Ad accoglierci, alla nostra sinistra, in piedi su un rialzo occupato da uno spettacolare pianoforte a coda, trovammo i genitori di Edward.
Certo, avevo già conosciuto il dottor Cullen, ma non potevo non essere sorpresa dal suo aspetto giovanile, dalla sua sfacciata perfezione. Al suo fianco c’era Esme, dedussi: era l’unica tra i familiari di Edward che non avessi mai visto. Aveva gli stessi tratti pallidi e bellissimi di tutti loro. Qualcosa, nel suo viso a cuore, negli sbuffi di capelli soffici, color caramello, mi ricordava le svampite dei film muti. Era minuta, esile, ma non per questo ossuta, anzi, pareva più rotonda dei suoi figli. Entrambi erano vestiti in maniera informale, con colori chiari che si accompagnavano bene alle tinte della casa. Ci diedero il benvenuto con un sorriso, ma non si avvicinarono. Probabilmente non volevano terrorizzarmi.
Fu la voce di Edward a spezzare il breve silenzio: «Carlisle, Esme, vi presento Bella».
«Benvenuta, Bella». Carlisle mi venne incontro a passi misurati, attenti. Mi offri una mano, e feci un passo avanti per stringerla.
«È un piacere rivederla, dottor Cullen».
«Chiamami pure Carlisle».
«Carlisle». Gli sorrisi, stupita della mia improvvisa sicurezza. Edward, al mio fianco, si rilassò.
Esme sorrise e si avvicinò anche lei, offrendomi la mano. La sua stretta fredda e forte era proprio come me l’aspettavo.
«È davvero un piacere fare la tua conoscenza», disse, sincera.
«Grazie. Anch’io ne sono lieta». E lo ero. Era come conoscere i protagonisti di una fiaba... Biancaneve in carne e ossa.
«Dove sono Alice e Jasper?», chiese Edward ma nessuno rispose, perché i due erano appena apparsi in cima all’ampia scala.
«Ehi, Edward!», esclamò Alice, entusiasta. Scese le scale di corsa, un lampo di capelli neri e pelle bianca, arrestandosi con grazia di fronte a me. Carlisle ed Esme le lanciarono occhiate di avvertimento, ma io la trovavo divertente. Era naturale, per lei, se non altro.
«Ciao, Bella!», disse, e si sporse per baciarmi sulla guancia. Se poco prima Carlisle ed Esme mi erano sembrati scrupolosi, ora erano impietriti. Anch’io ero sbalordita, ma non meno contenta di avere ricevuto tanta approvazione. Fu una sorpresa sentire Edward irrigidirsi al mio fianco. Gli lanciai uno sguardo, ma la sua espressione era illeggibile.
«Hai davvero un buon odore, non me ne ero mai accorta», commentò lei, con mio grande imbarazzo.
Nessun altro sapeva bene cosa dire, finché non apparve Jasper, alto e leonino. Mi sentii invadere dalla tranquillità, e un istante dopo mi trovavo a mio agio, malgrado l’ambiente così strano. Edward guardò Jasper, perplesso, e ricordai di cos’era capace suo fratello.
«Ciao Bella», disse Jasper. Restò a distanza e non mi offrì la mano. Ma era impossibile sentirsi a disagio se c’era lui nei paraggi.
«Ciao Jasper». Accennai un sorriso timido, prima a lui e poi agli altri. «Sono felice di conoscervi... la vostra casa è bellissima», aggiunsi, poco originale.
«Grazie», rispose Esme. «Siamo davvero contenti che tu sia venuta». Parlò con convinzione e intensità; capii che mi riteneva una ragazza coraggiosa.
Mi accorsi anche che Rosalie ed Emmett non si facevano vedere, e ricordai l’innocenza forzata di Edward nel negare che qualcuno dei suoi fratelli non gradisse la mia presenza.
L’espressione di Carlisle mi distolse da quei pensieri: fissava Edward intensamente come se alludesse a qualcosa. Con la coda dell’occhio scorsi Edward annuire.
Guardai altrove, nel tentativo di comportarmi da persona educata. Tornai al bellissimo strumento sistemato su quella specie di palco, accanto alla porta. Ricordavo d’un tratto una mia fantasia infantile, quando intendevo comprare un pianoforte a coda per mia madre, se mai avessi vinto alla lotteria. Non era mai stata veramente una brava musicista - suonava solo per sé, sul nostro piano verticale di seconda mano - ma mi piaceva starla a guardare. Era felice, assorta: in quei momenti mi sembrava un essere nuovo e misterioso, diverso dal personaggio di “mamma” che davo per scontato. Ovviamente cercò di farmi prendere qualche lezione ma, come la maggior parte dei bambini, mi lagnai fino a convincerla che non era il caso.
