La freccia lo centrò in mezzo agli occhi.
— Mangiare! Mangiare! Mangiare! — gridò il figlio del Papa.
Sul sentiero, a sud-ovest, il vecchio vagabondo sedette su un tronco e chiuse gli occhi per riposarli dal sole. Si sventolò con un cappellaccio sciupato e masticò una foglia aromatica. Aveva vagato per molto tempo. La sua ricerca sembrava interminabile, ma c'era sempre la promessa di trovare ciò che cercava al di là del prossimo dosso o della prossima curva del sentiero. Quando ebbe finito di sventolarsi, si rimise in testa il cappello e si grattò la barba irsuta, mentre si volgeva intorno a guardare il paesaggio, battendo le palpebre. C'era una striscia di foresta, indenne dal fuoco, ma il vagabondo rimase lì, a osservare le poiane curiose. Si erano riunite, e volavano piuttosto basse sulla fascia boschiva. Uno dei rapaci si azzardò a scendere fra gli alberi, ma svolazzò di nuovo in alto, volò di forza fino a che non trovò una colonna d'aria ascendente, poi si lanciò in una ripida salita. La cupa schiera di becchini sembrava dedicare una quantità di energia superiore al normale per sbattere le ali. Di solito planavano, risparmiando le forze. Adesso sfrecciavano nell'aria, sulla collina, come se fossero impazienti di atterrare.
Fino a che le poiane si mostrarono interessate ma riluttanti, il vagabondo rimase dov'era. C'erano molti puma, su quelle colline. Al di là del picco c'erano cose peggiori dei puma, e qualche volta si spingevano fin lì. Il vagabondo attese. Finalmente le poiane scesero fra gli alberi. Il vagabondo attese altri cinque minuti. Alla fine si alzò e si avviò verso la fascia boschiva, dividendo il suo peso tra la gamba sana e il bastone.
Dopo un po' entrò nella foresta. Le poiane erano indaffarate sui resti di un uomo. Il vagabondo scacciò gli uccelli con il bastone ed esaminò quei resti umani. Ne mancavano alcune parti. C'era una freccia infissa nel suo cranio, e spuntava dalla nuca. Il vecchio si guardò intorno innervosito. Non c'era nessuno, in vista, ma vicino al sentiero c'erano molte orme. Non era prudente rimanere lì.
Prudente o no, doveva farlo. Il vecchio vagabondo trovò un punto in cui la terra era abbastanza morbida per poterla scavare con le mani e con il bastone. Mentre scavava, le poiane incollerite volavano in cerchio, basse, sopra le cime degli alberi. Qualche volta sfrecciavano verso il suolo, ma subito risalivano di nuovo verso il cielo, sbattendo le ali. Per un'ora, poi per due, svolazzarono ansiose sulla collina boscosa.
Finalmente, una di esse atterrò. Zampettò indignata su un mucchio di terra smossa di fresco, su una estremità della quale era stata posta una pietra. Delusa, riprese il volo. Lo stormo di neri becchini abbandonò quel luogo e salì, sfruttando le correnti ascensionali, osservando famelicamente la terra.
C'era un porco morto al di là della Valle dei Malnati. Le poiane l'osservarono gaiamente e scivolarono giù, per il festino. Più tardi, su un lontano passo di montagna, un puma finì di leccare i frammenti di carne e lasciò la sua preda. Le poiane sembrarono grate per la possibilità di finire il suo pasto.
Le poiane deposero le uova, nella giusta stagione, e sfamarono amorosamente i piccini: un serpente morto, pezzi di cane selvatico. La generazione più giovane crebbe forte, volò alta e lontana sulle ali nere, attendendo che la fruttifera terra cedesse loro la sua misericordiosa carogna. Qualche volta, il pasto era soltanto un rospo. Una volta era un messaggero proveniente da Nuova Roma.
Il loro volo le portò nelle pianure del Middle West. Erano felici per l'abbondanza di buone cose che i nomadi si lasciavano dietro, sulla terra, durante le loro migrazioni verso il sud.
Per un poco le prede furono buone nella regione del Fiume Rosso; ma, dalla carneficina, sorse una città-stato. Le poiane non avevano simpatia per le città-stato che sorgevano, sebbene ne approvassero la caduta finale. Fuggirono da Texarkana e spaziarono lontano, sopra la pianura a occidente. Come tutte le cose viventi, riempirono molte volte la Terra della loro specie.
