Avete visto che cosa aveva in mano vostro fratello?
– Non aveva in mano niente.
– Be', vicino alla mano.
– Non c'era niente. Niente di niente. Che cosa doveva esserci?
– Magnifico – esclamai. – Mi fa molto piacere. Be', addio. Vado alla centrale, ora. Vogliono parlarmi. Buona fortuna, se non vi vedro piu.
– Vi conviene tenervela, la vostra buona fortuna – ribatte lei. – Puo darsi che ne abbiate bisogno. E in ogni caso io non la voglio.
– Ho fatto del mio meglio, per voi. Forse, se mi aveste detto qualcosa di piu in principio…
Lei interruppe la comunicazione mentre stavo parlando.
Deposi il ricevitore sulla forcella, gentilmente come se fosse stato un bambino in fasce. Trassi di tasca un fazzoletto e mi asciugai le palme delle mani. Poi andai al lavabo a lavarmi. Mi spruzzai il viso d'acqua fredda, l'asciugai strofinandolo duramente con la salvietta e mi guardai nello specchio.
– Ti sei proprio buttato a mare – dissi alla faccia che mi fissava.
CAPITOLO XXIII
Nel centro della stanza c'era un lungo tavolo giallo di quercia. Ai bordi aveva una serie irregolare di bruciature di sigaretta. Dietro di esso, con una quantita di scartofEe disordinate sotto il naso, stava il tenente Fred Beifus della squadra investigativa. Alle spalle del tenente una finestra, coi vetri retinati. A una estremita del tavolo, appoggiato all'indietro su una sedia a braccioli, in bilico sulle gambe posteriori c'era un uomo grande e grosso. Il suo viso aveva, per me, la familiarita di un'immagine che si e gia vista in bianco e nero, nei cliche dei giornali. Aveva una mascella che pareva la panchina d'un parco. Stringeva fra i denti l'estremita di una grossa matita di legno e aveva l'aria d'essere vivo e di respirare ma, a parte questo, si limitava a starsene seduto.
All'altra estremita del tavolo c'erano una finestra e due scrivanie dalla chiusura a saracinesca. Una delle due scrivanie era appoggiata contro la finestra. Accanto ad essa una donna coi capelli color arancio stava trascrivendo un rapporto a macchina su un tavolino. Dietro l'altra scrivania, che era posta perpendicolarmente, rispetto alla finestra, era seduto Christy French, su una sedia girevole coi piedi su un angolo dello scrittoio. Stava guardando fuori dalla finestra, che era aperta e offriva la meravigliosa visione del parcheggio della polizia e del retro d'un cartellone pubblicitario.
– Sedetevi li – invito Beifus, facendo segno col dito.
Mi sedetti all'altro capo della stanza su una sedia rigida, di quercia, senza braccioli. Non era una sedia nuova e da nuova non era stata bella.
– Questo e il tenente Moses Maglashan della polizia di Bay City – continuo Beifus. – E non vi vuole bene… proprio come noi…
Il tenente Moses Maglashan si tolse di bocca la matita e fisso i segni dei denti nella grossa asticciola ottagonale. Poi fisso me. Il suo sguardo mi sfioro lentamente, esplorandomi, osservandomi, catalogandomi. Non disse nulla. Torno a mettersi la matita in bocca.
– Forse non sono normale – dichiaro Beifus – ma per me voi avete meno sex appeal di una tartaruga. – Si volto per meta, verso la donna che scriveva a macchina in un angolo: – Millie. – L'impiegata lascio la macchina da scrivere per un quaderno da stenografia. – Il nome e Philip Marlowe – l'informo il tenente. – Con una E in fondo, se proprio ci tieni alla precisione. Numero di licenza?
Si era voltato di nuovo a guardarmi. Gli dissi il numero. La dama arancione scrisse, senza alzare gli occhi. Dire che aveva una faccia che avrebbe fermato un orologio era insultarla. Avrebbe fermato un cavallo imbizzarrito.
– Ora, se siete nella disposizione adatta – riprese Beifus. – Potete ricominciare dal principio e raccontare tutto quel che avete lasciato fuori ieri. Non cercate di dividere i fatti per categorie. Lasciate che il discorso corra naturalmente. Abbiamo abbastanza materiale per controllare la vostra storia.
– Volete che faccia una deposizione?
– Una deposizione molto esauriente – preciso Beifus. – Che spasso, eh?
– E questa deposizione dev'essere spontanea, e senza coercizione?
