Gli occhi grigi del ladrone lampeggiarono d'ira, per un momento. — Noi disprezziamo i nostri antenati — latrò. — Maledetti siano coloro che ci hanno generati!
— Maledetti, maledetti! — fece eco uno dei due arcieri sulla collina.
— Sai chi siamo? Sai da dove veniamo?
Francis annuì. — Non intendevo offendervi. L'antico cui appartiene questa reliquia… non è un nostro antenato. Era il nostro maestro. Noi veneriamo la sua memoria. Questa è soltanto un ricordo, nient'altro.
— E la copia?
— L'ho fatta io stesso. Vi prego, signore, vi ho impiegato quindici anni. Per voi non significa nulla. Vi prego… non vorrete togliere quindici anni di vita a un uomo… senza una ragione?
— Quindici anni? - Il ladrone rovesciò la testa e ululò una risata. — Hai dedicato quindici anni a fare questo?
— Oh, ma… — Francis si interruppe all'improvviso. I suoi occhi puntarono verso il tozzo dito del ladrone. Il dito stava battendo sulla blueprint originale.
— Questo ti ha preso quindici anni? È quasi brutto, vicino all'altro. — Si batté una mano sulla pancia e tra le risate continuò a indicare la reliquia. — Ah! Quindici anni! Dunque è questo che fate, laggiù! Perché? A cosa serve questa immagine fantasma? Quindici anni per farla! Oh, oh! Che lavoro da donna!
Francis lo osservava in un silenzio stordito. Il fatto che il ladrone avesse scambiato la sacra reliquia per la sua copia lo aveva scosso troppo profondamente perché potesse rispondere.
Continuando a ridere, il ladrone prese in mano entrambi i documenti e fece il gesto di strapparli a metà.
— Gesù, Maria, Giuseppe! — gridò il monaco, inginocchiandosi sul sentiero. — Per l'amor di Dio, signore!
Il ladrone buttò in terra i fogli. — Mi batterò con te per questi — offrì, sportivamente. — Questi contro il mio coltello.
— Ci sto — disse impulsivamente Francis, pensando che una lotta avrebbe per lo meno offerto al Cielo una possibiltà di intervenire in modo discreto. "O Dio. Tu che desti forza a Giacobbe perché vincesse l'angelo sulla montagna…"
Si misero in posizione. Frate Francis si fece il segno della Croce. Il ladrone si tolse il coltello dalla cintura e lo buttò sui documenti. Girarono uno attorno all'altro.
Tre secondi dopo, il monaco era riverso al suolo, sotto una piccola montagna di muscoli. Un sasso aguzzo sembrava spezzargli la spina dorsale.
— Eh-er — disse il ladrone, e si alzò per riprendere il coltello e per arrotolare i documenti.
Con le mani giunte in preghiera, frate Francis lo seguì in ginocchio, supplicando con tutto il fiato che aveva nei polmoni. — Vi prego, allora prendetene soltanto uno, non tutti e due! Vi prego!
— Adesso dovrai ricomprarlo — ridacchiò il ladrone. — Li ho vinti in lotta leale.
— Ma io non ho nulla. Io sono povero!
— E va bene, se li desideri tanto, devi pagare in oro. Due heklos d'oro è il prezzo del riscatto. Portali qui quando vorrai. Io nasconderò questa roba nella mia tana. Se li rivuoi, porta l'oro.
— Ascoltate, sono importanti per la gente, non per me. Io li stavo portando al Papa. Forse vi pagheranno per il documento più importante. Ma lasciatemi l'altro, per mostrarlo. Non ha nessuna importanza, quello.
Il ladrone si voltò, ridendo. — Credo che mi baceresti gli stivali, per riaverlo.
Frate Francis lo prese in parola e gli baciò con fervore lo stivale.
Questo fu troppo anche per un tipo come il ladrone. Respinse il monaco con un piede, separò i due fogli, ne scagliò uno in faccia a Francis con una maledizione. Salì in groppa all'asinello e lo spronò su per il pendìo. Frate Francis afferrò il prezioso documento e strisciò dietro al ladrone, ringraziandolo a profusione e benedicendolo ripetutamente mentre l'altro guidava l'asino verso gli arcieri.
— Quindici anni! — sbuffò il ladrone, e respinse di nuovo Francis con il piede. — Vattene! — E agitò alto nel sole quello splendore alluminato. — Ricordati… due heklos d'oro riscatteranno il tuo documento. E di' al tuo Papa che l'ho vinto lealmente.
