E Monsignor Flaught sembrò giudicare la versione del monaco troppo ingenua per meritare un attacco in piena regola, dopo aver osservato la reazione di frate Francis all'aggressione iniziale.
— Bene, fratello, se questa è la tua versione e tu la sostieni, non credo che ti disturberemo. Anche se è vera… il che non ammetto… è così trascurabile da essere sciocca. Te ne rendi conto?
— È quello che ho sempre pensato, Monsignore — sospirò frate Francis, che da molti anni, ormai, cercava di sminuire l'importanza che gli altri avevano dato al pellegrino.
— Ebbene, è ora che tu lo dica! — scattò Flaught.
— Ho sempre detto che mi pareva che fosse probabilmente soltanto un vecchio.
Monsignor Flaught si coprì gli occhi con la mano e sospirò pesantemente. La sua esperienza con i testimoni incerti lo indusse a non dire altro.
Prima di lasciare l'abbazia, l'advocatus diaboli, come aveva fatto prima di lui l'avvocato dei Santi, si fermò nella copisteria e chiese di vedere la copia alluminata della blueprint di Leibowitz («quella spaventosa incomprensibilità» come la definì Flaught). Questa volta le mani del monaco tremavano non di impazienza ma di paura, perché era possibile che fosse costretto ad abbandonare di nuovo il suo progetto. Monsignor Flaught osservò in silenzio la cartapecora. Deglutì tre volte. Alla fine si costrinse ad annuire.
— La tua immaginazione è vivida — ammise. — Ma questo lo sapevamo tutti, no? — Fece una pausa. — È da molto tempo che vi stai lavorando?
— Da sei anni, Monsignore… a intermittenza.
— Sì, bene, sembra che occorrano ancora altrettanti anni per finirlo.
Le corna di Monsignor Flaught si accorciarono immediatamente di un paio di centimetri, e le sue zanne scomparvero completamente. La stessa sera se ne partì dal convento per tornare a Nuova Roma.
Gli anni passarono tranquillamente, segnando di rughe i visi dei giovani e aggiungendo capelli grigi alle loro tempie. Il lavoro perpetuo dell'abbazia continuò, aggredendo quotidianamente il Cielo con l'inno sempre ricorrente dell'Ufficio Divino, rifornendo quotidianamente il mondo di un lento rivolo di manoscritti copiati e ricopiati, prestando di tanto in tanto chierici e scribi all'episcopato, ai tribunali ecclesiastici, e alle poche potenze secolari che potevano permetterselo. Frate Jeris manifestò l'ambizione di costruire un torchio da stampa, ma Arkos respinse il progetto non appena ne udì parlare. Non c'era né carta sufficiente né inchiostro adatto, e non v'era richiesta di libri poco costosi, in un mondo che si vantava del proprio analfabetismo. La copisteria continuò ad andare avanti con barattoli e pennelli.
Per la Festa dei Cinque Santi Folli, arrivò un messaggero vaticano con liete nuove per l'Ordine. Monsignor Flaught aveva ritirato tutte le obiezioni e stava facendo penitenza davanti a un'icona del Beato Leibowitz. La causa di Monsignor Aguerra era vinta: il Papa aveva dato istruzioni perché venisse emesso un decreto che raccomandava la canonizzazione. La data per la proclamazione ufficiale era fissata per il prossimo Anno Santo, e doveva coincidere con la convocazione del Concilio Generale della Chiesa allo scopo di fare una prudente riformulazione della dottrina a proposito delle limitazioni del magisterium a materie di fede e di morale; era un problema che sembrava essere stato risolto molte volte, nel corso della storia, ma sembrava ripresentarsi sotto nuova forma durante ogni secolo, specie in quei periodi bui in cui la conoscenza umana del vento, delle stelle e della pioggia era in realtà soltanto una semplice credenza. Durante il tempo del concilio, il fondatore dell'Ordine Albertiano sarebbe stato incluso nel Calendario dei Santi.
L'annuncio fu seguito da un periodo di allegrezza, nell'abbazia. Don Arkos, ormai raggrinzito dall'età e prossimo al rimbambimento, chiamò alla sua presenza frate Francis e gemette: — Sua Santità ci invita a Nuova Roma per la canonizzazione. Preparati a partire.
— Io, Monsignore?
