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«Lo so. Però conosco i pensieri delle altre persone. E so che sentimento e sensualità non vanno sempre di pari passo».

«Per me sì. Perlomeno adesso che li sento nascere», sospirai.

«Bene. Se non altro, una cosa in comune l’abbiamo». Sembrava soddisfatto.

«I tuoi istinti umani...», m’interruppi, e lui attese che completassi la frase. «Be’, mi trovi minimamente attraente anche in quel senso?».

Rise e mi arruffò i capelli quasi asciutti.

«Non sarò un essere umano, ma un uomo sì».

Senza volerlo, sbadigliai.

«Ho risposto alle tue domande, ora è meglio che tu dorma».

«Non so se ci riuscirò».

«Vuoi che me ne vada?».

«No!», dissi, a voce troppo alta.

Rise, e iniziò a sussurrare la stessa ninna nanna sconosciuta di prima: la voce di un arcangelo che mi accarezzava l’orecchio.

Più stanca di quanto pensassi, esausta come non mai, dopo una lunga giornata e uno stress mentale ed emotivo quale non avevo mai vissuto, mi abbandonai al sonno tra le sue braccia fredde.

15

I Cullen

Mi risvegliai alla luce smorzata dell’ennesimo giorno di cielo coperto. Ero sdraiata, con un braccio a nascondermi il viso, intontita. Qualcosa, un sogno che chiedeva di essere ricordato, si faceva largo nella mia coscienza. Sbadigliai e mi girai sul fianco, sperando di riaddormentarmi. E di colpo la mia mente fu inondata dalla consapevolezza del giorno prima.

«Ah!». Mi alzai tanto in fretta da avere le vertigini.

«Il tuoi capelli sembrano una balla di fieno... ma mi piacciono». La sua voce serena giungeva dalla sedia a dondolo, nell’angolo.

«Edward! Sei rimasto qui!». Ero felicissima, e mi buttai immediatamente, senza pensarci un istante, in braccio a lui. Nell’attimo in cui mi resi conto del mio gesto, rimasi impietrita, sbalordita dal mio stesso entusiasmo incontrollato. Alzai lo sguardo, temendo di avere fatto un passo di troppo.

Ma lui rideva.

«Certo». Era stupito, ma apparentemente lieto della mia reazione. Mi accarezzava la schiena.

Posai la testa sulla sua spalla, con delicatezza, per respirare il profumo della sua pelle.

«Ero convinta di averti sognato».

«Non sei tanto creativa».

«Charlie!», mi ricordai all’improvviso, saltando su d’istinto e scattando verso la porta.

«È uscito un’ora fa... dopo aver ricollegato la batteria del pick-up, se proprio vuoi saperlo. Devo ammettere che un po’ mi ha deluso. Basterebbe così poco per bloccarti, se fossi decisa a fuggire?».

Mi fermai a riflettere, però senza spostarmi. Desideravo tornare in braccio a Edward ma temevo di avere l’alito pesante.

«Di solito, la mattina non sei così confusa», mi fece notare lui. Aspettava il mio ritorno a braccia aperte. Un invito quasi irresistibile.

«Ho bisogno di un altro minuto umano».

«Ti aspetto».

Filai in bagno, scombussolata. Non riuscivo a decifrare le mie emozioni, non mi riconoscevo più. Il volto riflesso nello specchio era quello di un’estranea: occhi troppo lucidi, guance colorite, chiazzate di rosso. Dopo essermi spazzolata i denti, mi adoperai per sciogliere il caos di nodi che avevo tra i capelli. Mi lavai la faccia con l’acqua fredda e cercai, senza risultati apprezzabili, di respirare normalmente. Tornai in camera mia quasi di corsa.

Ritrovarlo lì, ancora a braccia aperte, era una specie di miracolo. Mi venne incontro, e il mio cuore impazzì.

«Bentornata», mormorò, abbracciandomi.

Per un po’ mi cullò in silenzio, finché non mi accorsi che i vestiti erano diversi e i capelli più ordinati.

«Te ne sei andato?», lo accusai, indicando il colletto della camicia appena indossata.

«Non potevo certo uscire di qui con gli stessi abiti che avevo quando sono entrato... Cosa avrebbero pensato i vicini?».

Lo guardai, imbronciata.

«Stavi dormendo sodo; non mi sono perso niente». Il suo sguardo si accese. «I discorsi li avevi già fatti».

«Cos’hai sentito?», mi uscì con un tono lamentoso.

