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«Sinceramente non ho fame», insistetti, alzando gli occhi per studiare la sua espressione. Era ancora illeggibile.

«Fammi questo piacere».

Si avvicinò all’entrata del ristorante e la tenne aperta con ostinazione. Ovvio, non avevo possibilità di replica. Mi rassegnai, feci un sospiro, ed entrai nel ristorante con lui.

Il locale non era affollato, a Port Angeles era bassa stagione. Il maitre che ci venne incontro era una ragazza, e rivolse a Edward uno sguardo che potevo ben capire, riservandogli un’accoglienza un po’ più calda del necessario. Fui sorpresa da quanto mi sentivo toccata da tutto ciò. Era una bionda molto poco naturale e molto più alta di me.

«Un tavolo per due?». La sua voce era seducente, che fosse intenzionale o meno. Vidi gli occhi della ragazza passare e soffermarsi solo un istante su di me, certo soddisfatta che fossi così normale e poco appariscente e che tra me e lui ci fosse una netta distanza di sicurezza. Ci guidò verso un tavolo per quattro, al centro della zona più affollata del locale.

Stavo per sedermi, ma Edward scosse la testa.

«Non c’è qualcosa di più appartato?», domandò impaziente alla caposala. Mi sembrò quasi che le avesse allungato una mancia senza farsi vedere. Non avevo mai visto nessuno rifiutare un tavolo, a parte in qualche vecchio film.

«Certo», rispose lei, sorpresa quanto me. Fece strada attraverso un divisorio, tra la sala e una fila di séparé - tutti vuoti. «Questo va bene?».

«Perfetto». Sfoderò il suo sorriso luccicante e per un istante l’abbagliò.

Lei sbatté le ciglia, frastornata. «La cameriera arriva subito». E si allontanò a passo incerto.

«Non dovresti trattare così le persone, non è per niente corretto».

«Trattarle come?».

«Abbacinarle in quel modo per fare colpo. Probabilmente è corsa in cucina a cercare di riprendere fiato».

Sembrava confuso.

«E dai, non dirmi che non ti rendi conto dell’effetto che fai».

Inclinò la testa di lato, il suo sguardo si fece curioso. «Faccio colpo su tutti?».

«Non te ne sei accorto? Pensi che chiunque sia capace di fare quel che desidera così facilmente?».

Ignorò la mia domanda: «Abbaglio anche te?».

«Spesso», confessai.

Infine giunse la nostra cameriera, che sembrava impaziente di servirci. La maître si era eclissata dietro le quinte, e quest’altra ragazza non sembrava dispiaciuta. Si sistemò una ciocca di capelli neri dietro l’orecchio e sorrise, fin troppo entusiasta.

«Ciao, mi chiamo Amber, e stasera mi occuperò di voi. Cosa porto da bere?». Parlava soltanto con lui, ovviamente.

Edward mi guardò.

«Per me una Coca». Sembrava una domanda.

«Due», soggiunse lui.

«Ve le porto subito», ribatté la ragazza con un altro sorriso superfluo. Ma lui non se ne accorse. Guardava me.

«Cosa c’è?», chiesi non appena si fu allontanata.

Non staccava gli occhi dal mio viso. «Come ti senti?».

«Bene», risposi, sorpresa dalla sua intensità.

«Non ti senti scossa, con la nausea, infreddolita?».

«Dovrei?».

Soffocò una risata, di fronte alla mia incertezza.

«Be’, in realtà sto aspettando che tu entri in uno stato di shock». E sul suo volto riapparve quel perfetto sorriso ammiccante.

«Non credo che succederà», dissi, dopo aver ripreso ossigeno. «Sono sempre stata brava a reprimere gli episodi spiacevoli».

«Comunque sia, starò meglio quando avrai assunto un po’ di cibo e zuccheri».

Con tempismo perfetto, la cameriera apparve con le nostre bevande e un cestino di grissini. Li servì dandomi le spalle.

«Siete pronti per ordinare?», chiese a Edward.

«Bella?», disse lui. La ragazza si voltò, suo malgrado, verso di me.

Scelsi il primo piatto che vidi sul menù: «Ehm... per me i ravioli ai funghi».

«E per te?», si rivolse a Edward con un sorriso.

«Per me niente», rispose lui. Come poteva essere altrimenti?

