«Sdraiati!», sibilò. Non riuscivo a capire in quale parte dell’oscurità si fosse nascosto.
Mi avvolsi nella coperta, rannicchiandomi sul fianco come dormivo di solito. Sentii la porta aprirsi, era Charlie che sbirciava in camera per controllare che fossi dove dovevo essere. Respiravo regolare e pesante, accentuando il movimento delle spalle a ogni respiro.
Passò un minuto interminabile. Restai in ascolto, non ero sicura di aver udito la porta chiudersi. Poi sentii il braccio di Edward attorno a me, sotto le coperte, e le sue labbra accanto all’orecchio.
«Sei una pessima attrice... secondo me non farai mai carriera».
«Accidenti». Il cuore mi batteva all’impazzata.
Lui prese a canticchiare una melodia che non riconobbi, sembrava una ninna nanna.
«Devo cantarti qualcosa per farti addormentare?», chiese interrompendosi.
«Ah, certo. Come se potessi dormire con te accanto al letto!».
«Lo fai sempre».
«Ma prima non sapevo che fossi qui», risposi seccamente.
«Be’, se non vuoi dormire...», suggerì, ignorando il tono della mia voce. Sospesi il respiro.
«Se non voglio dormire...».
Fece una risatina. «Cosa preferisci fare?».
Non potei rispondere subito.
«Non saprei», dissi infine.
«Quando avrai deciso, dimmelo».
Sentivo il suo fiato freddo sul collo e il naso che mi sfiorava il mento e respirava il mio profumo.
«Pensavo ti ci fossi abituato».
«Il fatto che io resista al vino non significa che non ne possa apprezzare il bouquet», sussurrò. «Il tuo odore è molto floreale, sai di lavanda... o di fresia. È dissetante».
«Sì, è proprio una giornataccia, se nessuno mi dice quanto sono mangiabile».
Ridacchiò e tirò un sospiro.
«Ho deciso», decretai, «voglio sapere qualcos’altro di te».
«Chiedi pure».
Scelsi la più importante tra le mie domande. «Perché lo fai? Ancora non capisco perché ti sforzi così tanto di resistere a ciò che... sei. Ti prego, non fraintendermi, è ovvio che ne sono contenta. Ma non capisco quale sia la causa scatenante».
Indugiò, prima di rispondere: «È una bella domanda, e non è la prima volta che la sento. Anche gli altri - la maggior parte dei nostri simili, quelli che non rinnegano la propria natura - si chiedono come facciamo a vivere così. Ma vedi, il fatto che ci sia... toccata in sorte una certa condizione... non significa che non possiamo scegliere di innalzarci, di superare i confini di un destino che non abbiamo scelto noi. Cercando di conservare il più possibile l’essenza di un’umanità».
Ero impietrita, immobile, in un silenzio reverenziale.
«Ti sei addormentata?», bisbigliò, dopo qualche minuto.
«No».
«È soltanto questo che volevi sapere?».
Alzai gli occhi al cielo. «No davvero!».
«Cos’altro?».
«Perché sei capace di leggere nel pensiero? Perché soltanto tu? E Alice... com’è possibile che veda il futuro?».
Lo sentii stringersi nelle spalle. «Neanche noi lo sappiamo con precisione. Carlisle ha una teoria... secondo lui ognuno di noi porta con sé, nella sua nuova vita, una parte amplificata delle proprie caratteristiche umane. Io, per esempio, probabilmente ero una persona molto sensibile all’umore di chi mi stava attorno. E così Alice, ovunque fosse, forse aveva capacità precognitive».
«Lui e gli altri cos’hanno portato di sé nella nuova vita?».
«Carlisle la compassione. Esme la capacità di amare appassionatamente. Emmett la forza, Rosalie la... tenacia. Ma puoi chiamarla anche testardaggine», ridacchiò. «Jasper è molto interessante. Nella sua prima vita era molto carismatico, capace di convincere gli altri delle sue opinioni. Adesso riesce a manipolare le emozioni di chi lo circonda: calmare una folla inferocita, per esempio, o al contrario suscitare entusiasmo in un pubblico apatico. È un dono molto sottile».
Mi sforzai di considerare le cose che raccontava senza pensare che fossero assurdità. Attese pazientemente che finissi di riflettere.
