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«Mmm».

«Perciò, mi chiedevo...», cercai di ricominciare, ma persi il filo del discorso perché le sue dita avevano preso a seguire il profilo del mio collo, fino alle spalle.

«Sì?», mi alitò.

«Secondo te», la voce mi tremò, con mio imbarazzo, «qual è il motivo?».

Sentii la sua risata vibrarmi sul collo. «La ragione domina sugli istinti».

Mi allontanai ritraendomi; lui rimase impietrito - non lo sentivo più nemmeno respirare.

Incrociammo i nostri sguardi attenti. La sua espressione si fece più rilassata, ma allo stesso tempo perplessa.

«Ho fatto qualcosa di male?».

«No... al contrario. Mi stai facendo impazzire».

Meditò qualche istante, e quando aprì bocca sembrava compiaciuto: «Davvero?». Il suo viso si andò illuminando di un sorriso trionfante.

«Ti aspetti che parta un applauso?».

Fece una risatina.

«È solo che sono rimasto positivamente sorpreso. Nell’ultimo... centinaio di anni non ho mai immaginato che potesse succedermi qualcosa del genere. Non credevo che avrei desiderato stare con qualcuno... che non fosse come fratello o sorella. E poi, scoprire che malgrado sia totalmente nuovo per me, sono bravo... a stare con te...».

«Tu sei bravo in tutto».

Fece spallucce, come per darmene atto, ed entrambi ridemmo sottovoce.

«Ma com’è possibile che adesso sia così facile? Oggi pomeriggio...».

«Non è facile», sospirò, «ma oggi pomeriggio, ero ancora... indeciso. Mi dispiace, è stato un comportamento imperdonabile».

«No, non imperdonabile».

«Grazie». Sorrise, poi abbassò lo sguardo. «Vedi, non ero sicuro di essere abbastanza forte...». Mi prese la mano e se la premette piano contro la guancia. «E finché sentivo come ancora possibile che venissi... sopraffatto», respirò il profumo tra le mie dita, «ero... vulnerabile. Poi mi sono convinto che sono abbastanza forte, che non ci sarebbe stato nessun rischio di... di poter...».

Non l’avevo mai visto così in difficoltà con le parole. Era davvero... umano.

«Perciò, ora non corro più rischi?».

«La ragione domina gli istinti», ripeté, e sfoderò il suo sorriso, brillante anche nell’oscurità.

«Be’, è stato facile».

Gettò indietro la testa e rise, sottovoce ma con gusto.

«Facile per te!». E mi sfiorò il naso con la punta del dito.

L’istante dopo tornò serio.

«Ci sto provando», sussurrò, un filo di dolore nella sua voce. «Se dovesse diventare... troppo, sono convinto che riuscirei ad andarmene».

Che tristezza. Non mi piaceva mai quando parlava di andarsene.

«E domani sarà più difficile. Ora sono assuefatto alla presenza costante del tuo odore. Se ti resto lontano troppo a lungo mi toccherà ricominciare da capo. Non proprio da zero, però».

«Allora non andartene», risposi, incapace di nascondere il desiderio.

«Sono d’accordo», rispose, rivolgendomi un sorriso gentile e sereno. «Pronto per le manette: sono tuo prigioniero». Ma, mentre parlava, furono le sue mani a stringere i miei polsi. Rideva di un riso sommesso e musicale. Era più ilare quella sera di quanto lo fosse stato in tutto il tempo trascorso assieme prima di allora.

«Sembri più... ottimista del solito. Non ti ho mai visto così di buonumore».

«Non dovrebbe essere così?». Sorrise. «La gloria del primo amore, e tutto il resto. È incredibile quanta differenza passi tra apprendere le cose dai libri, dai film, e viverle in prima persona nella realtà, vero?».

«Senza dubbio è tutto molto più intenso di quanto avessi immaginato».

Poi riprese di slancio, parlò a raffica e dovetti concentrarmi per cogliere tutto: «Per esempio, il sentimento della gelosia. Ne avrò letto migliaia di volte, l’ho visto interpretare in migliaia di drammi e film. Pensavo di comprenderlo perfettamente. Ma sono rimasto stupito... Ricordi quando Mike ti ha invitata al ballo?». Mi fissò negli occhi.

Annuii, benché ricordassi quel giorno per un altro motivo: «È stato quando hai ricominciato a parlarmi».

