Poi lo schermo diventò blu.
Mi voltai lentamente. Lui era in piedi, immobile accanto all’uscita posteriore, perciò non l’avevo notato. Stringeva un telecomando. Incrociammo gli sguardi per un lunghissimo istante, e poi sorrise.
Fece qualche passo per avvicinarsi a me, poi mi oltrepassò, si accostò al videoregistratore e vi posò sopra il telecomando. Mi voltai a guardarlo, con cautela.
«Spiacente, Bella, di tutta questa messa in scena. Tuttavia è molto meglio che in realtà non abbia dovuto coinvolgere tua madre, non credi?». La sua voce era cordiale.
Così, all’improvviso, capii. Mia madre era al sicuro. Era ancora in Florida. Non aveva mai ricevuto il mio messaggio. Non era mai stata terrorizzata dagli occhi rosso scuro su quel volto assurdamente pallido che avevo davanti. Era al sicuro.
«Sì», risposi, piena di sollievo.
«Non sembri in collera con me, anche se ti ho ingannata».
«Non lo sono». L’improvviso cambiamento di umore mi diede coraggio. Cosa importava, ormai? Presto tutto sarebbe finito. Charlie e la mamma erano al riparo, non dovevano più temere nulla. Mi sentivo quasi stordita. La parte razionale del mio cervello mi avvertì che ero pericolosamente vicina a perdere i sensi per il troppo stress.
«Che strano. Dici sul serio». I suoi occhi scuri mi analizzarono, interessati. L’iride era quasi nera, con una leggera sfumatura color rubino sul bordo. Assetato. «Devo ammettere che la tua congrega aveva ragione, voi umani potete essere piuttosto interessanti, a volte. Capisco che osservare un esemplare come te sia piacevole. È incredibile... alcuni di voi sembrano totalmente privi di egoismo».
Stava a qualche spanna da me, a braccia conserte, e mi guardava con curiosità. Non c’era ombra di minaccia nella sua espressione, né nella sua posa. Era davvero anonimo, privo di tratti interessanti, nel viso e nel corpo. Solo la pelle bianca, le occhiaie a cui ormai mi ero abituata. Indossava una maglietta azzurra a maniche lunghe e jeans stinti.
«Immagino che tu stia per dirmi che prima o poi il tuo ragazzo si vendicherà», disse, e probabilmente era ciò che sperava.
«No, non credo. Gli ho chiesto di non farlo».
«E lui cosa ti ha risposto?».
«Non lo so». Era stranamente facile conversare con questo predatore educato. «Gli ho scritto una lettera».
«Che romantica, l’ultima lettera. E pensi che onorerà la tua volontà?». La sua voce si era vagamente indurita, con un velo di sarcasmo a sporcare tanta compostezza.
«Lo spero».
«Mmm, bene. Abbiamo prospettive diverse, vedo. Capirai anche tu che fin qui è stato tutto troppo facile, troppo veloce. A dire la verità, sono piuttosto deluso. Mi aspettavo una sfida molto più difficile. E in fondo mi sarebbe servita soltanto un po’ di fortuna».
Restai in silenzio.
«Dopo che Victoria non è riuscita ad arrivare a tuo padre, le ho chiesto di trovare informazioni su di te. Non aveva senso correrti dietro per l’intero pianeta quando potevo aspettarti comodo comodo nel posto che preferivo. Perciò, dopo aver parlato con Victoria, ho deciso di venire a Phoenix a salutare tua madre. Ti avevo sentita dire che saresti tornata a casa. Sulle prime, davo per scontato che stessi mentendo. Ma poi ci ho pensato per bene. Gli umani sono molto prevedibili, amano rifugiarsi nei luoghi che sentono più sicuri e familiari. E non è una manovra perfetta, nascondersi nell’ultimo posto in cui ci si immagina che tu possa nasconderti, proprio dove hai detto che ti saresti rifugiata?
Ovviamente non potevo esserne sicuro, era solo un’intuizione. Di solito sviluppo una specie di sesto senso, chiamiamolo così, per la preda che scelgo. Giunto a casa di tua madre ho ascoltato il messaggio in segreteria, ma certo ignoravo da dove avessi chiamato. Avere il tuo numero poteva essermi utile, ma per quel che ne sapevo potevi anche essere in Antartide, e il mio trucco non avrebbe funzionato, se non fossi stata a portata di mano.