— Tu solo. Il fratello farmacista mi proibisce di mettermi in viaggio, e non sarebbe bene che il Padre Priore si allontanasse, mentre io sono ammalato. E adesso non svenirmi di nuovo — aggiunse Don Arkos in tono querulo. — Probabilmente stai acquistando più credito di quanto meriti, perché il tribunale ha accettato la data di morte di Emily Leibowitz come provata in modo conclusivo. Ma Sua Santità il Papa ti invita comunque. Il consiglio che ti posso dare è di ringraziare Dio e di non pretendere merito.
Frate Francis vacillò. — Sua Santità…?
— Sì. Ora, noi manderemo al Vaticano la blueprint originale di Leibowitz. Cosa ne dici di prendere con te la copia alluminata come dono personale per il Santo Padre?
— Uh — disse Francis.
L'abate lo rincuorò, lo benedisse, lo definì un buon semplicione e lo mandò a preparare la bisaccia.
10
Il viaggio a Nuova Roma avrebbe richiesto almeno tre mesi, forse di più, poiché la sua durata dipendeva in parte dalla distanza che Francis sarebbe riuscito a coprire prima che l'inevitabile banda di predoni gli togliesse l'asino. Avrebbe dovuto viaggiare solo e disarmato, portando soltanto la sua bisaccia e la ciotola delle elemosine, oltre alla reliquia e alla sua copia alluminata. Pregava che i predoni ignoranti giudicassero inutile quest'ultima; perché, invero, fra i banditi della strada vi erano alcuni ladri di animo gentile che rubavano soltanto gli oggetti di valore, e permettevano alle vittime di conservare la vita, la carcassa e gli effetti personali. Altri erano meno rispettosi.
Per precauzione, Francis portava una benda nera sull'occhio destro. I contadini erano superstiziosi e spesso potevano essere messi in fuga anche dal semplice sospetto del malocchio. Così equipaggiato, partì, per obbedire alla chiamata del Sacerdos Magnus, il Santo Sovrano, Leone Papa XXI.
Quasi due mesi dopo aver lasciato l'abbazia, il monaco incontrò il suo ladrone sul sentiero di una montagna coperta di boschi, lontano da ogni abitato umano, ad eccezione della Valle dei Malnati, che giaceva a poche miglia al di là di un picco, verso ovest, dove una colonia di pochi esseri geneticamente mostruosi vivevano come lebbrosi, isolati dal mondo. Alcune colonie di quel tipo venivano visitate dagli Ospitalieri della Santa Chiesa, ma la Valle dei Malnati non era tra queste.
Gli anormali che erano sfuggiti alla morte per mano dei membri delle tribù delle foreste vi si erano raccolti, parecchi secoli prima. I loro ranghi erano continuamente riempiti da esseri deformi e striscianti che cercavano rifugio dal mondo, ma fra loro qualcuno era fertile e generava nuove creature. Spesso quei figli ereditavano le mostruosità dei genitori. Spesso nascevano morti o non raggiungevano mai la maturità. Ma di tanto in tanto i tratti mostruosi erano recessivi, e dall'unione di due anormali nasceva un figlio apparentemente normale. Qualche volta, tuttavia, le creature superficialmente "normali" erano oberate da qualche invisibile deformità di cuore o di mente, che le orbava, a quanto pareva, dell'essenza di umanità, mentre ne lasciava loro l'aspetto. Anche nella Chiesa, qualcuno aveva osato sostenere la convinzione che tali creature erano state in verità private della Dei imago fin dalla concezione, che le loro anime erano soltanto anime di bestie, e che potevano essere impunemente distrutte, secondo la Legge Naturale, come animali e non come uomini, che Dio aveva mandato nascite animali fra la specie umana come punizione per i peccati che avevano quasi distrutto l'umanità. Pochi teologi che la credenza nell'Inferno non abbandonava mai preferivano affermare che Dio non avrebbe mai fatto ricorso ad alcuna forma di punizione temporale, ma per gli uomini assumersi il diritto di giudicare una creatura nata di donna come priva della divina immagine era un'usurpazione dei privilegi del Cielo. Persino l'idiota che pareva meno dotato di un maiale o di una capra deve, se nato da donna, essere chiamato anima immortale, tuonava il magisterium, e continuava a tuonare. Dopo che parecchi di questi pronunciamenti, miranti a reprimere l'infanticidio, furono emessi da Nuova Roma, gli infelici malnati erano chiamati "nipoti del Papa" o "figli del Papa", da qualcun altro.