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Dopo le lezioni, Jessica mi seguì sulla sua vecchia Mercury bianca fino a casa, dove lasciai i libri e il pick-up. Mi pettinai alla svelta, animata da una leggera eccitazione all’idea di uscire fuori da Forks. Lasciai sul tavolo un biglietto per Charlie con le istruzioni per trovare la cena, cambiai il portafogli disastrato che stava nello zaino con una borsetta che usavo raramente, e corsi fuori da Jessica. Poi passammo a prendere Angela, che ci stava già aspettando. Quando uscimmo davvero dai confini di Forks la mia eccitazione schizzò alle stelle.

8

Port Angeles

Jess guidava più veloce dell’ispettore Swan, perciò raggiungemmo Port Angeles entro le quattro. Non passavo una giornata fuori con le amiche da un sacco di tempo, e quella sferzata di estrogeni mi rinvigoriva. Ascoltavamo canzoni rock piagnucolose, mentre Jessica si perdeva in chiacchiere a proposito dei ragazzi che frequentavamo. La cena con Mike era andata molto bene, e sperava di arrivare al primo bacio entro quel sabato sera. Sorrisi tra me e me, soddisfatta. Angela era passivamente felice di andare al ballo, ma Eric non le faceva né caldo né freddo. Jess cercò di costringerla a confessare chi mai fosse il suo tipo, ma dopo un po’ interruppi quell’interrogatorio spostando il discorso sui vestiti, per risparmiarla. Angela mi lanciò un’occhiata piena di riconoscenza.

Port Angeles era una piccola, bellissima trappola per turisti, molto più caratteristica e raffinata di Forks. Ma Jessica e Angela la conoscevano bene, perciò non avevano in programma di sprecare tempo sul pittoresco molo al centro della baia. Jess fece rotta senza indugio verso l’unico grande magazzino della città, qualche isolato più all’interno rispetto alla facciata dedicata ai visitatori.

L’abbigliamento richiesto per il ballo era “semiformale”, e non eravamo granché sicure di cosa volesse dire. Sia Jessica che Angela restarono sorprese, quasi incredule, quando confessai che a Phoenix non avevo mai partecipato a un ballo.

«Non ci sei mai andata con un ragazzo con cui stavi, o qualcosa del genere?», chiese Jess dubbiosa mentre entravamo nel grande magazzino.

«No, davvero». Volevo convincerla senza dover confessare i miei problemi con la danza. «Non ho mai avuto fidanzati, né niente di simile. Non uscivo granché».

«Perché no?», mi domandò.

«Nessuno mi invitava», fu la mia risposta, sincera.

Lei sembrava poco convinta. «Qui la gente ti invita fuori», mi fece notare, «e tu rifiuti». Eravamo arrivate nel reparto femminile, pronte a perlustrare gli scaffali in cerca di vestiti eleganti.

«Be’, escluso Tyler», disse Angela a bassa voce.

«Scusa?». Deglutii. «Cos’hai detto?».

«Tyler ha detto a tutti che verrà con te al ballo di fine anno», m’informò Jessica, con uno sguardo sospettoso.

«Cos’ha detto?». Dalla voce che mi uscì sembrava che qualcuno mi stesse strangolando.

«Te l’ho detto che non era vero», mormorò Angela a Jessica.

Restai zitta, persa dentro una sorpresa che si stava rapidamente trasformando in irritazione. Ma ormai eravamo arrivate agli scaffali giusti, era ora di darsi da fare.

«Quello è il motivo per cui non piaci a Lauren», disse Jessica, ridendo, mentre frugavamo tra i vestiti.

Digrignai i denti. «Secondo voi, se lo investo con il pick-up la pianterà di sentirsi in colpa per l’incidente? Dite che smetterebbe di volersi riabilitare e finalmente si sentirebbe in pari?».

«Forse», disse Jess soffocando una risatina, «ammesso che il motivo sia davvero quello».

La gamma dei vestiti non era ampia, ma le mie amiche trovarono qualcosa da provare. Mi accomodai su una seggiola bassa proprio dentro il camerino, accanto agli specchi, cercando di controllare la mia stizza.