Poi il tuo ragazzo è salito su un aereo per Phoenix. Naturalmente, Victoria li stava tenendo d’occhio per me: in una partita con tanti giocatori, non potevo permettermi di restare solo. Perciò sono stati loro a dirmi che, proprio come speravo, ti eri rifugiata qui. Ero pronto: avevo già guardato tutti i tuoi graziosi filmati casalinghi. A quel punto, si trattava solo di preparare il bluff.
Tutto facilissimo, vedi, molto al di sotto dei miei standard. Per questo spero che ti sbagli, riguardo al tuo ragazzo. Si chiama Edward, no?».
Non risposi. La mia sfacciataggine se n’era andata. Sentivo che il suo gongolare maligno, il quale peraltro non era diretto a me, stava finendo. Non c’era soddisfazione né gloria nella vittoria su una debole umana.
«Ti dispiacerebbe se lasciassi una letterina scritta di mio pugno per il tuo Edward?».
Fece un passo indietro e sfiorò una minuscola videocamera digitale, posata in equilibrio sopra lo stereo. Una spia rossa indicava che stava registrando. La sistemò un poco, allargando l’inquadratura. Io lo fissavo terrorizzata.
«Scusami, ma credo davvero che non sarà capace di resistere, dopo aver visto questa scena, e non potrà che darmi la caccia. E poi non vorrei che si perdesse qualcosa. La mia vera preda è lui, ovviamente. Tu sei soltanto un’umana, che sfortunatamente si è trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato e senza dubbio in compagnia delle persone sbagliate, se me lo concedi».
Fece un passo avanti, sorridente. «Prima di cominciare...».
Le sue parole mi avevano preso allo stomaco. Ero nauseata, non mi sarei mai aspettata che fosse quella la verità.
«...gradirei solo dilungarmi un momento per ficcarti bene una cosa in testa. La soluzione per voi era a portata di mano, e temevo proprio che Edward la intuisse e mi rovinasse il divertimento. È successo una volta sola... una vita fa. L’unica occasione in cui una preda mi sia sfuggita.
Vedi, il vampiro che si era stupidamente preso una cotta per la mia piccola vittima prese la decisione che il tuo Edward non ha avuto il coraggio di prendere. Quando il vecchio capi che stavo importunando la sua amichetta, la rapì dal manicomio dove lui lavorava - non capirò mai l’ossessione di certi vampiri per voialtri umani - e subito dopo la salvò. La poveretta non diede mostra di sentire nemmeno il dolore. Era rimasta troppo a lungo chiusa in quel buco nero di cella. Cento anni prima l’avrebbero bruciata su un rogo, per colpa delle sue visioni. Invece erano gli anni Venti del ventesimo secolo, perciò le toccarono il manicomio e l’elettroshock. Quando riaprì gli occhi, forte della gioventù riconquistata, era come se non avesse mai visto il sole prima di allora. Il vampiro anziano l’aveva trasformata in una giovane e valente vampira, e a quel punto non avevo più motivo di importunarla». Fece un sospiro. «Per vendicarmi, distrussi il vecchio».
«Alice», dissi stupita, con un filo di voce.
«Sì, la tua amica. È stata una bella sorpresa ritrovarla nel campo dove ci siamo incontrati. Così ho pensato che la sua congrega avrebbe potuto imparare qualcosa da tutto questo. Io prendo te, loro si tengono lei. L’unica vittima che mi sia mai sfuggita, un bell’onore.
E il suo odore era così delizioso. Rimpiango ancora di non averla assaggiata... Il suo profumo era anche meglio del tuo. Scusa, senza offesa. Tu sai di buono. Di fiori, direi...».
Fece un altro passo verso di me, finché non fu a pochi centimetri di distanza. Prese una ciocca dei miei capelli e l’annusò delicatamente. Poi, con gentilezza, la rimise in ordine, e sentii le sue dita fredde sfiorarmi la gola. Le sollevò e mi passò il pollice sulla guancia, curioso. Non so cos’avrei dato per scappare via, ma ero impietrita. Non riuscii nemmeno a ritrarmi di un millimetro.
«No», mormorò tra sé, lasciando cadere la mano. «Non capisco». Fece un sospiro. «Be’, immagino che saremo costretti a farla finita così. Poi chiamerò i tuoi amici e gli dirò dove trovare te e il mio messaggio».