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— Questo pomeriggio c'è stata una riunione della facoltà del collegio — disse il Thon Taddeo, non appena furono seduti. — Abbiamo parlato della lettera di frate Kornhoer, e dell'elenco dei documenti. — Si interruppe, come se fosse incerto sull'approccio da scegliere. La grigia luce del crepuscolo che scendeva dalla grande finestra ad arco alla sua sinistra dava al suo viso un aspetto intenso, e i suoi grandi occhi grigi studiavano il prete come se lo misurassero e lo valutassero.

— Ne deduco che qualcuno si è mostrato scettico?

Gli occhiasi abbassarono per un attimo, poi si risollevarono, prontamente. — È necessario che io sia educato?

— Non disturbatevi — ridacchiò Apollo.

— Si sono mostrati scettici. Forse "increduli" è la parola più adatta. Io stesso ritengo che, se tali documenti esistono, si tratta probabilmente di falsificazioni che risalgono a parecchi secoli addietro. Dubito che i monaci dell'abbazia, oggi, stiano cercando deliberatamente di perpetrare un'impostura. Naturalmente essi credono che i documenti siano validi.

— È molto gentile da parte vostra assolverli così — disse acido Apollo.

— Mi sono offerto di essere educato! È necessario che lo sia?

— No. Continuate.

Il Thon si alzò dalla sedia e andò a sedersi alla finestra. Guardò le strisce di nuvole gialle che sbiadivano a occidente e batté piano una mano sul davanzale, mentre parlava. — I documenti. Non importa che cosa ne pensiamo, la sola idea che tali documenti possano ancora esistere, intatti… l'idea che vi sia anche la minima possibilità che essi esistano… bene, è un pensiero così eccitante che dobbiamo indagare, immediatamente.

— Benissimo — disse Apollo, in po' divertito. — I monaci vi hanno invitato. Ma ditemi: cosa trovate di così eccitante in quei documenti?

Lo studioso gli lanciò una rapida occhiata. — Conoscete il mio lavoro?

Il monsignore esitò. Lo conosceva, ma ammettere questo l'avrebbe costretto ad ammettere anche che il nome del Thon Taddeo veniva pronunciato insieme a quelli dei filosofi naturali morti da mille anni e più, mentre il Thon aveva poco più di trent'anni. Il prete non ci teneva ad ammettere che quel giovane scienziato prometteva di diventare una di quelle rare eccezioni di genio umano che appaiono soltanto una volta ogni uno o due secoli per rivoluzionare un intero campo del pensiero. Tossì, quasi in segno di scusa.

— Devo ammettere che non ho letto molto di…

— Non importa. — Pfardentrott accantonò la scusa con un gesto. — È soprattutto un lavoro astratto e noioso per un profano. Teorie dell'essenza elettrica. Moto planetario. Corpi che si attraggono. Cose del genere. Ora, l'elenco di Kornhoer cita nomi come Laplace, Marxwell ed Einstein… significano qualcosa, per voi?

— Non molto. La storia li menziona come filosofi naturali, non è così? Vissero nel periodo precedente al crollo dell'ultima civiltà. E credo che siano nominati in una delle angiologie pagane, non è vero?

Lo studioso annuì. — E questo è ciò che si sa di loro o delle loro opere. Erano fisici, secondo i nostri storici, non del tutto attendibili. Furono responsabili della rapida ascesa della civiltà europea-americana, dicono. Gli storici riferiscono solo particolari insignificanti. Li avevo quasi dimenticati. Ma le descrizioni fatte da Kornhoer dei documenti antichi che i monaci affermano di custodire sono descrizioni di carte che potrebbero essere state tolte da testi di scienze fisiche. È impossibile!

— Ma voi volete accertarlo!

— Noi dobbiamo accertarlo. Ora che il problema si presenta, vorrei non averne mai sentito parlare.

— Perché?

Il Thon Taddeo stava guardando qualcosa, nella strada sottostante. Fece un cenno di richiamo al prete. — Venite qui un momento. Vi mostrerò perché.

