Frate Horner, il vecchio maestro amanuense, si ammalò. Dopo qualche settimana, fu chiaro che il monaco benvoluto da tutti era sul letto di morte. La Messa funebre fu cantata nei primi tempi dell'Avvento. I resti del vecchio maestro, che aveva vissuto santamente, furono resi alla terra da cui avevano avuto origine. Mentre la comunità esprimeva con la preghiera il suo dolore, Arkos nominò tranquillamente frate Jeris maestro della copisteria.
Il giorno dopo essere stato insignito di quell'incarico, frate Jeris informò frate Francis che considerava giusto che mettesse in disparte i lavori da bambino e cominciasse a fare un lavoro da uomo. Obbediente, il monaco avvolse nella pergamena il suo prezioso progetto, lo protesse con pesanti tavole, lo ripose in uno scaffale, e cominciò a fare paralumi, durante il suo tempo libero. Non mormorò proteste, ma si accontentò di pensare che un giorno o l'altro l'anima del caro fratello Jeris sarebbe partita per la stessa strada dell'anima di frate Horner, per cominciare quella vita di cui il mondo era soltanto un anticipo… l'avrebbe cominciata in età piuttosto giovanile, a giudicare dal modo in cui si irritava e si comportava; e poi, a Dio piacendo, Francis avrebbe potuto ottenere il permesso di completare il suo prediletto documento.
Tuttavia la Provvidenza si incaricò di affrettare i tempi, senza chiamare l'anima di frate Jeris al suo Creatore. Durante l'estate che seguì la sua nomina, un protonotario apostolico e il suo seguito di chierici vennero da Nuova Roma, con una carovana di asini, fino all'abbazia. Il protonotario si presentò come Monsignor Manfredo Aguerra, postulante per il Beato Leibowitz nella causa di canonizzazione. Con lui erano parecchi Domenicani. Era venuto per assistere alla riapertura del rifugio e all'esplorazione dell'Ambiente Sigillato. Inoltre, era venuto per indagare su ogni prova che l'abbazia potesse produrre e che potesse avere qualche importanza nella causa: compresi, con grande sbigottimento dell'abate, i rapporti su una presunta apparizione del Beato che, a quanto affermavano i viaggiatori, si era presentato a un certo Francis Gerard dello Utah, AOL.
L'avvocato dei Santi fu accolto con calore dai monaci, fu ospite nelle stanze riservate ai prelati in visita, fu prodigalmente servito da sei giovani novizi che avevano ricevuto l'ordine di obbedire a ogni suo capriccio, benché risultasse chiaro ben presto che Monsignor Aguerra era un uomo di pochi capricci, con grande delusione dei dispensieri. Furono aperte bottiglie dei vini migliori; Aguerra li assaggiò educatamente, ma preferì bere latte. Il frate Cacciatore procurò quaglie grassottelle e galli selvatici per la mensa dell'ospite: ma dopo essersi informato sulle abitudini alimentari dei galli selvatici («Mangiano grano, fratello?» «No, mangiano serpenti, Monsignore») Monsignor Aguerra preferì la pappa d'avena che mangiavano i monaci in refettorio. Se si fosse informato circa la provenienza degli anonimi pezzetti di carne che galleggiavano negli stufati, avrebbe preferito, tuttavia, i galli selvatici che erano veramente succulenti. Manfredo Aguerra insistette perché la vita nell'abbazia continuasse come al solito. Nonostante questo, l'avvocato veniva intrattenuto ogni sera da concerti di violino e da una troupe di pagliacci fino a che cominciò a credere che la solita vita nell'abbazia fosse straordinariamente vivace, in confronto a quella delle altre comunità monastiche.
Il terzo giorno dopo l'arrivo di Aguerra, l'abate mandò a chiamare frate Francis. I rapporti fra il monaco e il suo superiore, sebbene non fossero stretti, erano ufficialmente amichevoli dal tempo in cui l'abate gli aveva permesso di professare i voti, e frate Francis non tremava neppure mentre bussava alla porta dello studio e chiedeva: — Mi avete mandato a chiamare, Reverendo Padre?
— Sì — disse Arkos, poi chiese tranquillamente. — Dimmi, hai pensato spesso alla morte?