Esme notò il mio sguardo assorto.
«Suoni?», chiese, inclinando la testa verso il piano.
Feci cenno di no. «No, per niente. Ma è bellissimo. È tuo?».
Rise. «No. Edward non ti ha detto che è un musicista?».
«No». Sorpresa, mi voltai a scrutarlo: la sua espressione si era fatta improvvisamente innocente. «Immagino che avrei dovuto saperlo».
Esme alzò le sopracciglia delicate, confusa.
«Edward è capace di fare tutto, vero?», dissi.
Jasper soffocò una risata, ed Esme lanciò a Edward un’occhiata di rimprovero.
«Spero che tu non ti sia vantato troppo, non è educato», disse lei.
«Soltanto un po’», si lasciò scappare lui, insieme a una risata. Esme si tranquillizzò, e i due si scambiarono un’occhiata che non riuscii a interpretare, a parte il compiacimento nello sguardo di lei.
«Per la verità, è stato fin troppo modesto», precisai.
«Be’, dai Edward, suona per lei», lo incoraggiò.
«Hai appena detto che è maleducazione», replicò lui.
«Ogni regola ha un’eccezione».
«Mi piacerebbe sentirti suonare», proposi io.
«Siamo d’accordo, allora», ed Esme lo spinse verso il piano. Lui mi trascinò con sé e mi fece accomodare sul seggiolino, al suo fianco.
Prima di abbassare gli occhi sui tasti, mi rivolse uno sguardo esasperato.
Poi le sue dita iniziarono a correre veloci sui tasti d’avorio, e il salone si riempì del suono di una composizione tanto complicata, tanto rigogliosa, da non poter credere che a suonarla fosse un solo paio di mani. Restai a bocca aperta, sorpresa, mentre alle spalle sentivo le risatine di chi si era accorto della mia reazione.
Edward mi guardò di sfuggita, mentre la musica ci avvolgeva senza pause, e mi strizzò l’occhio: «Ti piace?».
«L’hai scritta tu?». Ero senza fiato.
Annui. «È la preferita di Esme».
Chiusi gli occhi e scossi il capo.
«Cosa c’è che non va?».
«Mi sento estremamente insignificante».
La musica rallentò, si trasformò in qualcosa di più morbido, e con grande sorpresa, tra le ondate di note, colsi la melodia della sua ninna nanna.
«Questa l’hai ispirata tu», disse, a bassa voce. La musica si riempì di una dolcezza insostenibile.
Ero senza parole.
«Piaci a tutti, lo sai? Soprattutto a Esme».
Guardai alle mie spalle, ma l’ampio salone era vuoto.
«Dove sono andati?».
«Immagino che, con molto buon senso, ci abbiano concesso un po’ di privacy».
Sospirai. «A loro piaccio. Ma Rosalie ed Emmett...». Non terminai la frase, incapace di esprimere bene i miei dubbi.
Lui aggrottò le sopracciglia. «Non preoccuparti di Rosalie», disse, tentando di convincermi. «Prima o poi si farà vedere».
Lo fissai, scettica: «Emmett?».
«Be’, secondo lui, in effetti, sono pazzo, ma non ce l’ha affatto con te. Sta cercando di far ragionare Rosalie».
«Cos’è che la innervosisce?». Non ero sicura di voler sentire la risposta.
Fece un respiro profondo. «Rosalie è quella più problematica, non si dà pace rispetto a... ciò che siamo. Non è facile per lei pensare che qualcuno di esterno alla famiglia conosca la verità. In più è un po’ gelosa».
«Rosalie è gelosa di me?», chiesi, incredula. Cercai di immaginare un universo in cui una ragazza mozzafiato come Rosalie potesse avere una ragione sensata per sentirsi gelosa di una come me.
«Sei umana». Si strinse nelle spalle. «Vorrebbe esserlo anche lei».
«Ah», mormorai, ancora del tutto sconvolta. «Anche Jasper, però...».
«Quella è colpa mia, in realtà. Te l’ho detto, è stato l’ultimo a convertirsi al nostro stile di vita. L’ho avvertito di mantenere le distanze».