– Puo darsi che io abbia qualche obbligo verso la signorina Weld – dissi, alzandomi. – Non ci avete mai pensato?
Lei si limito a sorridere.
– E in tal caso – continuai – non vi pare che sarebbe ora di levarvi dai piedi?
La ragazza sempre sorridendo poso le mani sui braccioli della poltrona per alzarsi. Io spazzai via la borsetta, prima che lei potesse fare un gesto.
Gli occhi le si riempirono di astio. Fece un verso strano, come se soffiasse.
Apersi la borsetta, vi frugai dentro e trovai una busta bianca che mi parve vagamente familiare. La scossi, e venne fuori la foto di Alle Danze. I due pezzi erano stati riuniti, e incollati su un altro cartoncino.
Chiusi la borsa e la gettai alla ragazza.
Era in piedi, ora, con le labbra contratte, che lasciavano scoperti i denti.
Era silenziosa, come una statua.
– Interessante – osservai, puntando un dito contro la superficie lucida dell'istantanea. – Sempre che non sia un falso, un fotomontaggio. E Steelgrave, questo?
La risatina argentina squillo di nuovo.
– Siete infinitamente ridicolo, amigo. Sul serio. Non sapevo che ne fabbricassero ancora, di tipi come voi.
– Riserva anteguerra – risposi. – Diventiamo piu rari ogni giorno che passa. Dove avete preso questa roba?
– Dalla borsetta di Mavis Weld, nel camerino di Mavis Weld, mentre era sul set.
– E lei lo sa.
– Non sa niente.
– Chissa da chi l'ha avuta?
– Da voi.
– Ma fate il piacere! – esclamai inarcando esageratamente le sopracciglia. – E dove l'avrei presa, io?
La visitatrice mi tese la mano guantata, al di sopra della scrivania.
– Rendetemela, prego. – La sua voce era fredda.
– La rendero alla signorina Weld. E mi si spezza il cuore a dirvelo, signorina Gonzales, ma io non faro mai carriera, come ricattatore. Sono sprovvisto di magnetismo personale.
– Rendetemela – comando in tono aspro. – Altrimenti…
Si interruppe di colpo. Io aspettai che finisse. I suoi lineamenti delicati si composero in una maschera sprezzante.
– Benissimo – riprese. – L'errore e stato mio. Credevo che foste un tipo in gamba, ma ora vedo che siete uno dei soliti piedipiatti senza cervello. Questo ufficio piccolo e miserabile – fece un gesto circolare, con la mano guantata di nero, – la piccola, miserabile vita che si vive qua dentro… avrebbero dovuto dirmelo, che specie di idiota siete.
– Ve lo dicono.
Lei si volto, lentamente, e si incammino verso la porta. Girai attorno alla scrivania. La signorina Gonzales mi permise di tenerle aperto il battente.
Usci, molto lentamente. E il modo in cui lo fece non l'aveva imparato alle scuole commerciali.
Percorse il corridoio esterno senza voltarsi mai. Aveva un magnifico passo.
La porta rimbalzo, contro la molla di chiusura automatica, poi, molto sommessamente la serratura scatto. Mi parve che ci mettesse degli anni.
Rimasi immobile, a guardarla come se non l'avessi mai vista prima far cosi. Poi mi voltai, per tornare alla scrivania, e in quella suono il telefono.
Alzai il ricevitore e risposi. Era Christy French.
– Marlowe? Vorremmo che faceste un salto qui alla centrale.
– Immediatamente?
– Anche prima – ribatte lui, e interruppe la comunicazione.
Trassi la foto di sotto la cartella e andai a riporla nella cassaforte, insieme alle altre. Poi mi misi il cappello e chiusi le finestra. Non c'era nulla da aspettare. Guardai la punta verde della lancetta dei secondi, sul mio orologio. Mancava ancora molto, alle cinque. La lancetta percorreva il quadrante, senza sosta, come un commesso viaggiatore che va di casa in casa. Le sfere delle ore segnavano le quattro e dieci. Avrebbe gia dovuto chiamare, la ragazzina. Levai la giacca, mi sfilai la fondina a tracolla e la chiusi a chiave nel cassetto della scrivania, insieme alla Luger. I poliziotti non ci tengono che giriate armato nelle loro acque territoriali. Anche se avete il diritto di farlo. A loro piace che vi presentiate, tutto umile, come si conviene, col cappello in mano, la voce educata e sommessa e gli occhi pieni di nulla.
