Ne presi un sorso.
«Be’, vai avanti», incalzò lui, senza nascondere il nervosismo.
Esordii con la domanda meno maliziosa. Almeno, così mi sembrava. «Cosa sei venuto a fare a Port Angeles?».
Lui fissò il tavolo, e giunse le grandi mani. Mi fulminò con un’occhiata da sotto le ciglia, l’ombra di un sorriso sul suo volto.
«La prossima».
«Ma questa era la più facile».
«La prossima», ripeté.
Io abbassai gli occhi, frustrata. Tolsi le posate dal tovagliolo, afferrai la forchetta e infilzai con cura un raviolo. Masticai il boccone lentamente, a occhi bassi, e nel frattempo riflettevo. I funghi erano buoni. Ingoiai, bevvi un altro sorso di Coca, infine sollevai di nuovo gli occhi.
«D’accordo», lo inchiodai con uno sguardo e proseguii lentamente. «Diciamo - per ipotesi, certo - che... qualcuno... sia capace di leggere la mente, i pensieri altrui, ecco... con qualche eccezione».
«Una sola eccezione», precisò lui, «per pura ipotesi».
«Va bene, con una sola eccezione». Ero contenta che stesse al gioco, ma mi sforzai di rimanere sul vago. «Come funziona? Che limiti ci sono? Come può quel... qualcuno... trovare una persona nel posto e nel momento giusto? Come fa ad accorgersi che è in pericolo?». Mi chiedevo se le mie domande contorte avessero un chiaro significato.
«Per ipotesi?», chiese.
«Certo».
«Be’, se... quel qualcuno...».
«Chiamiamolo Joe», suggerii.
Accennò un sorriso. «Vada per “Joe”. Se Joe avesse fatto attenzione, non sarebbe stato necessario essere tanto tempestivi». Scosse la testa e alzò gli occhi al cielo. «Solo tu sei capace di cacciarti nei guai in una città così piccola. Sai, eri sul punto di rovinare un decennio intero di statistiche locali sulla criminalità».
«Stavamo parlando di una situazione ipotetica», precisai gelida.
Rise, il suo sguardo si era fatto più caldo.
«Sì, certo. La chiamiamo Jane?».
«Come facevi a saperlo?», chiesi, incapace di contenermi. Mi stavo di nuovo sporgendo verso di lui.
Sembrava vacillare, tormentato da un qualche dilemma interiore. Il suo sguardo s’incatenò al mio, e intuii che proprio in quel momento stava decidendo se raccontarmi la verità e farla finita.
«Di me ti puoi fidare, già lo sai», sussurrai. Mi feci avanti, senza pensarci, per toccare le sue mani giunte, ma lui le spostò impercettibilmente indietro, e rinunciai.
«Non so se ormai mi resta altra scelta». La sua voce era quasi un sussurro. «Mi sbagliavo, sei molto più leale di quanto ti avessi giudicata».
«Pensavo che avessi sempre ragione».
«Una volta era così». Scosse di nuovo la testa. «Mi sbagliavo anche a proposito di un’altra cosa. Non sei una calamita che attira incidenti, è una classificazione troppo limitata. Tu attiri disgrazie. Se c’è qualcosa di pericoloso nel raggio di dieci chilometri, puoi scommettere che ti troverà».
«Tu rientri nella categoria?».
La sua espressione si fece impassibile, neutra. «Senza alcun dubbio».
Cercai di nuovo la sua mano, incurante della reazione, e ne toccai il dorso con la punta delle dita. La pelle era fredda e dura come la pietra.
«Grazie», la mia voce tremava di gratitudine, «con questa sono due».
Si rilassò. «Facciamo in modo che non ci sia un tre, d’accordo?».
Mio malgrado, annuii. Allontanò la mano per nasconderla sotto il tavolo assieme all’altra. Poi però mi si avvicinò.
«Ti ho seguita fino a Port Angeles», confessò, parlando in fretta. «Non ho mai tentato di salvare la vita a una singola persona prima d’ora, ed è un’impresa molto più fastidiosa di quanto credessi. Ma probabilmente dipende anche da te. Le persone normali riescono a tornare a casa ogni sera senza scatenare tante catastrofi». Fece una pausa. Mi chiedevo se il pedinamento avrebbe dovuto farmi sentire a disagio; in realtà, mi sentivo stranamente lusingata. Lui mi fissava, forse non capiva perché le mie labbra si stessero curvando in un sorriso involontario.
