Выбрать главу

«Grazie». Gli rivolsi un sorriso.

«Tornerai in tempo per il ballo?».

Grrr. Solo in una città cosi piccola i padri conoscono la data del ballo di una scuola superiore.

«No. Io non ballo, papà». Nessuno come lui poteva capirmi: i problemi di equilibrio non li avevo ereditati da mia madre.

E infatti capì. «Oh, d’accordo».

Il mattino dopo, arrivando a scuola, decisi di parcheggiare il più lontano possibile dalla Volvo. Non intendevo sottopormi a una tentazione cui avrei potuto cedere, avrei rischiato di dovergli rimborsare un’auto nuova. Scendendo dal pick-up mi feci sfuggire di mano la chiave, che cadde dentro una pozzanghera, ai miei piedi. Mi chinai a riprenderla, ma una mano bianca spuntò dal nulla e l’afferrò per prima. Mi alzai di scatto. Edward Cullen era a pochi centimetri da me, appoggiato al pick-up come se niente fosse.

«Ma come fai?», chiesi io, stupita e irritata.

«Come faccio cosa?». Giocherellava con la chiave, la faceva dondolare appesa a un capo. Mi allungai a prenderla, e la lasciò cadere nel palmo della mia mano.

«Ad apparire dal nulla».

«Bella, non è colpa mia se tu sei straordinariamente distratta». La sua voce era tranquilla come al solito, vellutata, smorzata.

Osservai torva il suo viso perfetto. Gli occhi quella mattina erano di nuovo chiari, di un miele dorato e intenso. Fui costretta ad abbassare lo sguardo per riordinare i miei pensieri confusi.

«Perché l’ingorgo, ieri sera?», chiesi, senza guardarlo. «Pensavo avessi deciso di fingere che non esisto, non di irritarmi a morte».

«L’ho fatto per Tyler. Dovevo concedergli una possibilità». Rise sotto i baffi.

«Razza di...», rantolai. Non riuscivo a pensare a un aggettivo abbastanza brutto. Sentivo una tale vampa d’ira da poterlo squagliare, ma più mi innervosivo, più sembrava divertito.

«E non sto fingendo che tu non esista», continuò.

«Allora hai deciso di irritarmi a morte, visto che il furgoncino di Tyler non è riuscito a farmi fuori?».

I suoi occhi bronzei si illuminarono di rabbia. Le labbra gli si irrigidirono, altro segno che il buonumore se n’era andato.

«Bella, sei totalmente assurda», disse, la voce bassa e fredda.

Mi prudevano le mani: avevo un gran desiderio di picchiare qualcuno. Ero sorpresa di me stessa. Non ero mai stata una persona violenta. Gli voltai le spalle e feci per andarmene.

«Aspetta», disse lui. Continuavo a camminare, sbattendo con collera i piedi nell’acqua. Ma lui mi era accanto, teneva il mio passo senza fatica.

«Scusa se sono stato maleducato», disse, senza smettere di camminare. Io lo ignoravo. «Non dico che non sia vero», continuò, «ma è stato maleducato dirtelo, ecco».

«Perché non mi lasci stare?», bofonchiai io.

«Volevo chiederti una cosa, ma mi hai fatto perdere il filo del discorso», sghignazzò lui. Sembrava aver recuperato il buonumore.

«Soffri di disordini da personalità multipla?», chiesi io, rigida.

«Non sviarmi un’altra volta».

Sbuffai. «Va bene. Cosa vuoi?».

«Mi chiedevo se, sabato prossimo... hai presente, il giorno del ballo di primavera...».

«Mi stai prendendo in giro?», lo interruppi io, voltandomi di scatto. Lo guardavo dritto in faccia mentre la pioggia mi inzuppava.

Il suo sguardo era perfidamente divertito. «Per cortesia, posso finire di parlare?».

Mi morsi le labbra e strinsi una mano nell’altra, con forza, per evitare di assalirlo.

«Ti ho sentita dire che quel giorno hai in programma di andare a Seattle e volevo chiederti se accetteresti un passaggio».

Questo non me l’aspettavo.

«Cosa?». Chissà dove voleva arrivare.

«Vuoi un passaggio fino a Seattle?».

«Da chi?», chiesi, disorientata.

«Da me, ovviamente». Scandì la frase sillaba per sillaba, come se parlasse con una ritardata.

Ero sbigottita. «Perché?».