Guardai di nuovo l'orologio. Rimasi in ascolto. Il palazzo pareva molto tranquillo quel pomeriggio. Di li a poco sarebbe stato silenzioso del tutto e allora la madonna dallo strofinaccio grigio sarebbe arrivata lungo il corridoio, strascicando i piedi e tentando le maniglie.
Tornai a infilarmi la giacca, chiusi a chiave la porta di comunicazione, staccai il campanello e uscii nell'atrio. E proprio allora il telefono suono.
Per poco non strappai l'uscio dai cardini, per correre a rispondere. Era proprio la ragazzina, ma la sua voce aveva un tono che non avevo mai sentito prima. Un tono freddo, equilibrato, ma non opaco, ne vuoto, ne assente e nemmeno infantile. Era la voce di una ragazza che non conoscevo, e che pure conoscevo. Il significato di quella voce, lo seppi prima che avesse pronunciato tre parole.
– Vi ho chiamato perche m'avevate detto di farlo – esordi. – Ma non dovete dirmi nulla. Sono stata la.
Reggevo il ricevitore con tutt'e due le mani.
– Siete stata la – ripetei. – Si. Ho sentito. E poi?
– Mi… mi son fatta prestare una macchina. E mi sono fermata dall'altra parte della via. C'erano tante automobili che non avreste mai potuto notarmi. C'e un'impresa di pompe funebri, li accanto. Non vi stavo pedinando.
Ho cercato di seguirvi, quando siete uscito, ma non conosco le strade, da quelle parti, e vi ho perduto. Cosi sono tornata la.
– Perche?
– A dire il vero non lo so. Ma mi e parso che aveste un'aria strana, quando siete uscito da quella casa. O forse ho avuto un presentimento. In fondo si trattava di mio fratello. Cosi sono tornata la e ho suonato il campanello. E nessuno e venuto ad aprirmi. Anche questo mi e parso strano.
Forse sono telepatica, o qualcosa di simile. E a un tratto mi e parso di dover entrare in quella casa a tutti i costi. E non sapevo come farlo, ma dovevo, assolutamente.
– E successo anche a me – dissi, ed era la mia voce, ma qualcuno aveva usato la mia lingua come carta vetrata.
– Allora ho telefonato alla polizia e ho detto che avevo sentito degli spari – continuo lei. – E la polizia e arrivata e un agente e entrato in casa per una finestra. E poi ha fatto entrare l'altro per la porta. Dopo un po' hanno chiamato dentro anche me. E dopo non volevano piu lasciarmi andare.
Ho dovuto dire tutto, chi era lui, e che avevo mentito, a proposito degli spari, ma avevo avuto paura che fosse accaduto qualcosa di male a Orrin.
E ho dovuto parlare di voi, anche.
– Niente di male – la rassicurai. – Avevo gia intenzione di dir tutto alla polizia, non appena avessi avuto modo di comunicare con voi.
– E una situazione piuttosto imbarazzante per voi, vero?
– Si.
– Vi arresteranno o qualcosa di simile?
– Puo darsi.
– L'avete lasciato la, per terra. Morto. Ci siete stato costretto, immagino.
– Avevo le mie ragioni – affermai. – Forse non vi parranno molto buone, ma ne avevo. E per lui, la cosa non aveva importanza.
– Oh, certo. Avevate le vostre ragioni – disse. – Siete molto abile.
Voi avete sempre una ragione per tutto. Bene, immagino che le dovrete dire alla polizia, le vostre ragioni.
– Non necessariamente.
– Oh, si, dovrete – insiste la voce, con una nota di piacere che non seppi spiegarmi. – Certo che dovrete. Vi costringeranno.
– Inutile discutere – ribattei. – Nel mio mestiere si fa quel che si puo, per proteggere il cliente. A volte si va un tantino troppo in la. Come ho fatto io. Sono andato a mettermi in una posizione vulnerabile. Ma non l'ho fatto unicamente per voi.
– L'avete lasciato la, per terra, morto – ripete la ragazza. – E non me ne importa, di quel che vi faranno. Se vi metteranno in prigione credo che saro contenta. Scommetto che vi mostrerete superbamente coraggioso.
– Sicuro – affermai. – Sempre un allegro sorriso, nelle avversita.