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«Andiamo a fare trekking nella riserva di Goat Rocks, a sud del monte Rainier».

Ricordai che Charlie mi aveva parlato delle gite in campeggio dei Cullen.

«Oh be’, divertitevi». Cercai di mostrarmi entusiasta. Probabilmente non riuscii a convincerlo. Gli angoli delle sue labbra tradivano un sorriso.

«Faresti una cosa per me, questo weekend?». Si voltò per guardarmi in faccia, sfruttando tutto il potere dei suoi occhi dorati e abbaglianti.

Feci cenno di sì, inerme.

«Non offenderti, ma tu sembri il classico genere di persona che attrae gli incidenti come una calamita. Perciò... cerca di non cadere nell’oceano, di non farti investire, o chissà cos’altro, d’accordo?». Sorrise, di sbieco.

Ora mi sentivo un po’ meno disarmata. Lo fissai.

«Ci proverò», dissi, prima di scendere dalla macchina nella pioggia fitta. Sbattei la portiera con troppa forza.

Se ne andò che ancora rideva.

6

Racconti del terrore

Seduta in camera mia, cercavo di concentrarmi sull’atto terzo del Macbeth, ma in realtà aspettavo di sentire il rumore del pick-up. Immaginavo che il suo rombo sarebbe spiccato anche sotto la pioggia battente. Invece, a un’ennesima occhiata dietro la tenda, mi accorsi che era già lì, come se fosse spuntato dal nulla.

Ero tutt’altro che impaziente che arrivasse il venerdì, e la giornata confermò alla grande tutti i miei presagi. Ovviamente ci furono i commenti allo svenimento. Jessica sembrava la più interessata alla storia. Per fortuna, Mike aveva tenuto chiuso il becco, e all’apparenza nessuno sapeva del coinvolgimento di Edward. Lei però mi bersagliò di domande sul pranzo del giorno prima.

Iniziò durante la lezione di trigonometria: «Che voleva ieri Edward Cullen?».

«Non so». Non mentivo. «Non è mai arrivato al dunque».

«Sembravi piuttosto arrabbiata».

«Davvero?». Cercavo di non darle a intendere nulla.

«Sai, non l’ho mai visto sedersi accanto a nessuno a parte i suoi fratelli. Che cosa assurda».

«Assurda», ribadii. Sembrava nervosa: continuava a sistemarsi i riccioli. Immaginavo che fosse in attesa di un aneddoto interessante da trasformare in pettegolezzo.

La cosa peggiore di quel venerdì era che, malgrado sapessi bene che Edward non sarebbe venuto, continuavo a sperare di vederlo. Quando entrai in mensa assieme a Jessica e Mike, non potei fare a meno di perlustrare il tavolo al quale erano seduti Rosalie, Alice e Jasper, impegnati in una fitta conversazione. E non riuscii a frenare la delusione che mi assalì quando mi resi conto che non sapevo quando ci saremmo rivisti.

Al mio solito tavolo, tutti erano presi dai piani per il giorno seguente. Mike aveva ripreso vita, dopo aver riposto piena fiducia nelle previsioni del tempo locali, secondo le quali il sole era in arrivo. Non ci avrei creduto finché non l’avessi visto. La temperatura, intanto, si era alzata: c’erano quasi quindici gradi. Forse la gita non sarebbe stata un disastro totale.

Durante il pranzo intercettai un paio di sguardi poco amichevoli di Lauren, che non capii finché non uscimmo di lì. Camminavamo in gruppo; io le stavo alle spalle, a pochi centimetri dai suoi liscissimi capelli biondo platino, ma lei, evidentemente, non se n’era accorta.

«...Forse sarebbe il caso che Bella», pronunciò il mio nome con scherno, «d’ora in poi si sedesse al tavolo dei Cullen», la sentii borbottare a Mike. Non mi ero mai accorta di quanto la sua voce fosse sgradevole e nasale e fui sorpresa da tanta malignità. Non ci conoscevamo affatto bene, di certo non abbastanza perché mi potesse avere tanto in antipatia. Almeno, così pensavo prima.

«È amica mia, e si siede al nostro tavolo», rispose a mezza voce Mike, con lealtà, ma forse anche per marcare il suo territorio. Mi fermai, lasciandomi superare da Jess e Angela. Non volevo sentire altro.

Quella sera, a cena, Charlie sembrò entusiasta della gita a La Push. Probabilmente si sentiva in colpa perché durante i fine settimana mi lasciava sempre a casa da sola, ma del resto gli ci erano voluti anni per consolidare le proprie abitudini e non poteva certo distruggerle ora. Ovviamente conosceva i nomi di tutti i miei compagni di escursione, dei loro genitori, e probabilmente anche dei loro bisnonni. Si vedeva che approvava l’iniziativa. Mi chiedevo se avrebbe anche approvato il mio progetto di andare a Seattle con Edward Cullen. Non che pensassi, è chiaro, di farne parola.