Francis smise di arrampicarsi. Tracciò un benedicente segno della Croce dietro il bandito che si allontanava e lodò quietamente Dio per l'esistenza di ladroni tanto altruisti, che potevano commettere simili errori di ignoranza. Si vezzeggiò la blueprint originale, teneramente, mentre percorreva il sentiero. Il ladrone stava mostrando orgogliosamente la bellissima copia ai suoi compagni mutanti, sulla collina.
— Mangiare! Mangiare! — disse uno di loro, accarezzando l'asino.
— Cavalcare, cavalcare — corresse il ladrone. — Mangiare, dopo.
Ma quando frate Francis li ebbe lasciati indietro, una grande amarezza lo travolse, gradualmente. La voce sarcastica gli risuonava ancora nelle orecchie. «Quindici anni! Dunque è questo che fate, laggiù! Quindici anni! che lavoro da donna! Oh oh oh oh…»
Il ladrone aveva commesso un errore. Ma quei quindici anni erano perduti in ogni caso, e con essi tutto l'amore e il tormento che aveva dedicato alla copia alluminata.
Abituato a vivere nel chiostro, Francis si era disabituato alle vie del mondo esterno, alle sue rudi abitudini e ai suoi modi bruschi. Si accorse che il suo cuore era profondamente turbato dal sarcasmo del ladrone. Pensò al più gentile sarcasmo di frate Jeris, nei primi anni. Forse frate Jeris aveva avuto ragione.
Teneva il capo chino sotto il cappuccio, mentre proseguiva lentamente il suo cammino.
Per lo meno, aveva la reliquia originale. Per lo meno.
11
L'ora era giunta.
Frate Francis, nel suo semplice abito da monaco, non si era mai sentito meno importante che in quel momento, mentre si inginocchiava nella maestosa basilica, prima che iniziasse la cerimonia. I movimenti solenni, i vividi vortici di colore, i suoni che accompagnavano i cerimoniosi preparativi della cerimonia sembravano già liturgici, in ispirito, e rendevano difficile pensare che per il momento non stava accadendo ancora qualcosa di importante. Vescovi, monsignori, cardinali, preti e funzionari laici in abiti eleganti e antiquati andavano qua e là nella grande chiesa, ma il loro andirivieni era un aggraziato movimento a orologeria che non si fermava, non incespicava, non cambiava mai direzione per dirigersi altrove. Un sampetrius entrò nella basilica: era così grandioso che Francis, dapprima, scambiò l'operaio della cattedrale per un prelato. Il sampetrius reggeva uno sgabello poggiapiedi. Lo portava con tale distratta pomposità che il monaco, se non fosse già stato inginocchiato, si sarebbe genuflesso mentre l'oggetto gli passava davanti. Il sampetrius posò un ginocchio al suolo, davanti all'altare, poi si avviò verso il trono papale dove mise lo sgabello al posto di un altro, che sembrava avesse una gamba allentata; poi si allontanò, facendo lo stesso percorso per cui era venuto. Frate Francis si meravigliò della studiata eleganza di movimenti che accompagnavano persino i gesti più insignificanti. Nessuno aveva fretta. Nessuno si muoveva a casaccio. Non si compiva alcun movimento che non contribuisse quietamente alla dignità e alla bellezza sopraffacente di questo luogo antico, come vi contribuivano le statue immote e i dipinti. Persino il fruscio dei respiri sembrava echeggiare debolmente nelle absidi lontane.
Terribilis est locus iste: hic domus Dei est, et porta coeli: questo è un luogo terribile, la Casa di Dio e la Porta del Cielo!
Alcune delle statue erano vive, notò Francis dopo qualche tempo. Una armatura stava contro una parete, a sinistra, a pochi metri da lui. Il suo pugno serrato in un guanto di maglia di ferro reggeva l'impugnatura di una splendente alabarda. Neppure la piuma sull'elmo si era agitata, durante il tempo che frate Francis aveva trascorso lì, in ginocchio. Una dozzina di armature identiche era piazzata, a intervalli, lungo le pareti. Soltanto dopo aver visto una mosca cavallina che strisciava attraverso la visiera della "statua" alla sua sinistra, cominciò a sospettare che l'armatura contenesse un occupante. Il suo sguardo non riusciva a distinguere alcun movimento, ma l'armatura emise alcuni cigolii metallici, mentre ospitava la mosca. Quelle, dunque, dovevano essere le guardie pontificie, così favolose per le loro cavalieresche battaglie; il piccolo esercito privato del Vicario di Cristo.