«Ma dov’è iniziato tutto? Voglio dire, a cambiare te è stato Carlisle, ma qualcuno deve aver cambiato lui, e così via...».
«Be’, tu da dove vieni? Evoluzione? Creazione? Non potremmo esserci evoluti come le altre specie, predatori e prede? Oppure, se non credi che questo mondo sia nato da sé, cosa che io stesso fatico ad accettare, è così difficile pensare che la stessa forza che ha creato il pesce angelo e lo squalo, il cucciolo di foca e l’orca assassina, abbia creato la tua specie e la mia?».
«Fammi capire bene: io sarei il cucciolo di foca, vero?».
«Esatto», rise, e qualcosa mi toccò i capelli. Le sue labbra?
Avrei voluto voltarmi dalla sua parte per verificare che fossero davvero le sue labbra. Ma era meglio restare buona: non volevo rendergli la vita più difficile di quanto non fosse già.
«Sei pronta per addormentarti?», chiese, spezzando quel breve silenzio. «O hai altre domande?».
«Soltanto un milione o due».
«Ci sono ancora domani, e dopodomani, e il giorno dopo...», mi fece presente. Sorrisi, euforica.
«Mi prometti che non svanirai con l’arrivo del giorno?». Volevo esserne sicura. «Dopotutto, sei una creatura leggendaria».
«Non ti lascerò». Suonò come una promessa solenne.
«Ancora una, allora, per stasera...», arrossii. Che fosse buio mi aiutava poco: di sicuro Edward si accorse dell’improvviso calore sulla mia pelle.
«Quale?».
«No, lasciamo perdere. Ho cambiato idea».
«Bella, puoi chiedermi qualsiasi cosa».
Non risposi, e lui sbuffò: «Continuo a pensare che non poterti leggere nel pensiero col tempo sarà meno frustrante. Invece è sempre peggio».
«Sono felice che tu non sia capace di leggermi nel pensiero. Già è grave che origli quando parlo nel sonno».
«Per favore». La sua voce diventò così convincente, così irresistibile.
Feci segno di no.
«Se non me lo dici, darò per scontato che sia qualcosa di molto peggio di ciò che è», minacciò cupo. «Per favore». Riecco il tono implorante.
«Be’...», azzardai, e per fortuna non riusciva a vedermi in faccia.
«Sì?».
«Hai detto che Rosalie ed Emmett si sposeranno presto... Il loro matrimonio è uguale a... quelli umani?».
Capì cosa intendevo e scoppiò a ridere: «È lì che vuoi arrivare?».
Cincischiavo, incapace di rispondere.
«Sì, immagino che sia più o meno la stessa cosa», continuò. «Te l’ho detto, molti degli istinti umani sopravvivono, sono solo nascosti dietro altri e più potenti desideri».
«Ah».
«Che scopo aveva questa domanda?».
«Be’, mi chiedevo, in effetti, se... io e te... un giorno...».
Si fece subito serio. Lo sentivo nell’immobilità del suo corpo. Anch’io restai impietrita, automaticamente.
«Non penso che... che... per noi sarebbe possibile».
«Perché sarebbe troppo difficile per te, sentirmi così... vicina?».
«Quello sarebbe senz’altro un problema. Ma ora pensavo ad altro. Il fatto è che sei così tenera, così fragile. Quando mi sei accanto devo badare a ogni mio gesto, per non farti del male. Potrei ucciderti senza sforzo, Bella, anche per sbaglio». La sua voce era diventata un debole sussurro. Avvicinò una mano e ne posò il palmo freddo sulla mia guancia. «Se avessi fretta... se per un secondo non facessi attenzione, potrei sfondarti il cranio con una carezza. Non ti rendi conto di quanto tu sia friabile. Non posso mai, mai permettermi di perdere il controllo, se ci sei tu. In nessun senso, mai».
Attese una risposta, sempre più ansioso di fronte al mio silenzio. «Sei spaventata?».
Aspettai un altro minuto, per sembrare sincera: «No. Tutto bene».
Per un momento sembrò perso in una riflessione. «Adesso, però, sono curioso io», disse, rasserenandosi. «Hai mai...». Lasciò la domanda in sospeso, in maniera teatrale.
«Certo che no». Arrossii. «Te l’ho già detto, nessuno mi ha mai fatto sentire così, nemmeno lontanamente».