«Hai mai pensato che forse la mia ora doveva suonare già la prima volta, con l’incidente del furgoncino, e che tu hai di fatto interferito con il destino?». Cercai di distrarmi con quella riflessione.
«Quella non era la prima volta», disse, e fu difficile riuscire a sentirlo. Lo fissai, stupita, ma lui teneva gli occhi bassi. «La tua ora è suonata quando ti ho conosciuta».
A queste parole fui assalita da un crampo di paura, e dal ricordo improvviso del suo sguardo nero e violento, il primo giorno... ma l’invincibile sensazione di sicurezza che provavo accanto a lui mise a tacere ogni timore. Quando alzò gli occhi, nei miei non vide più alcuna traccia di terrore.
«Ti ricordi?», chiese, con un velo di serietà su quel viso d’angelo.
«Sì». Ero calma.
«Eppure, eccoti seduta qui», disse alzando un sopracciglio, nella sua voce si sentiva un’ombra di incredulità.
«Si, sono seduta qui... grazie a te». Feci una pausa. «Perché in qualche modo sapevi dove trovarmi oggi?».
Serrò le labbra e mi fissò, accigliato, di nuovo incerto se dire o no la verità. Il suo sguardo si posò per un istante sul piatto pieno, poi su di me.
«Tu mangi, io parlo», negoziò.
Infilzai subito un altro raviolo e lo inghiottii svelta.
«È più difficile di come dovrebbe essere... non perdere le tue tracce. Di solito sono in grado di individuare le persone con molta facilità, mi basta sentire la loro mente una volta sola». Mi guardò impaziente, e mi resi conto di essermi immobilizzata. Mi sforzai di ingoiare il boccone, trafissi un altro raviolo e iniziai a masticarlo.
«Tenevo d’occhio Jessica distrattamente - come ti ho detto, solo tu riesci a metterti nei guai a Port Angeles - e all’inizio non mi sono accorto che avevi proseguito da sola. Poi, quando ho capito che non eri più con lei, sono venuto a cercarti nella libreria che ho visto nei suoi pensieri. Ho intuito che non c’eri entrata, che ti eri diretta a sud... E sapevo che prima o poi avresti dovuto tornare indietro. Perciò ti stavo aspettando, cercandoti qui e là tra i pensieri dei passanti, nel caso che qualcuno ti avesse incrociata. Non c’era motivo di preoccuparmi... ma sentivo una strana ansia...». Era perso nel suo racconto, fissava il vuoto alle mie spalle: vedeva cose che non potevo immaginare.
«A quel punto ho iniziato a girare in tondo, restando... in ascolto. Fortunatamente il sole stava tramontando, così avrei potuto scendere dall’auto e seguirti a piedi. E poi...». Si arrestò, stringendo i denti all’improvviso, furioso. Si sforzò di restare calmo.
«Poi cosa?», sussurrai. Continuava a fissare il vuoto dietro la mia testa.
«Ho sentito cosa stavano pensando», ringhiò, arricciando il labbro superiore sopra i denti. «Ho visto il tuo volto nei loro pensieri». Scattò in avanti, poggiò un gomito sul tavolo, la mano sugli occhi. Il movimento fu talmente repentino da farmi sobbalzare.
«È stato molto... difficile - tu non puoi immaginare quanto - limitarmi a portare via te e risparmiare loro... la vita». La sua voce era smorzata dal braccio che aveva davanti. «Avrei potuto lasciarti rientrare assieme a Jessica e Angela, ma temevo che se fossi rimasto solo sarei tornato a cercarli», ammise, sottovoce.
Restai in silenzio, sconvolta, la testa piena di pensieri incoerenti. Tenevo le mani in grembo e mi appoggiavo a stento contro lo schienale della sedia. Lui nascondeva ancora il viso nella mano, tanto immobile da parere scolpito nella roccia a cui somigliava la sua pelle.
Alla fine alzò lo sguardo, in cerca del mio, deciso a fare le sue domande.
«Sei pronta per tornare a casa?».
«Sono pronta per andare via di qui», precisai, palesemente soddisfatta che ci restasse un’ora abbondante di viaggio, per raggiungere Forks. Non ero ancora pronta per salutarlo.
La cameriera riapparve, come se l’avessimo chiamata. O come se ci avesse tenuti d’occhio.
«Come andiamo?», chiese a Edward.