Feci un sospiro. Me lo aspettavo, malgrado avessi cercato, nel mio messaggio, di risultare il meno allarmata possibile, senza però sminuire l’urgenza.
«Calmati, mamma», risposi, cercando di rassicurarla, allontanandomi piano da Alice. Non ero sicura che con i suoi occhi addosso sarei riuscita a mentire senza tradirmi. «Va tutto bene, okay? Dammi solo un minuto e ti spiego tutto, te lo prometto».
Feci una pausa, sorpresa che non mi avesse ancora interrotta.
«Mamma?».
«Bada a non aprire bocca finché non te lo dirò io». La voce che sentii era inattesa e sconosciuta. Era un tenore, piacevole quanto anonimo, il genere di voce maschile che si sente fuori campo nelle pubblicità delle auto di lusso. Parlava molto in fretta.
«Ora, non è il caso che io faccia del male a tua madre, perciò ti prego di fare esattamente ciò che dico e non le torcerò un capello». Restò zitto per qualche istante, mentre io tacevo, terrorizzata. «Molto bene, complimenti. Adesso ripeti ciò che dico, e cerca di farlo con naturalezza. Per favore, di’: “No, mamma, resta dove sei”».
«No, mamma, resta dove sei». La mia voce era poco più che un respiro.
«Accidenti, temo che sarà una bella impresa». Sembrava divertito, spiritoso e amichevole. «Perché non cambi stanza, così nessuno ti vede in faccia? Non c’è ragione di far soffrire tua madre. Mentre ti allontani, di’: “Mamma, ti prego, ascoltami”. Dillo ora».
«Mamma, ti prego, ascoltami». Mi diressi molto lentamente in camera da letto, con lo sguardo di Alice addosso. Chiusi la porta cercando di restare lucida, malgrado il terrore mi attanagliasse il cervello.
«Brava. Adesso sei sola? Rispondi soltanto sì o no».
«Sì».
«Ma di certo riescono a sentirti».
«Sì».
«Molto bene», proseguì quella voce gradevole. «Di’: “Mamma, fidati di me”».
«Mamma, fidati di me».
«È andata molto meglio di quanto pensassi. Prevedevo una lunga attesa, ma tua madre è tornata a casa in anticipo. Così è più facile, no? Meno tensione, meno ansia per te».
Restai in ascolto.
«Ora voglio che tu mi stia bene a sentire. Desidero che ti allontani dai tuoi amici. Pensi di poterci riuscire? Rispondi sì o no».
«No».
«Che peccato. Speravo fossi un po’ più fantasiosa. Pensi che riusciresti ad allontanarti da loro se da ciò dipendesse la vita di tua madre? Rispondi sì o no».
Doveva esserci un modo. Ricordai che stavamo per andare all’aeroporto. Aeroporto internazionale di Sky Harbor: affollato, caotico...
«Sì».
«Così va meglio. So che non sarà facile, ma se ho il minimo sospetto che hai compagnia, be’, sarà un bel guaio per tua madre, te lo assicura. A questo punto dovresti conoscerci a sufficienza per renderti conto di quanto impiegherei a sapere se stai cercando di portare qualcuno con te. E quanto velocemente potrei agire, se decidessi di prendermela con tua madre. Capisci? Rispondi sì o no».
«Sì». Ero senza voce.
«Molto bene, Bella. Questo è ciò che devi fare. Voglio che torni a casa di tua madre. Accanto al telefono troverai un numero. Chiamalo, ti risponderò io e ti dirò dove andare». Sapevo già dove sarei andata e dove tutto sarebbe finito. Ma ero decisa a seguire le istruzioni. «Puoi farcela? Rispondi sì o no».
«Sì».
«Prima di mezzogiorno, per favore. Non ho tutta la giornata a disposizione», disse educato.
«Dov’è Phil?».
«Ah, stai attenta, Bella. Aspetta che ti dia il permesso, prima di parlare».
Attesi.
«Ora, è importante che, quando torni di là, i tuoi amici non sospettino niente. Digli che tua madre ti ha chiamata e che l’hai convinta a rimandare il ritorno. Adesso, ripeti con me: “Grazie, mamma”. Dillo ora».
«Grazie, mamma». Stavo per mettermi a piangere, ma riuscii a trattenere le lacrime.
«Di’: “Ti voglio bene, mamma, ci vediamo presto”. Ora».
«Ti voglio bene, mamma», la mia voce era fioca. «Ci vediamo presto».
«Ciao, Bella. Non vedo l’ora di incontrarti di nuovo». Riattaccò.
