedia a schienale rigido, e su un vassoio quel che avanzava di un caffe.
Mavis Weld si chino e infilo nella presa la spina d'un radiatore elettrico.
Poi afferro una salvietta e comincio ad asciugarsi le punte dei capelli. Io mi sedetti sul divano e aspettai.
– Datemi una sigaretta. – La ragazza getto da parte l'asciugamano. I suoi occhi erano vicini ai miei, mentre le accendevo la sigaretta. – Vi e piaciuta la scena a soggetto che abbiamo improvvisato sullo yacht?
– Schifosa.
– Siamo tutti degli schifosi. Alcuni sorridono piu degli altri, ecco tutto.
E l'ambiente artistico. Ha qualcosa di meschino. L'ha sempre avuto. C'e stato un tempo in cui gli attori passavano per la porta di servizio. La maggior parte di loro dovrebbe passarci ancora. Grandi tensioni, grandi ansie, grandi odi. E vengono fuori cosi, in piccole scenate odiose. Non significano niente.
– Chiacchiere da ballatoio.
Mavis Weld alzo una mano e mi passo un dito lungo la guancia. Bruciava, come un ferro rovente.
– Quanto guadagnate, Marlowe?
– Quaranta dollari al giorno, piu le spese. Questo e quel che chiedo. Ma ne accetto venticinque. Ne ho presi anche meno. – E pensai ai venti dollari lisi di Orfamay.
Lei fece di nuovo quel gesto, col dito, e io arrivai a non abbracciarla. Poi si scosto da me e si sedette sulla poltrona, stringendosi addosso l'accappatoio. Il radiatore elettrico stava' riscaldando forte la stanza.
– Venticinque dollari al giorno – mormoro con aria pensosa.
– Piccoli dollari solitari.
– Sono molto solitari?
– Come un faro in alto mare.
Accavallo le gambe, e il vago splendore della sua pelle parve riempire la stanza.
– Su, cominciate l'interrogatorio – disse, senza far nemmeno il gesto di coprirsi le cosce.
– Chi e Steelgrave?
– Un uomo che conosco da anni. E che mi piace da anni. Possiede varie cose. Un albergo o due… Ma da dove venga… non lo so.
– Pero lo conoscete molto bene.
– Perche non mi domandate se vado a letto con lui?
– Io non faccio certe domande.
Rise, e scosse via la cenere della sigaretta.
– La signorina Gonzales sarebbe ben lieta di dirvelo.
– Al diavolo la signorina Gonzales.
– E bruna, bella e ardente. E molto, molto gentile.
– Ed esclusiva come un marciapiedi – completai. – Che vada all'inferno. Tornando a Steelgrave, ha mai avuto grane?
– Chi non ne ha avute?
– Con la polizia.
Spalanco gli occhi, con un'aria un tantino troppo innocente. La sua risata era un tantino troppo squillante.
– Non siate ridicolo. Quell'uomo possiede piu di due milioni di dollari…
– Come li ha guadagnati?
– Come faccio a saperlo?
– E va bene. Era prevedibile che non lo sapeste. Quella sigaretta finira col bruciarvi le dita. – Mi chinai in avanti e le portai via il mozzicone. La sua mano giaceva, aperta, sulla gamba nuda. Le toccai il palmo, con la punta d'un dito. Lei si ritrasse da me, chiudendo il pugno.
– Non fate cosi – comando, aspramente.
– Perche? Lo facevo alle ragazzine, quando andavo a scuola.
– Lo so. – Le si era accelerato un po' il respiro. – E io mi sento giovane, e innocente, e come se stessi facendo qualcosa che non devo. E ormai ne e passato, del tempo, da quando ero giovane e innocente.
– Allora voi non sapete proprio niente, di Steelgrave?
– Vorrei che vi metteste un po' d'ordine in testa e decideste se mi state facendo la corte o un interrogatorio di terzo grado.
– La mia testa non ha niente a che vedere, in tutto questo.
Ci fu una pausa di silenzio. Poi lei disse:
– Devo mangiare qualcosa, sul serio, Marlowe. Lavoro, nel pomeriggio. Non vorreste che io svenissi sul set vero?
– Solo le dive lo fanno. – Mi alzai. – E va bene, me ne vado. Non vi dimenticate che lavoro per voi. Non avrei accettato l'incarico, se fossi stato convinto che avevate ucciso qualcuno. Pero eravate la, e avete corso un grosso rischio. C'era qualcosa che volevate assolutamente.
Lei prese la foto, e di nuovo la fisso, mordendosi un labbro. Poi alzo gli occhi, senza sollevare il capo.
– Ben difficilmente poteva essere questa…
– Era l'unica cosa tanto ben nascosta che nessuno e riuscito a trovare.
Ma che senso ha? Ci siete voi e un certo Steelgrave, seduti in un separe di Alle Danze. Non c'e nulla di male.
– Assolutamente nulla – convenne lei.
– Quindi deve trattarsi di qualcosa che riguarda Steelgrave… oppure la data.
Abbasso gli occhi di scatto, e torno a studiare la foto.
– Non c'e niente, qui, che indichi la data – disse rapidamente. – Sempre che significhi qualcosa. A meno che il pezzo tagliato…
– Ecco qua. – Le porsi il ritaglio. – Ma vi occorrera una lente. Mostratela a Steelgrave. Chiedetelo a lui se significa qualcosa. O chiedetelo a Ballou.
Mi incamminai verso la porta.
– Non vi fate illusioni, la data si puo stabilire molto facilmente – dissi, senza voltarmi. E Steelgrave lo sa benissimo.
– State costruendo un castello di sabbia, Marlowe.
– Davvero? – mi voltai a guardarla, senza sorridere. – Credete proprio? No, non e possibile. Voi siete andata ed eravate armata la. L'uomo era morto, assassinato. Ed era un noto malvivente. E io ho trovato una cosa che la polizia sarebbe felice di sapere che le ho nascosto. Perche dev'essere piena di moventi come l'oceano e pieno di sale. Finche la polizia non la scopre io conservo la mia licenza. E finche non la scopre qualcun altro io non mi trovo uno scalpello da ghiaccio infilato nel collo. Vi pare che la mia professione sia esageratamente redditizia?
Lei rimase seduta, a guardarmi, stringendosi una mano su un ginocchio.
L'altra mano si moveva, ininterrottamente sul bracciolo della poltrona, un dito dopo l'altro.
Tutto quel che mi restava da fare era girare la maniglia e uscire. Non so perche dovesse essere tanto faticoso.