Finalmente venne l'anno del Signore 3.174.
E si parlava di guerra.
PARTE SECONDA
FIAT LUX
12
Marcus Apollo fu certo dell'imminenza della guerra nel momento in cui udì la terza moglie di Hannegan dire a una fantesca che il suo cortigiano favorito era ritornato con la pelle intatta da una missione all'accampamento del clan di Orso Pazzo. Il fatto che fosse tornato vivo dall'accampamento dei nomadi indicava che si stava preparando una guerra. Infatti, la missione dell'inviato era stata di dire alle tribù della Pianura che gli stati civili avevano aderito al Patto della Sacra Sferza riguardante le terre disputate, e di conseguenza avrebbero compiuto dure rappresaglie sulle popolazioni nomadi e sulle bande di predoni per ogni futura incursione. Ma nessun uomo aveva mai portato notizie del genere a Orso Pazzo per ritornarne vivo. Di conseguenza, concluse Apollo, l'ultimatum non era stato consegnato, e l'emissario di Hannegan si era addentrato nelle Pianure con un altro scopo. E quello scopo era anche troppo chiaro.
Apollo si fece largo educatamente fra la piccola folla degli ospiti, cercando con gli occhi attenti frate Claret, e tentando di attirarne lo sguardo.
L'alta figura di Apollo, nella severa tunica nera, con un piccolo lampo di colore alla cintura per denotare il suo rango, spiccava nettamente, in contrasto con il vortice caleidoscopico di colori nella sala del banchetto; non impiegò molto tempo ad attirare lo sguardo dell'ecclesiastico e ad accennargli di dirigersi verso la tavola dei rinfreschi, che ormai era ridotta a una distesa di briciole, di tazze unte e di pochi pezzi d'arrosto troppo cotto.
Apollo pescò nella grande coppa del punch con il mestolo, osservò uno scarafaggio morto che galleggiava fra le spezie, e offrì pensieroso la prima tazza a frate Claret, quando l'ecclesiastico si avvicinò.
— Grazie, Monsignore — disse Claret, senza notare lo scarafaggio. — Volevate parlarmi?
— Non appena sarà finito il ricevimento. Nel mio alloggio. Sarkal è ritornato vivo.
— Oh!
— Non ho mai sentito un "oh" più malaugurante. Ne deduco che avete compreso le gravi implicazioni di questo fatto.
— Certamente, Monsignore. Significa che il Patto è stato una frode, da parte di Hannegan, e che lui intende usarlo contro…
— Shh! Più tardi. — Gli occhi di Apollo segnalarono l'avvicinarsi di estranei, e il frate si voltò per riempire di nuovo la tazza. Il suo interesse si appuntò improvvisamente sulla grande tazza piena di rum; così, non guardò la snella figura vestita di seta marezzata che, dall'ingresso, si dirigeva verso di loro a grandi passi. Apollo sorrise in modo formale e si inchinò all'uomo. La loro stretta di mano fu breve e notevolmente fredda.
— Bene, Thon Taddeo — disse il prete — la vostra presenza mi sorprende. Credevo che rifuggiste questi convegni festaioli. Che cosa può esservi di speciale in questo, per attrarre un celebre studioso come voi? — E sollevò le sopracciglia, in atto di ironica perplessità.
— Naturalmente, l'attrazione siete voi — disse il nuovo venuto, rispondendo con il sarcasmo al sarcasmo di Apollo. — E siete anche l'unica ragione della mia presenza.
— Io? — Apollo finse di essere sorpreso: ma l'affermazione era probabilmente vera. Il ricevimento nuziale di una sorella consanguinea non era una ragione sufficiente per costringere il Thon Taddeo a perdersi in raffinatezze formali e ad abbandonare le sale claustrali del collegio.
— Per la verità, vi ho cercato tutto il giorno. Mi hanno detto che sareste stato qui. Altrimenti… — Guardò la sala del banchetto e sbuffò, irritato.
Quello sbuffo irritato spezzò il legame di fascino che univa lo sguardo di frate Claret alla tazza del punch; il religioso si voltò per inchinarsi al Thon.