I suoi occhi dorati mi sfiorarono con uno sguardo dolce. «Hai detto che mi amavi».

«Lo sapevi già», dissi, chinando la testa.

«Però è stato bello sentirlo».

Affondai la faccia nella sua spalla.

«Ti amo», sussurrai.

«Tu sei la mia vita, adesso».

Non ci restava più nulla da dire. Mi cullò, avanti e indietro, fino a quando la luce del giorno non invase la stanza.

«È ora di fare colazione», disse infine, disinvolto, per dimostrare - ne ero certa - di avere sempre presenti le mie debolezze umane.

Allora portai le mani al collo e spalancai gli occhi fissandolo con terrore. La sua espressione tradì che era scioccato.

«Scherzetto!», ridacchiai. «E poi dici che non sono capace di recitare!».

Fece una smorfia di disapprovazione. «Non è stato divertente».

«Invece sì, tanto, e lo sai anche tu». Esaminai i suoi occhi dorati per accertarmi che mi avesse perdonato. Apparentemente, sì.

«Posso riformulare la frase?», chiese. «È ora di fare colazione, per gli umani».

«Ah, d’accordo».

Mi prese in spalla, con gentilezza, ma anche con una velocità che mi lasciò senza fiato. Le sue spalle erano una roccia. Cercai inutilmente di protestare, mentre mi portava giù per le scale senza sforzo. Riuscì a scaricarmi direttamente su una sedia.

La cucina era luminosa, allegra, quasi uno specchio del mio umore.

«Cosa c’è per colazione?», chiesi con tono amabile.

La domanda lo lasciò interdetto qualche istante.

«Ehm, non saprei. Cosa ti piacerebbe mangiare?». Le sue sopracciglia marmoree erano corrugate.

Sorrisi e mi alzai di scatto.

«Benissimo, posso cavarmela da sola senza problemi. Osservami mentre caccio».

Trovai una tazza e una scatola di cereali. Sentivo i suoi occhi su di me, mentre versavo il latte e afferravo un cucchiaio. Disposi il cibo sul tavolo, in silenzio.

«Vuoi che procacci qualcosa anche per te?», chiesi, per non essere scortese.

Alzò gli occhi al cielo. «Mangia e basta, Bella».

Mi accomodai al tavolo, masticando la prima cucchiaiata senza staccargli gli occhi di dosso. Studiava ogni mio movimento. E la cosa mi metteva a disagio. Mi schiarii la gola per parlare, e distrarlo.

«Cos’abbiamo in programma oggi?».

«Mmm...». Lo osservai cercare la risposta. «Che ne dici di venire a conoscere la mia famiglia?».

Restai senza parole.

«Hai paura, adesso?». Sembrava speranzoso.

«In effetti, sì». Non potevo negarlo: me lo leggeva negli occhi.

«Non preoccuparti. Ti proteggerò io», mi rassicurò con un sorrisetto.

«Non ho paura di loro. Temo che non... gli piacerò. Non credi che saranno sorpresi di vederti arrivare assieme a una... come me... a casa loro, per conoscerli? Sanno quel che so di loro?».

«Sanno già tutto. Ieri hanno persino scommesso», accennò una risata, ma poco convinta, «su quante possibilità io abbia di portarti a casa sana e salva, benché mi sembri una stupidaggine scommettere contro Alice. E in ogni caso, nella mia famiglia non ci sono segreti. Non sarebbe proprio concepibile, con me che leggo nel pensiero, Alice che vede il futuro e tutto il resto».

«E Jasper che ti rende felice, contento ed entusiasta di raccontargli i fatti tuoi, non dimentichiamolo».

«Ah, vedo che quando parlo stai attenta».

«Di tanto in tanto capita anche a me». Feci una linguaccia. «Perciò, Alice mi ha già vista arrivare?».

La sua reazione fu strana. «Qualcosa del genere», disse, senza troppo entusiasmo, voltandosi per non mostrarmi il suo sguardo. Lo fissai, curiosa.

«È buono quel che mangi?», domandò, tornando a osservarmi all’improvviso e adocchiando la mia colazione con sguardo malizioso. «Sinceramente, non mette tanto appetito».

«Be’, di certo non è un grizzly permaloso...», mormorai, ignorando la sua reazione seria. Ancora mi stavo interrogando sul perché avesse reagito in quel modo quando avevo nominato Alice. Mi affrettai a finire i cereali, presa dai miei pensieri.