– Appunto. Tutte le deposizioni sono spontanee – sorrise Beifus.
Maglashan mi guardo fisso per un momento. La dama arancione riprese a scrivere a macchina. Non c'era ancora nulla, per lei. Trent'anni di quel lavoro ne avevano fatto un'ottima "tempista".
Maglashan trasse di tasca un pesante guanto di cinghiale usato, l'infilo sulla mano destra e fece qualche flessione con le dita.
– A che serve? – gli chiese Beifus.
– Mi mangio le unghie, a volte – rispose Maglashan. – E strano. Mi mangio solo quelle della mano destra. – Alzo gli occhi, mi fisso con uno sguardo lento. – Alcuni individui sono piu spontanei di certi altri – osservo pigramente. – E una questione di reni, m'han detto. Ho conosciuto dei tipi non poco spontanei che eran costretti ad andare al cesso ogni quarto d'ora, per settimane, dopo esser diventati spontanei. Pareva che non riuscissero a tenere acqua.
– Ma pensa un po' – fece Beifus, con pensosa meraviglia.
– Poi ci sono quelli che non riescono piu ad alzare la voce e parlano rauchi, bisbigliando – continuo Maglashan. – Come i vecchi pugilatori rincretiniti, che hanno fermato troppe sventole col collo.
Maglashan mi guardo. A quanto pareva era il mio turno.
– Poi ci sono i tipi che non ci vanno del tutto, al cesso – dissi. – Quelli che esagerano. Se ne stanno seduti in una sedia per trenta ore. Poi crollano e si incrinano un rene o si fanno scoppiare la vescica. Collaborano con troppo entusiasmo. Poi, a volte, quando han fatto la loro brava deposizione davanti al magistrato, e il serbatoio dell'acqua e vuoto li si trovan morti in un angolo buio. Forse avrebbero dovuto farsi visitare; ma non si puo prevedere tutto, vero, tenente?
– Noi, di Bay City siamo molto bravi a prevedere le cose – replico Maglashan. – Quando c'e qualcosa da prevedere, naturalmente.
Aveva dei groppi duri di muscolo agli angoli delle mascelle. Nei suoi occhi splendeva una luce di odio rossastro.
– Potrei lavorarvi in maniera deliziosa – disse, senza levarmi gli occhi di dosso. – Assolutamente meravigliosa.
– Ne sono certo, tenente. Ho sempre passato delle ore bellissime a Bay City, finche riuscivo a non perdere i sensi.
– Io vi impedirei di perdere i sensi per un'infinita di tempo, cocco. Ne farei una questione d'onore. Me ne occuperei di persona.
Christy French si volto lentamente, e sbadiglio.
– Come va che alla polizia di Bay City siete tutti cosi feroci? – domando. – Vi marinate il cranio nell'acqua di mare?
Beifus mise fuori la punta della lingua e la fece correre fra le labbra.
– Siamo sempre stati feroci – dichiaro Maglashan, senza guardarlo. – Ci piace esser feroci. E gli spiritosoni, come questo bel tipo qui, ci tengono in esercizio. – Torno a occuparsi di me. – Cosi voi siete quel tesoro che ci ha telefonato per Clausen. Siete molto disinvolto coi telefoni pubblici, vero, tesoro?
Non apersi bocca.
– Parlo con te, tesoro – mi apostrofo Maglashan. – Ti ho fatto una domanda, tesoro. E quando faccio una domanda sono abituato a ricever risposta. Capito?
– Continuate a parlare e vi risponderete da solo – disse Christy French. – E forse la risposta non vi piacera e sarete cosi maledettamente feroce che finirete col prendervi a pugni da solo, con quel guanto li. Tanto per il principio.
Maglashan si irrigidi. Sulle guance gli si erano accese due macchie rosse delle dimensioni di un mezzo dollaro.
– Son venuto a chiedervi di collaborare – disse a French, lentamente.
– Per farmi spernacchiare posso rimanere a casa. Ci pensa mia moglie.
Ma qui non voglio far le spese delle vostre barzellette.
– E noi collaboreremo – affermo French. – Solo non cercate di fare il matador con quelle battute da film del novecentotrenta. – Fece un giro sulla sedia e mi guardo: – Voltiamo pagina e comportiamoci come se stessimo cominciando le indagini adesso. Le vostre ragioni le conosco tutte. Non sta a me giudicarle. Il punto e questo: siete disposto a parlare, o volete finire al fresco come testimone indispensabile?