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La jeep riprese vita con un rombo, e lui invertì la marcia sgommando. La lancetta del tachimetro ricominciò a muoversi.

«Emmett?». Lanciai un’occhiataccia verso le mie mani.

«Ah, scusa». E mi liberò dalla stretta.

Trascorremmo qualche minuto in silenzio, in ascolto del rombo del motore. Poi parlò Edward.

«Le cose andranno così. Arrivati a casa, se il segugio non c’è, l’accompagno alla porta. Da quel momento ha quindici minuti». Mi lanciò un’occhiata dal retrovisore. «Emmett, tu tieni d’occhio la casa dall’esterno. Alice, tu ti occupi del pick-up. Io resto in casa con lei. Dopo che è uscita, portate la jeep a casa e riferite tutto a Carlisle».

«Neanche per idea», lo interruppe Emmett. «Io resto con te».

«Pensaci bene, Emmett. Non so neanch’io quando potrei tornare».

«Finché non sappiamo come finirà questa faccenda, io resto con te».

Edward fece un sospiro. «Se il segugio è a casa di Charlie, invece, non ci fermiamo».

«Ci arriveremo prima di lui», disse Alice, fiduciosa.

Edward sembrò d’accordo. Qualunque problema avesse nei confronti di Alice, in quel momento si fidava di lei.

«Cosa facciamo con la jeep?», chiese lei.

Lui rispose secco: «La riporti a casa».

«Invece no», ribatté Alice, imperturbabile.

E la sequela di imprecazioni incomprensibili ricominciò.

«Non ci staremo tutti e quattro sul pick-up», mormorai.

Probabilmente Edward non mi ascoltava nemmeno.

«Secondo me è meglio che mi lasciate andare da sola», dissi, a voce ancora più bassa.

E lui se ne accorse.

«Bella, per favore, fai come dico io, almeno questa volta», disse a denti stretti.

«Stammi a sentire, Charlie non è uno stupido. Se domani neanche tu sarai in città, si insospettirà».

«Non m’interessa. Faremo in modo di proteggerlo, e questo è ciò che importa».

«E il segugio? Si è accorto di come hai reagito, stasera. Penserà che sei con me, ovunque ti trovi».

Emmett mi insultò di nuovo con uno sguardo sorpreso. «Edward, ascoltala. Secondo me ha ragione».

«Certo che sì», ribadì Alice.

«Non posso farlo». La voce di Edward era fredda come il ghiaccio.

«È meglio che nemmeno Emmett mi segua», aggiunsi. «Ha osservato bene anche lui».

«Cosa?», esclamò Emmett, voltandosi verso di me.

«Se resti a casa avrai qualche possibilità di rifarti con lui», confermò Alice.

Edward la guardava incredulo: «Pensi che dovrei lasciarla scappare da sola?».

«Certo che no», rispose lei, «la accompagneremo io e Jasper».

«Non posso», ribadì Edward, stavolta con una nota di rassegnazione nella voce. Soccombeva di fronte alla logica.

Cercai di persuaderlo: «Resta da queste parti per una settimana», notai la sua espressione nello specchietto e mi corressi, «anzi, solo qualche giorno. Così Charlie avrà la certezza che non mi hai rapita e questo James girerà a vuoto per un po’. Assicurati che perda completamente le mie tracce. Poi raggiungimi. Ovviamente, sarà meglio prenderla un po’ alla larga. A quel punto, Jasper e Alice potranno tornare a casa».

Iniziava a pensarci seriamente.

«Dove ti raggiungerei?».

«A Phoenix». Naturale.

«No. Se dici a Charlie che torni a Phoenix, lo sentirà anche il segugio», ribatté impaziente.

«E tu gli farai credere che è un imbroglio, ovviamente. Lui sa che noi sappiamo di essere spiati. Non crederà mai che io stia andando davvero dove dico di andare».

«È diabolica», commentò Emmett con una risatina.

«E se non funziona?».

«Phoenix ha milioni di abitanti».

«Non è difficile trovare una guida del telefono».

«Non tornerò a casa di mia madre».

«Eh?». A giudicare dal tono di voce, sembrava allarmato.

«Sono abbastanza grande per vivere da sola».

«Edward, ci saremo noi con lei», gli rammentò Alice.

«E voi cosa farete in giro per Phoenix?», chiese Edward, mordace.

«Resteremo chiusi in casa».

«Il piano mi piace». Di sicuro, Emmett stava già pensando a come intrappolare James.

«Chiudi il becco», lo apostrofò Edward.