«Se cambi idea, fammi sapere». Il sorriso civettuolo era ancora al suo posto, ma Edward la ignorava, e lei si allontanò scontenta.

«Bevi», ordinò.

Assaggiai la bibita a piccoli sorsi, obbediente, ma poi me la gustai, sorpresa di quanto fossi assetata. Quando avvicinò il suo bicchiere mi accorsi che avevo prosciugato il mio.

«Grazie», mormorai, ancora assetata. Il freddo della bibita ghiacciata mi invase, e sentii un brivido.

«Hai freddo?».

«È la Coca», spiegai, presa da un altro fremito.

«Non hai un giubbotto?». Mi stava chiaramente rimproverando.

«Sì», mi voltai verso la sedia al mio fianco. «Oh... l’ho lasciato sulla macchina di Jessica».

Edward si sfilò il giaccone. Mi resi conto all’improvviso di non avere fatto caso al suo abbigliamento, non soltanto quella sera, ma sempre. Come se non ci fosse altro che il suo viso. Allora mi sforzai di osservarlo. Indossava una giacca di pelle beige, sopra un dolcevita bianco. Gli stava a pennello, metteva in risalto i muscoli del petto.

Quando mi offrì il giaccone, distolsi lo sguardo.

«Grazie», ripetei, infilandomelo. Era freddo... come la mia giacca a vento di mattina, dopo una notte sull’appendiabiti nell’umidità del corridoio. Rabbrividii ancora. Aveva un profumo straordinario. Lo annusai, cercando di identificare l’aroma delizioso. Non era dopobarba. Le maniche erano troppo lunghe: le arrotolai per scoprirmi le mani.

«Quel blu dona molto alla tua carnagione», disse, osservandomi. Mi sorprese, e abbassai lo sguardo, naturalmente rossa di vergogna.

Lui spinse il cesto del pane verso di me.

«Davvero, non sono in stato di shock», protestai.

«Dovresti: una persona normale reagirebbe così. Non sembri neanche scossa». Pareva insoddisfatto. Mi guardò negli occhi, e vidi quanto fossero chiare le sue iridi, più chiare e dorate del solito, caramellate.

«Vicino a te mi sento così sicura», confessai, di nuovo in balia del suo sguardo ipnotico.

Non approvò: la sua fronte di alabastro si aggrottò. Scosse la testa, corrucciato.

«È più complicato di quanto avessi immaginato», disse tra sé.

Presi un grissino e iniziai a sgranocchiarlo, valutando la sua espressione. Volevo capire quale fosse il momento giusto per iniziare con le domande.

«Di solito quando hai gli occhi così chiari sei di buonumore», commentai, cercando di distrarlo da ciò che lo aveva reso tanto cupo e pensieroso.

Mi guardò sbalordito. «Cosa?».

«Quando hai gli occhi neri sei sempre intrattabile, almeno così mi pare. Ho una teoria».

Socchiuse gli occhi. «Un’altra?».

«Già». Sgranocchiai ancora un po’ il grissino fingendo indifferenza.

«Spero che stavolta tu sia un po’ più fantasiosa... o hai preso ancora ispirazione dai fumetti?». Accennò un sorriso di scherno, ma lo sguardo era ancora tirato.

«Be’ no, non ho copiato dai fumetti, ma non è neanche un’invenzione mia».

«E...?».

Ma a quel punto, da dietro il divisorio, spuntò la cameriera con il mio piatto. Quando la ragazza si avvicinò realizzai che senza volerlo ci eravamo avvicinati l’uno all’altra, perché ci raddrizzammo entrambi. Mi sistemò i ravioli di fronte - avevano un bellissimo aspetto - e si rivolse immediatamente a Edward.

«Hai cambiato idea? C’è qualcosa che desideri?». Il doppio senso poteva essere solo una mia immaginazione.

«No, grazie, soltanto altri due bicchieri di Coca». E indicò con la mano lunga e bianca i vuoti, di fronte a me.

«Certo». Portò via i bicchieri e si allontanò.

«Dicevi?», riprese Edward.

«Ti dirò tutto in macchina. Se...».

«Ci sono delle condizioni?». Alzò un sopracciglio e parlò in tono minaccioso.

«Anch’io ho qualche domanda da farti, ovviamente».

«Ovviamente».

La cameriera tornò con le nostre bibite. Le servì senza dire parola e se ne andò.