Apollo girò dietro la scrivania e guardò la strada fangosa e sconnessa, al di là del muro che cingeva il palazzo e gli edifici del collegio, isolando il santuario del Podestà dalla città plebea. Lo studioso stava indicando la figura ombrosa di un contadino che guidava verso casa un asinelio, nel crepuscolo. I piedi dell'uomo erano avvolti in tela da sacco, e il fango li aveva impiastricciati al punto che l'uomo sembrava quasi incapace di sollevarli. Ma avanzava, faticosamente, un passo dopo l'altro, riposando per mezzo secondo prima di sollevare un piede. Sembrava troppo debole per grattare via il fango.

— Vedete, non cavalca l'asino — osservò il Thon Taddeo — perché questa mattina l'asino era carico di grano, il contadino non pensa che adesso i sacchi sono vuoti. Ciò che va bene al mattino va bene anche il pomeriggio.

— Lo conoscete?

— Passa anche sotto la mia finestra. Tutte le mattine e tutte le sere. Non lo avete mai notato?

— Ne ho notati migliaia come lui.

— Guardate. Riuscite a credere che quel bruto sia il discendente diretto di uomini che avrebbero raggiunto la Luna, imbrigliato le forze della Natura, costruito meccanismi capaci di parlare e forse anche di pensare? Potete credere che uomini simili siano esistiti?

Apollo taceva.

— Guardatelo! — insistette lo studioso. — No, adesso è troppo buio. Non potete vedere le piaghe della sifilide sul suo collo, né il modo in cui la radice del suo naso è corrosa. È affetto da paresi. Ma indubbiamente, fin dall'inizio, era un idiota. Analfabeta, superstizioso, pieno di istinti malvagi. Ha contagiato i suoi figli. Li ucciderebbe per poche monete. Li venderà, in ogni caso, non appena saranno abbastanza cresciuti per rendersi utili. Guardatelo, e ditemi se state guardando la progenie di una civiltà un tempo potentissima. Che cosa vedete?

— L'immagine di Cristo — scattò il monsignore, sorpreso della propria ira improvvisa. — Cosa pensate che io veda?

Lo studioso sbuffò, irato e impaziente. — L'incongruenza. Uomini come voi possono osservare quella gente da ogni finestra, e uomini come gli storici vorrebbero farci credere che un tempo esistessero veri uomini. Non posso accettarlo. Come può una grande e saggia civiltà essersi distrutta così completamente?

— Forse — disse Apollo — si è distrutta perché era grande e saggia materialmente, e null'altro. — Andò ad accendere una lampada a sego, perché il crepuscolo svaniva rapidamente nella notte. Colpì esca e acciarino fino a che la scintilla non si comunicò all'esca, poi vi soffiò sopra dolcemente.

— Forse — disse il Thon Taddeo. — Ma io ne dubito.

— Voi rifiutate tutta la storia, dunque, come mito? — Dalla scintilla spuntò una fiamma.

— Non la rifiuto. Ma deve essere controllata. Chi ha scritto la vostra storia?

— Gli ordini monastici, naturalmente. Durante i secoli dell'oscurantismo, non v'era nessun altro per scriverla. — Apollo trasferì la fiamma allo stoppino.

— Ecco! Ci siamo! E durante il tempo degli antipapi, quanti Ordini scismatici fabbricarono versioni proprie degli eventi, e gabellarono quelle versioni come opera di autori precedenti? Non potete sapere, non potete sapere veramente. Non si può negare che su questo continente vi sia stata una civiltà molto più progredita della nostra attuale. Basta guardare alle macerie, ai metalli arrugginiti, per saperlo. Basta scavare sotto una striscia di sabbia e si trovano le loro strade dissestate. Ma dov'è la prova dell'esistenza delle macchine che secondo i vostri storici possedevano gli antichi? Dove sono i resti dei carri che si muovevano da soli, delle macchine volanti?

— Ora sono fusi nei vomeri e nelle zappe.

— Se sono esistiti.

— Se ne dubitate, perché disturbarvi a studiare i documenti leibowitziani?