Restai con il telefono all’orecchio, immobilizzata dal terrore, nemmeno in grado di mollare la presa.
Dovevo pensare a un piano, ma la voce di mia madre nel panico mi riempiva la testa. I secondi passavano e mi sforzavo di riprendere il controllo.
Molto, molto lentamente, iniziai a fare breccia nel muro di terrore. A ragionare. Perché ormai non avevo altra scelta: dovevo andare nella stanza degli specchi, a morire. Non avevo garanzie che non facesse del male a mia madre e non avevo nulla da offrire per salvarla, nulla se non me stessa. Potevo soltanto sperare che a James bastasse vincere la partita con Edward. Ero schiacciata dallo sconforto: venire a patti con lui, offrirgli qualcos’altro che potesse soddisfarlo o trattenerlo era impossibile. Non avevo scelta. Dovevo provarci.
Soffocai il terrore meglio che potevo. La decisione era presa. Non valeva la pena sprecare tempo a riflettere sulle conseguenze. Dovevo restare lucida: Alice e Jasper mi aspettavano, e liberarmi di loro era assolutamente indispensabile, e assolutamente impossibile.
Per fortuna Jasper era lontano. Se avesse percepito il mio tormento, in quegli ultimi cinque minuti, come avrei potuto impedirgli di sospettare? Dovevo mettere a tacere ansia e paura. Non potevo permettermele. Non sapevo quando sarebbe tornato.
Mi concentrai sulla fuga. Dovevo sperare che la mia familiarità con l’aeroporto giocasse a mio favore. Dovevo riuscire in qualche modo a tenere lontana Alice...
Proprio lei che, in ansia, mi attendeva nell’altra stanza. Ma prima del ritorno di Jasper occorreva risolvere un’altra piccola questione in privato.
Dovevo accettare che non avrei mai più rivisto Edward, che non avrei potuto portare con me, nella stanza degli specchi, nemmeno il ricordo di un ultimo rapido sguardo al suo volto. Stavo per ferirlo e non potevo neppure dirgli addio. Mi lasciai torturare dalle ondate di sofferenza. Poi soffocai anche quelle, e tornai di là ad affrontare Alice.
L’unica espressione che riuscii a fare fu uno sguardo spento, morto. La vidi allarmata e non aspettai nemmeno che facesse domande. La sceneggiatura era pronta e non c’era posto per l’improvvisazione.
«Mia madre era preoccupata, voleva tornare a casa. Ma va tutto bene, l’ho convinta a rimandare». La mia voce era priva di vita.
«Penseremo noi alla sua sicurezza, Bella, non preoccuparti».
Mi voltai, non potevo mostrarmi a viso aperto.
Il mio sguardo cadde su un foglio bianco di carta intestata dell’albergo. Lo afferrai lentamente, pensando a un piano. C’era anche una busta. Molto bene.
«Alice», chiesi esitante, senza voltarmi, a voce bassa. «Se scrivo una lettera a mia madre, gliela consegnerete? Voglio dire, potete lasciarla a casa sua?».
«Certo, Bella». Parlava con cautela. Aveva capito che stavo per crollare. Dovevo controllarmi meglio.
Tornai in camera e m’inginocchiai al tavolino.
Mi tremava la mano, la grafia si leggeva a malapena.
Edward,
ti amo. Mi dispiace tanto. Ha preso mia madre, devo provarci. So che potrebbe non funzionare. Mi dispiace, mi dispiace tanto.
Non prendertela con Alice e Jasper. Se riuscirò a scappare da loro sarà un miracolo. Per favore, ringraziali da parte mia. Soprattutto Alice.
E per favore, per favore, non venire a cercarlo. Credo sia proprio ciò che vuole. Non posso sopportare che qualcun altro si faccia del male per colpa mia, soprattutto se quel qualcuno sei tu. Ti prego, questa è l’unica cosa che ti chiedo. Falla per me.
Ti amo. Perdonami.
Piegai la lettera per bene e la imbustai. Prima o poi l’avrebbe trovata. Speravo solo che potesse capirmi e che per una volta mi desse ascolto.
Così, con cura, sigillai anche il mio cuore.
22
Nascondino
C’era voluto molto meno di quanto mi fosse sembrato, malgrado il terrore, lo sconforto, il cuore a pezzi. I minuti scorrevano più lenti del solito. Jasper era ancora assente, quanto tornai da Alice. Avevo paura di restare nella stessa stanza con lei, paura che intuisse qualcosa... e paura di nascondermi da lei per lo stesso motivo.