— Di frequente, Monsignor Abate.
— Preghi San Giuseppe perché la tua morte non sia infelice?
— Uhm… spesso, Reverendo Padre.
— Allora immagino che non ti importi se morirai all'improvviso? Se qualcuno userà le tue budella per farne corde di un violino? Se verrai dato in pasto ai porci? Se le tue ossa saranno sepolte in terra non consacrata? Eh?
— Nnnn-no, Magister meus.
— Pensavo il contrario, quindi stai attento a quel che dirai a Monsignor Aguerra.
— Io…?
— Tu. — Arkos si soffregò il mento e sembrò perdersi in una melanconica meditazione. — Lo immagino con molta chiarezza. La causa di Leibowitz viene accantonata. Un povero fratello viene colpito da un mattone. E giace là, implorando fra i gemiti l'assoluzione. In mezzo a noi, pensa. E noi siamo lì, lo guardiamo con molta pietà… lo guardiamo mentre esala il suo ultimo respiro, senza neppure un'ultima benedizione. Dannato. Non benedetto. Proprio sotto il nostro naso. Che peccato, eh?
— Monsignore? - squittì Francis.
— Oh, non rimproverare me. Sarò troppo occupato a impedire ai tuoi confratelli di sfogare l'impulso di finirti a calci.
— Quando?
— Mai, speriamo. Perché tu sarai prudente, non è vero… quando parlerai con Monsignore? Altrimenti potrebbe darsi che ti lasciassi uccidere a calci.
— Sì, ma…
— Il postulante ti vuole vedere immediatamente. Ti prego di reprimere la tua immaginazione e di badare bene a ciò che dirai. Ti prego di non cercare di pensare.
— Bene, penso che ci riuscirò.
— Fuori, figliolo, fuori.
Francis era spaventato quando bussò alla porta di Aguerra, ma comprese subito che la sua paura era infondata. Il protonotario era un uomo anziano, dolce e diplomatico che sembrava molto interessato alla vita del piccolo monaco.
Dopo parecchi minuti di cordiali preliminari, abbordò l'argomento cruciale: — Ora, circa il tuo incontro con la persona che poteva essere il Beato Fondatore del…
— Oh, ma io non ho mai detto che fosse il nostro Beato Leibo…
— Naturalmente non lo hai mai detto, figlio mio. Naturalmente. Ora, io ho qui una versione dell'avvenimento, raccolta da fonti non sicure, naturalmente… e vorrei che tu la leggessi, e la confermassi o la correggessi. — Si interruppe per prendere dal baule un rotolo che porse a frate Francis. — Questa versione è basata sui racconti dei viaggiatori — aggiunse. — Soltanto tu puoi descrivere ciò che è avvenuto… quindi io voglio che tu la controlli con estremo scrupolo.
— Certamente, Monsignore. Ma ciò che è accaduto è veramente molto semplice…
— Leggi, leggi! Poi ne parleremo, eh?
La grossezza del rotolo era sufficiente a spiegare che la versione elaborata sulla base delle dicerie non era "molto semplice". Frate Francis la lesse con crescente apprensione. L'apprensione assunse presto le proporzioni dell'orrore.
— Sei pallido, figliolo — disse il postulante. — C'è qualcosa che ti turba?
— Monsignore, questo… non è andata affatto così!
— No? Ma, almeno indirettamente, tu devi essere stato l'autore di questa versione. Come potrebbe essere altrimenti? Non eri tu, il solo testimone?
Frate Francis chiuse gli occhi e si soffregò la fronte. Aveva detto ai suoi compagni di noviziato la semplice verità. Gli altri novizi avevano sussurrato fra loro. Avevano raccontato la storia ai viaggiatori. I viaggiatori l'avevano riferita ad altri viaggiatori. Fino a che… questo! Non c'era di che stupirsi se l'abate Arkos si era intromesso nella discussione. Se almeno non avesse mai parlato del pellegrino!
— Mi disse solo poche parole. Lo vidi quella volta soltanto. Mi inseguì con un bastone, mi chiese la strada per l'abbazia, e fece dei segni sulla pietra, dove poi io trovai la cripta. Poi non lo rividi mai più.
— Niente aureola?
— No, Monsignore.
— Niente cori angelici?