Jess era indecisa tra due vestiti, uno più tradizionale, lungo, nero e senza spalline, l’altro blu elettrico, appena sopra le ginocchia, con spalline sottili. Le consigliai quello blu: perché non dare una bella sferzata agli occhi? Angela scelse un abito rosa pallido, che scivolava sul suo fisico slanciato e donava al castano chiaro dei suoi capelli sfumature color miele. Mi sperticai in complimenti per entrambe e le aiutai a rimettere in ordine i capi scartati. La scelta dei vestiti era stata un’operazione molto più breve e semplice rispetto alle occasioni in cui avevo accompagnato Renée. Immaginavo che la scelta limitata avesse influito.

Passammo alle scarpe e agli accessori. Mentre loro due provavano accostamenti diversi, mi limitai a osservare e criticare: malgrado avessi bisogno di un paio di scarpe nuove, non ero dell’umore giusto per lo shopping. L’eccitazione della gita con le ragazze stava scemando, infiacchita dalla rabbia per Tyler, e cedeva il passo alla tristezza per l’imminente rientro.

«Angela?», cominciai, incerta, mentre lei stava provando un paio di scarpe rosa allacciate, vertiginose - era entusiasta di uscire con un ragazzo abbastanza alto da poter indossare i tacchi. Jessica si era allontanata verso il banco della bigiotteria, lasciandoci sole.

«Sì?». Allungò la gamba e girò la caviglia per osservare meglio la scarpa.

«Quelle mi piacciono». Rinunciai.

«Credo che le comprerò... Anche se non le abbinerò mai a nient’altro se non a questo vestito», commentò lei.

«Oh, non pensarci: sono in saldo». Sorrise al mio incoraggiamento e rimise a posto una scatola che conteneva un altro paio color avorio, dall’aria molto più pratica.

Ci riprovai: «Ehm, Angela...». Lei alzò gli occhi, incuriosita.

Parlai senza staccare gli occhi dalla sua scarpa: «È normale che i... Cullen siano assenti così a lungo?». Il mio tentativo di sembrare disinvolta fallì miseramente.

«Sì, quando c’è bel tempo partono sempre per lunghe escursioni. Anche il dottore. È gente che appena può se ne sta in mezzo alla natura», rispose lei, tranquilla. Evitò di fare anche una sola domanda, altro che le centinaia di quesiti che avrebbe posto Jessica. Angela iniziava a piacermi davvero.

«Ah». Lasciai cadere la discussione nel momento in cui Jess tornò a mostrarci i finti diamanti che avrebbe abbinato alle scarpe argentate.

Avevamo in programma di cenare in un piccolo ristorante italiano sul molo, ma lo shopping era durato meno del previsto. Jess e Angela decisero di lasciare i vestiti in macchina e di andare alla baia a piedi. Dissi loro che le avrei raggiunte nel giro di un’ora, volevo cercare una libreria. Mi avrebbero accompagnata volentieri, ma le incitai ad andare a divertirsi: non avevano idea di quanto i libri mi potessero ipnotizzare e preferivo andarci da sola. Si diressero verso l’auto chiacchierando allegramente, e io imboccai la strada che mi aveva indicato Jess.

Trovare la libreria non fu un problema, ma non era ciò che cercavo. Le finestre erano piene di cristalli, pendagli acchiappasogni e libri sulla guarigione dello spirito. Non osai nemmeno varcare la soglia. Dalla vetrina riuscii a scorgere una cinquantenne dai capelli grigi lunghi fino alla schiena, vestita con un abito uscito dagli anni Sessanta, che da dietro il bancone sorrideva e mi invitava a entrare. Non era il caso di farmi attaccare bottone. In città avrei trovato senz’altro una libreria normale.

Vagavo per le strade, già affollate dal traffico di fine giornata, e speravo di aver preso la direzione per il centro. Non stavo prestando grande attenzione alla mia meta: più che altro lottavo contro lo sconforto. Cercavo in tutti i modi di non pensare a lui, a ciò che aveva detto Angela... Soprattutto stavo cercando di ignorare le aspettative per il sabato successivo, temendo a morte di restare delusa, quando, a un certo punto, notai un certo modello di Volvo metallizzata parcheggiata lungo la strada, e l’argine che stavo costruendo mi crollò addosso. Quello stupido, inaffidabile vampiro.