«Sono rimasto sorpreso dall’ondata di irritazione, quasi di furia, che ho sentito. Sulle prime non ho riconosciuto cosa fosse. A innervosirmi più del lecito, poi, c’era che non riuscivo a leggerti nel pensiero, non riuscivo a capire perché rifiutassi l’invito. Soltanto per non dare un dispiacere alla tua amica? C’era qualcun altro? In ogni caso, sapevo che non erano fatti miei, non dovevo badarci. Ho cercato di non badarci. E poi la fila si è allungata». Ridacchiò. Io rimasi zitta e seria, nell’oscurità.

«Restai in ascolto, pieno di irrazionale nervosismo, ansioso di sentire che risposta avresti dato loro, di leggere le espressioni sul tuo viso. Non nascondo che nel vedere il fastidio che ti suscitavano provavo sollievo. Ma non mi sentivo rassicurato.

Così ho iniziato a venire qui, proprio quella sera. Ho passato tutta la notte combattuto, mentre ti guardavo dormire, diviso tra ciò che ritenevo giusto, morale, etico, e ciò che desideravo. Sapevo che se avessi continuato a ignorarti, come avrei dovuto, o se fossi sparito per qualche anno fino alla tua partenza da Forks, avresti finito per dire di sì a Mike o a uno come lui. Che rabbia.

E poi... nel sonno ti ho sentita pronunciare il mio nome. Tanto chiaramente da farmi pensare che ti fossi svegliata. Ti sei rigirata nel letto, hai mormorato di nuovo il mio nome e sospirato. Quel momento mi ha sbalordito, e segnato. Ho capito che non avrei più potuto ignorarti». Restò in silenzio per qualche istante, probabilmente in ascolto dei battiti aritmici del mio cuore.

«La gelosia... che cosa strana. Molto più potente di quanto mi aspettassi. E irrazionale! Anche poco fa, quando Charlie ti ha chiesto di quel vile di Mike Newton...», scosse la testa, arrabbiato.

«Ecco, stavi ascoltando, avrei dovuto immaginarlo».

«Certo che sì».

«Ti ha fatto ingelosire, eh?».

«Per me è una novità. Stai resuscitando l’essere umano che è in me, e tutto ciò che sento è più forte, perché nuovo».

«Ma, sinceramente, come fai a preoccuparti tu, dopo essermi venuto a dire che Rosalie - Rosalie, l’incarnazione della pura bellezza! - doveva essere la tua compagna? Emmett o non Emmett, come faccio a competere?».

«Non c’è confronto». I suoi denti brillavano nel buio. Guidò le mie mani attorno alla sua schiena, stringendomi a sé. Cercai di restare immobile, dosando anche il minimo respiro.

«Lo so bene che non c’è confronto», sussurrai contro la sua pelle fredda. «Questo è il problema».

«Certo che Rosalie è bellissima, a suo modo, ma anche se non fosse come una sorella, anche se Emmett non ci vivesse insieme, lei non riuscirebbe a scatenare in me un decimo dell’attrazione che mi lega a te». Si era fatto serio e pensieroso. «Per quasi novant’anni ho vissuto tra quelli della mia specie, e della tua... sempre certo di bastare a me stesso, senza sapere ciò che stavo cercando. E senza trovare nulla, perché non eri ancora nata».

«Non mi sembra affatto giusto», sussurrai, con la testa sul suo petto, seguendo il ritmo del suo respiro. «Io non ho dovuto aspettare nemmeno un secondo. Perché dovrebbe andarmi così liscia?».

«Hai ragione», rispose, divertito. «Dovrei proprio rendertela più difficile. Una volta per tutte». Mi strinse i polsi, nella presa delicata di una sola mano. Accarezzò dolcemente i miei capelli umidi, dalla testa alle spalle. «Dopotutto sei soltanto costretta a rischiare la vita ogni secondo che passi assieme a me, e non è granché. Ti tocca soltanto voltare le spalle alla natura, all’umanità... cosa vuoi che sia?».

«Pochissimo. Non mi sembra di dover sopportare una gran rinuncia».

«Non ancora». All’improvviso la sua voce si riempì di un antico dolore.

Cercai di scostarmi per poterlo guardare in faccia, ma la stretta della sua mano attorno ai polsi era ferrea.

«Cosa...», cominciai a domandargli, ma lui si irrigidì immediatamente. Restai impietrita, lui lasciò le mie mani all’improvviso e sparì. Per poco non cadevo in avanti.