«Be’, avevo intenzione di fare un salto a Seattle nelle prossime settimane e, onestamente, non sono sicuro che il tuo pick-up possa farcela».

«Il mio pick-up funziona più che bene, molte grazie per l’interessamento». Ricominciai a camminare, ma ero troppo sorpresa per mantenere lo stesso livello di arrabbiatura.

«Il tuo pick-up ce la fa anche con un solo pieno di benzina?». Mi stava ancora alle calcagna.

«Non credo siano affari tuoi». Stupido possessore di Volvo metallizzata.

«Lo spreco di riserve non rinnovabili è affare di tutta la comunità».

«Seriamente, Edward», sentii un brivido quando pronunciai il suo nome e non ne fui contenta, «non riesco a seguirti. Pensavo che non volessi essermi amico».

«Ho detto che sarebbe meglio se non diventassimo amici, non che non voglio».

«Oh, grazie, adesso è tutto molto più chiaro». Sarcasmo pesante. Mi accorsi di essermi fermata, di nuovo. Ora ci trovavamo al riparo della tettoia della mensa, perciò guardarlo in faccia era più facile. Il che non mi aiutava di certo a mantenere la lucidità.

«Sarebbe più... prudente che tu non diventassi mia amica», spiegò lui. «Ma sono stanco di costringermi a evitarti, Bella».

Mi parlò fissandomi con uno sguardo celestiale e intenso, la sua voce era caldissima. Mi bloccò letteralmente il respiro.

«Vieni con me a Seattle?», chiese, con la stessa intensità.

Ancora non riuscivo a parlare, perciò feci un cenno con il capo.

Lui sorrise per un istante, poi tornò serio.

«Sarebbe meglio che mi stessi lontana, sul serio», mi avvertì. «Ci vediamo a lezione».

Si voltò di scatto e tornò sui suoi passi.

5

Gruppo sanguigno

Giunsi nell’aula di inglese completamente intontita. Quando entrai non mi accorsi nemmeno che la lezione era già iniziata.

«Grazie per essersi unita a noi, signorina Swan», disse il professor Mason, sarcastico.

Arrossii e mi affrettai a prendere posto.

Soltanto alla fine della lezione mi accorsi che Mike non si era seduto accanto a me. Provai un vago senso di colpa. Ma sia lui che Eric mi aspettarono all’uscita, come al solito, perciò probabilmente mi avevano perdonato, almeno un po’. Mike tornò pian piano se stesso mentre camminavamo, esaltato per le previsioni del tempo di quel fine settimana. Sembrava che la pioggia dovesse concedersi una breve pausa, perciò, forse, sarebbe finalmente riuscito a organizzare la gita alla spiaggia. Cercai di mostrare un po’ di entusiasmo, per risarcirlo almeno in parte della delusione del giorno prima. Era difficile, però: pioggia o no, la temperatura più alta che potevamo aspettarci era attorno ai dieci gradi.

Il resto della mattinata passò in un baleno. Non riuscivo a credere di non essermi inventata tutto, le parole di Edward o la luce che avevo visto nei suoi occhi. Forse era stato solo un sogno molto dettagliato che avevo scambiato per realtà. Sì, era statisticamente più probabile che avessi preso un abbaglio, piuttosto che in qualche modo fosse attratto da me.

Perciò, entrando in mensa assieme a Jessica, ero impaziente e impaurita. Volevo vederlo in faccia per capire se fosse tornato la persona fredda e indifferente che avevo conosciuto nelle ultime settimane. Oppure se, per miracolo, ciò che mi pareva di aver sentito proprio quel mattino fosse vero. Jessica non smetteva di blaterare dei suoi progetti per il ballo - Lauren e Angela avevano invitato i ragazzi, sarebbero andate tutte assieme - senza accorgersi che non le davo retta.

Bastò uno sguardo deciso verso il suo tavolo per farmi sprofondare nella delusione. Gli altri quattro c’erano, lui no. Era tornato a casa? Seguii Jessica, che continuava a chiacchierare durante la fila, con il cuore a pezzi. Avevo perso l’appetito, quindi comprai soltanto una bottiglia di limonata. Volevo starmene seduta e imbronciata, nient’altro.

«Edward Cullen ti sta fissando di nuovo», disse Jessica, facendo breccia tra i miei pensieri astratti grazie a quel nome. «Chissà come mai oggi se ne sta da solo».