«Papà, tu conosci un posto che si chiama Goat Rocks o qualcosa del genere? Mi sembra che sia a sud del monte Rainier», chiesi, buttandola lì casualmente.

«Sì, perché?».

Feci spallucce. «Certi ragazzi che conosco parlavano di andarci in campeggio».

«Non è un gran posto per campeggiare». Sembrava sorpreso. «Troppi orsi. Più che altro ci si va durante la stagione di caccia».

«Ah», mormorai, «forse ho capito male il nome».

Avevo intenzione di dormire fino a tardi, ma uno strano luccichio mi svegliò. Aprii gli occhi e vidi un raggio di luce forte e gialla penetrare dalla tenda. Non potevo crederci. Corsi alla finestra a controllare, e c’era il sole, davvero. Era nel posto sbagliato, troppo basso nel cielo, e non sembrava vicino come avrebbe dovuto essere, ma era il sole, senza dubbio. La linea dell’orizzonte era ancora coperta di nubi, però al centro del cielo si apriva una grande chiazza azzurra. Restai alla finestra il più a lungo possibile, temendo che se mi fossi allontanata l’azzurro sarebbe sparito.

Olympic Outfitters, il negozio di articoli sportivi dei Newton, era a nord, appena fuori Forks. L’avevo già notato ma non mi ci ero mai fermata: non avevo mai avuto bisogno di equipaggiamento da trekking o da campeggio. Nel parcheggio riconobbi il Suburban di Mike e la Sentra di Tyler. Mi avvicinai. Il gruppo si era radunato di fronte all’auto di Mike. Ecco Eric, assieme ad altri due nostri compagni di corso; ero quasi sicura che si chiamassero Ben e Conner. Ed ecco Jess, affiancata da Angela e Lauren. Accanto a loro c’erano tre ragazze. Una la ricordavo bene perché l’avevo travolta il venerdì precedente durante l’ora di ginnastica. Mi lanciò un’occhiataccia quando scesi dal pick-up e sussurrò qualcosa a Lauren. Lauren ravvivò la sua chioma platinata e mi guardò con un certo disprezzo.

Ecco, sarebbe stato uno di quei giorni.

Se non altro, Mike era contento di vedermi.

«Sei arrivata!», disse, allegro. «Te l’avevo detto che sarebbe uscito il sole!».

«Te l’avevo detto che sarei venuta», risposi io.

«Mancano soltanto Lee e Samantha... a meno che tu non abbia invitato qualcun altro», aggiunse Mike.

«No», dissi, una mezza bugia che mi auguravo passasse inosservata. Eppure speravo in un miracolo, speravo che apparisse Edward.

Mike sembrava soddisfatto.

«Sali in macchina con me? L’alternativa è il furgoncino della mamma di Lee».

«Certo».

Il suo viso si illuminò. Era così facile fare contento Mike.

«Puoi sederti davanti accanto a me», promise lui. Nascosi il mio nervosismo. Non era tanto semplice fare contenti Mike e Jessica allo stesso tempo. Ora sentivo addosso lo sguardo di lei.

Tuttavia, i numeri giocarono a mio favore. Lee aveva invitato due persone in più, perciò bisognava sfruttare tutti i posti. Feci in modo di fare accomodare Jessica tra me e Mike, sul sedile anteriore del Suburban. Mike si adattò malvolentieri, ma se non altro Jess si calmò.

La Push distava soltanto una ventina di chilometri da Forks. La strada, quasi completamente attorniata da foreste rigogliose e verdi, incrociava per due volte la serpentina del fiume Quillayute. Ero così contenta di stare seduta accanto al finestrino. Lo tenevo abbassato - il Suburban con nove passeggeri era un po’ claustrofobico - e cercavo di non perdermi neanche un istante di luce solare.

Durante i miei soggiorni a Forks da Charlie, ero già stata alle spiagge nei dintorni di La Push, perciò la mezzaluna lunga un miglio di First Beach mi era familiare. Rimasi comunque senza fiato. L’oceano era plumbeo, scuro, anche sotto la luce del sole, e gli spruzzi bianchi delle onde si frangevano sul litorale grigio e roccioso. Dalle acque del golfo color dell’acciaio emergevano isolotti rocciosi a strapiombo sul mare come scogli, sulla cui cima spiccavano alberi solitari e austeri. L’unico lembo di sabbia non era più che un orlo al limitare del bagnasciuga: da lì in poi era solo una larga fascia di sassi levigati, confusi dalla distanza in una tinta grigia uniforme, ma che visti da vicino mostravano tutte le tonalità possibili: terracotta, verde mare, lavanda, grigio-azzurro, oro opaco. La battigia era disseminata di grandi tronchi alla deriva, sbiancati come ossa dal sale delle onde, alcuni impilati ai bordi della foresta, altri solitari, appena fuori dalla portata del mare impetuoso.