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Mi incamminai verso la porta senza voltarle completamente le spalle.

Ma non mi aspettavo una revolverata. Pensavo che in fondo Dolores mi preferisse cosi, come stavo… con le mani legate senza la minima possibilita di fare qualcosa.

Mi voltai a guardarla, mentre aprivo la porta. Snella, bruna, bella e sorridente. Tutta sesso. E completamente al di la delle leggi morali di questo mondo, o di qualsiasi mondo ch'io potessi immaginare.

Non era un tipo che si dimenticava. Oh, no. Uscii quietamente. La sua voce sommessa mi segui, mentre accostavo il battente.

– Querido… mi sei piaciuto tanto. Che peccato.

Chiusi la porta.

CAPITOLO XXXIV

Mentre l'ascensore si apriva, nel vestibolo a pianterreno scorsi un uomo in attesa. Era alto e sottile e teneva il cappello con l'ala abbassata sugli occhi. Era una giornata calda, ma l'uomo portava un leggero soprabito col bavero alzato. Teneva il mento affondato nel petto.

– Dottor Lagardie… – sussurrai.

Mi lancio un'occhiata, senza riconoscermi. Poi entro nell'ascensore. La cabina si avvio verso l'alto.

Andai alla piccola scrivania, all'altro capo del vestibolo e suonai aspramente il campanello. Apparve il grassone molliccio e mi fisso con un sorriso penoso sulle labbra flaccide.

– Voglio telefonare.

Pesco l'apparecchio, da sotto la scrivania. Chiamai il 7911, centrale Madison. Una voce disse:

– Polizia. – Era la volante.

– Casa-albergo Chateau Bercy, Franklin Avenue, angolo Girard Street.

Un certo dottor Vincent Lagardie, ricercato dai tenenti French e Beifus per un "caso" di omicidio e salito in questo momento nell'appartamento dodici, al quarto piano. Qui parla Marlowe, investigatore privato.

– Franklin angolo Girard. Aspettateci dove siete, per favore. Siete armato?

– Si.

– Trattenetelo, se cerca di andarsene.

Deposi il ricevitore e mi asciugai la bocca. Il ciccione effeminato si puntellava alla scrivania, livido intorno agli occhi.

Arrivarono in fretta, ma non abbastanza. Forse avrei dovuto fermarlo.

Forse avevo avuto il presentimento di quello che stava per fare e glie l'avevo permesso, deliberatamente. A volte, quando sono giu di giri, cerco di ragionarci sopra. Ma dopo un po' mi si ingarbugliano le idee. Tutto quel maledetto "caso" era stato cosi. Mai una volta avevo potuto fare la cosa piu ovvia e naturale, senza dovermi fermare a lambiccarmi il cervello cercando di immaginare quanto male avrei fatto a qualcuno cui dovevo qualcosa.

Quando sfondarono la porta Lagardie era seduto sul divano e teneva la testa di lei stretta contro il cuore. Aveva gli occhi d'un cieco e la bocca coperta di bava sanguigna. Si era quasi mozzato la lingua.

Sotto il seno sinistro della ragazza, premuta forte contro la camicetta color fiamma c'era l'impugnatura d'un pugnale che avevo gia visto. Un'impugnatura a forma di donna nuda. Gli occhi della signorina Dolores Gonzales erano semiaperti, e sulle labbra vagava l'ombra di un sorriso di sfida.

– Il sorriso di Ippocrate – disse il dottorino che era venuto con l'ambulanza, e sospiro. – A lei sta bene.

Lancio un'occhiata al dottor Lagardie, che, a giudicare dal suo viso, non vedeva e non sentiva nulla.

– Qualcuno ha perso un sogno – commento il dottorino, e si chino, a chiudere gli occhi di Dolores.

FINE