«Ascolta, se cerchiamo di incastrarlo mentre lei è qui attorno, c’è un rischio molto più alto che qualcuno si faccia del male, lei o te che cerchi di proteggerla. Invece, se riuscissimo a isolarlo...». Emmett tacque, accennando un sorriso. Avevo ragione.

Giunta alla periferia di Forks, la jeep iniziò a rallentare. Malgrado il mio discorso coraggioso, sentivo drizzarmisi i peli sulle braccia. Ripensai a Charlie solo in casa e cercai di farmi forza.

«Bella». Edward pronunciò il mio nome con dolcezza. Alice ed Emmett guardavano fuori dai finestrini. «Se lasci che ti accada qualcosa - qualsiasi cosa - ti riterrò direttamente responsabile. Lo capisci?».

«Sì», risposi senza fiato.

Si rivolse ad Alice.

«Jasper è in grado di gestire la situazione?».

«Fidati, Edward. Tutto sommato, finora si è comportato molto, molto bene».

«E tu, pensi di poterla gestire?».

Al che, la piccola e graziosa Alice mostrò i denti con una smorfia orrenda e si lasciò andare a un ringhio gutturale che mi fece rannicchiare contro il sedile, terrorizzata.

Edward le sorrise. «Ma le tue idee, tientele per te», bofonchiò inaspettatamente.

19

Addii

Charlie era rimasto sveglio ad aspettarmi. Le luci di casa erano tutte accese. Non avevo la più pallida idea di cosa raccontargli per convincerlo a lasciarmi andare. Non sarebbe stata affatto una cosa piacevole.

Edward accostò lentamente, attento a non sbarrare la strada al pick-up. I miei tre compagni di viaggio erano all’erta, rigidi sui sedili, intenti ad ascoltare ogni minimo rumore del bosco, a osservare ogni ombra, a sentire ogni odore, controllando che niente fosse fuori posto. A motore spento, mentre loro ascoltavano, io restavo seduta, immobile.

«Non è qui», disse nervoso Edward. «Andiamo».

Emmett si avvicinò per aiutarmi a uscire dall’imbracatura. «Non preoccuparti, Bella», mi parlò piano, fiducioso, «ce ne sbarazzeremo in fretta».

Lo guardavo, e mi sentii gli occhi lucidi. Ci conoscevamo appena, ma l’idea di non sapere quando ci saremmo rivisti mi colmava di angoscia. Era soltanto un assaggio di tutti gli addii che mi sarebbero toccati nell’ora successiva, al cui solo pensiero iniziai a piangere.

«Alice, Emmett». Le parole di Edward erano un ordine. I due sparirono all’istante, assorbiti nell’oscurità. Edward aprì la portiera e mi prese per mano, proteggendomi nel suo abbraccio. Mi accompagnò svelto di fronte a casa, con lo sguardo vigile nel buio della notte.

«Quindici minuti», ribadì, con un filo di voce.

«Ce la posso fare», dissi tra i singhiozzi. Le lacrime mi avevano dato l’ispirazione.

Mi fermai sulla soglia della veranda e gli presi il viso tra le mani. Lo guardai negli occhi, fiera.

«Ti amo», dissi, e la mia voce era profonda e decisa. «Ti amerò sempre, succeda quel che succeda».

«Non ti succederà niente, Bella», disse lui con altrettanta convinzione.

«L’importante è che tu segua il piano. Proteggi Charlie, per favore. Dopo stasera ce l’avrà sicuramente con me, e voglio avere la possibilità di scusarmi, quando tutto sarà finito».

«Entra, Bella. Dobbiamo sbrigarci», disse, impaziente.

«Una cosa ancora», lo implorai sottovoce. «Non ascoltare una sola parola di ciò che sto per dire!». Mi si era avvicinato, perciò mi bastò alzarmi in punta di piedi per baciargli le labbra, sorprese e ghiacciate, con tutta la forza di cui ero capace. Poi mi voltai e con un calcio aprii la porta.

«Vattene, Edward!», urlai, correndo in casa e sbattendogli la porta in faccia, come se la sorpresa non fosse già abbastanza.

«Bella?». Charlie, rimasto ad aspettarmi in salotto, era scattato subito in piedi dal divano.

«Lasciami stare!», gridai, in lacrime. Salii le scale di corsa e chiusi a chiave la porta della mia stanza, sbattendola. Raggiunsi il letto e mi gettai a terra, in cerca della mia sacca da viaggio. Poi frugai tra il materasso e la rete, dove nascondevo la vecchia calza che custodiva i miei risparmi segreti.