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Dopo che il rifugio fu richiuso, i documenti e le reliquie che ne erano stati asportati furono studiati, uno alla volta e in modo molto discreto, dall'abate. Non fu più possibile esaminarli, chiusi com'erano, probabilmente, nello studio di Arkos. Era come se fossero scomparsi, ai fini pratici. Tutto ciò che scompariva nello studio dell'abate era un soggetto pericoloso per una pubblica conversazione: diventava qualcosa di cui si poteva sussurrare soltanto in silenziosi corridoi. Frate Francis udiva soltanto di rado quei bisbigli. Alla fine si quietarono, per rivivere quando un messaggero venuto da Nuova Roma parlò sottovoce all'abate, una sera nel refettorio. Un frammento della loro conversazione sussurrata giunse fino alle tavole vicine. I mormoni durarono alcune settimane, dopo la partenza del messaggero, poi tornarono a quietarsi.

Frate Francis Gerard dello Utah ritornò nel deserto, l'anno seguente, e di nuovo digiunò in solitudine per tutta la Quaresima. Ancora una volta ritornò, debole ed emaciato, e ben presto fu chiamato alla presenza dell'Abate Arkos, il quale volle sapere se pretendeva di avere avuto altri colloqui con membri delle Schiere Celesti.

— Oh, no, Monsignore Abate. Di giorno ho visto soltanto lucertole.

— E di notte? — chiese sospettoso Arkos.

— Soltanto lupi — disse Francis, e aggiunse cautamente: — Penso.

Arkos preferì non approfondire quel prudente emendamento, ma si limitò ad accigliarsi. Il cipiglio dell'abate, aveva osservato frate Francis, era la sorgente di una energia radiante che viaggiava nello spazio a velocità finita e che non era ancora bene compresa, a eccezione del fatto che faceva avvizzire tutto ciò su cui si posava, poiché tale oggetto era di solito un postulante o un novizio. Francis aveva già assorbito una scarica di cinque secondi, quando gli fu rivolta la domanda seguente.

— E a proposito dello scorso anno?

Il novizio fece una pausa per inghiottire saliva. — Il… vecchio?

— Il vecchio.

— Sì, Don Arkos.

Cercando di allontanare dal suo tono ogni sfumatura di punto interrogativo, Arkos disse: — Era davvero un vecchio. Nient'altro. Adesso ne siamo sicuri.

— Anch'io penso che fosse soltanto un vecchio.

Padre Arkos tese fiaccamente la mano per impugnare il righello di quercia.

Whack!

— Deo gratias!

Whack!

— Deo…

Mentre Francis ritornava alla sua cella, l'abate gli gridò dietro, nel corridoio: — Fra l'altro, volevo dire…

— Sì, Reverendo Padre?

— Niente voti, quest'anno — disse quello distrattamente, e scomparve nel suo studio.

7

Frate Francis trascorse sette anni di noviziato, sette vigilie quaresimali nel deserto, e diventò abilissimo nell'imitare i richiami dei lupi. Per divertire i confratelli, chiamava l'intero branco nelle vicinanze dell'abbazia ululando dall'alto delle mura, quando era scesa la notte. Di giorno, serviva in cucina, fregava i pavimenti di pietra e continuava il suo studio dell'antichità.

Poi un giorno arrivò all'abbazia, cavalcando un asino, un messaggero venuto da un seminario di Nuova Roma. Dopo un lungo colloquio con l'abate, il messaggero andò a cercare frate Francis. Sembrò sorpreso nel vedere che il giovane, ormai divenuto uomo, indossava ancora l'abito di novizio e puliva il pavimento della cucina.

— Abbiamo studiato i documenti che tu hai scoperto alcuni anni or sono — disse al novizio. — Alcuni di noi sono convinti della loro autenticità.

Francis abbassò il capo. — Non ho il permesso di trattare questo argomento, Padre — disse.

— Oh, già. — Il messaggero sorrise e gli porse un pezzo di carta che recava i sigillo dell'abate e lo scritto, di mano del superiore: Ecce Inquisitor Curiae. Ausculta et obsequere. Arkos AOL, Abbas.

— Va tutto bene — aggiunse, notando l'improvvisa tensione del novizio. — Non ti sto parlando ufficialmente. Qualche altro incaricato del tribunale riceverà più tardi le tue dichiarazioni. Tu sai, non è vero, che i tuoi documenti sono a Nuova Rona da qualche tempo? Io ne ho riportato qualcuno.

Frate Francis scosse il capo. Forse ne sapeva meno di chiunque altro, per ciò che riguardava le reazioni ad alto livello causate dalla scoperta delle reliquie. Notò che il messaggero portava la veste bianca dei Domenicani, e si chiese, un po' inquieto, quale fosse la natura del "tribunale" di cui aveva parlato il frate. Nella regione della Costa del Pacifico era in atto una inquisizione contro il movimento dei Catari, ma non riusciva a immaginare in che modo quel tribunale potesse occuparsi delle reliquie del Beato. Ecce Inquisitor Curiae, diceva il biglietto. Probabilmente l'abate intendeva "investigatore". Il Domenicano pareva un uomo di animo mite, e non portava con sé alcun visibile strumento di tortura.

— Prevediamo che la causa per la canonizzazione del vostro fondatore sarà presto riaperta — spiegò il messaggero. — L'Abate Arkos è un uomo molto saggio e prudente. — E ridacchiò. — Consegnando le reliquie ad un altro Ordine perché venissero esaminate, e facendo chiudere il rifugio prima che fosse completamente esplorato… Bene, tu capisci, non è vero?

— No, Padre. Avevo creduto che considerasse l'intera faccenda troppo trascurabile per sprecarvi altro tempo.

Il Frate Nero rise. — Trascurabile! Credo di no. Ma se il tuo Ordine produce prove, reliquie, miracoli o altre cose, il tribunale deve considerarne la fonte. Ogni comunità religiosa è ansiosa di vedere canonizzato il proprio fondatore. Quindi il vostro abate vi ha detto, saggiamente: "Giù le mani dal rifugio". Sono sicuro che è stata una delusione per tutti voi, ma… è stato meglio per la causa del vostro fondatore lasciare che il rifugio venisse esplorato alla presenza di altri testimoni.