Il monaco annuì.
— Continuate a leggere.
La lettura continuò, ma l'abate smise di ascoltare. Conosceva quasi a memoria la lettera, ma aveva l'impressione che Marcus Apollo avesse tentato di dirgli qualcosa fra le righe, qualcosa di lui, Don Paulo, non era ancora riuscito a comprendere. Marcus stava cercando di avvertirlo… ma di che? Il tono della lettera era blandamente ironico, ma sembrava carico di incongruenze malauguranti che potevano essere designate soltanto a sommarsi ad alcune buie congruenze, se soltanto gli fosse stato possibile sommarle. Che pericolo poteva esservi, nel permettere a uno studioso secolare di studiare nell'abbazia?
Il Thon Taddeo, secondo il corriere che aveva portato la lettera, era stato educato nel monastero Benedettino, dove era stato portato da bambino, per evitare imbarazzo alla moglie di suo padre. Il padre del thon era lo zio di Hannegan, ma sua madre era una fantesca. La duchessa, moglie legittima del duca, non aveva mai protestato per i vagabondaggi sentimentali del marito, fino a che quella fantesca gli aveva dato il figlio maschio che aveva sempre desiderato; poi gridò all'ingiustizia. Gli aveva generato soltanto figlie, e l'essere stata superata da una fantesca scatenò la sua ira. Fece allontanare il bambino, fece battere e scacciare la fantesca, e rafforzò il suo dominio sul duca. Decise di dargli un figlio maschio per riaffermare il proprio onore: ma gli diede altre tre figlie. Il duca attese pazientemente per quindici anni: quando la duchessa morì d'aborto (di un'altra figlia) andò subito dai Benedettini per reclamare il ragazzo e per farne il suo erede.
Ma il giovane Taddeo degli Hannegan-Pfardentrott era diventato un tipo difficile. Era cresciuto, dall'infanzia all'adolescenza, in vista della città e del palazzo dove il suo primo cugino veniva preparato per salire al trono: se la sua famiglia l'avesse ignorato, tuttavia, sarebbe maturato senza risentirsi per la sua condizione sociale. Ma tanto suo padre quanto la fantesca che l'aveva partorito venivano a visitarlo con frequenza sufficiente a ricordargli che lui era nato di carne umana e non di pietra, e per fargli vagamente comprendere che era stato defraudato dell'amore cui aveva diritto.
Poi, il Principe Hannegan era venuto nello stesso monastero per un anno di istruzione, aveva signoreggiato al di sopra del suo cugino bastardo, e l'aveva superato in tutto, tranne che nella prontezza di mente. Il giovane Taddeo aveva odiato il principe con calmo furore, e si era accinto a distanziarlo il più possibile, almeno in dottrina. Quella gara si era rivelata inutile, tuttavia: il principe aveva lasciato la scuola monastica l'anno seguente, illetterato come vi era giunto, e nessuno aveva più pensato a perfezionare la sua istruzione. Nel frattempo, il suo cugino esiliato continuava da solo la gara, conquistando alti onori: ma la sua vittoria era inutile, perché Hannegan non se ne curava. Il Thon Taddeo era giunto a disprezzare l'intera Corte di Texarkana ma, con giovanile incoerenza, vi ritornò volentieri per esservi finalmente legittimato come figlio di suo padre, disposto a perdonare tutti tranne la morta duchessa che l'aveva esiliato e i monaci che in quell'esilio avevano avuto cura di lui.
Forse pensa al nostro chiostro come a un luogo abietto, si disse l'abate. Forse per lui vi sarebbero amari ricordi, mezzi-ricordi e forse qualche ricordo immaginario.
— …semi di controversia nel letto della Nuova Sapienza — continuò il lettore. — Perciò stai in guardia, e bada ai sintomi.
"Ma d'altra parte, non soltanto Sua Supremazia ma anche le leggi della carità e della giustizia esigono che io te lo raccomandi come un uomo bene intenzionato, o almeno come un bambino privo di malizia, come quasi tutti questi pagani istruiti ed educati (e nonostante tutto diventano pagani). Si comporterà bene se tu ti comporterai con fermezza, ma sii prudente, amico mio. Ha una mente simile a un moschetto carico, e può sparare in qualsiasi direzione. Io confido, tuttavia, che andare d'accordo con lui per qualche tempo non sarà un problema grave per la tua ingegnosità e per la tua ospitalità.
"Quidam mihi calix nuper expletur, Paule. Precamini ergo Deum facere me fortiorem. Metuo ut hic peream. Spero te et fratres saepius oraturos esse pro tremescente Marco Apolline. Valete in Christo, amici.
"Texarkanae missum est Octava Ss Petri et Pauli, Anno Domini termillesimo…"
— Vediamo ancora il sigillo — disse l'abate.
Il monaco gli porse il rotolo. Don Paulo lo accostò al viso per guardare la scritta confusa impressa in fondo alla pergamena, con un timbro di legno male inchiostrato:
APPROVATO DA HANNEGAN II, PER GRAZIA DI DIO PODESTÀ
DOMINATORE DI TEXARKANA, DIFENSORE DELLA FEDE,
E VAQUERO SUPREMO DELLE PIANURE.
QUI SEGNO: X
— Mi chiedo se Sua Supremazia si è fatto leggere la lettera da qualcuno, più tardi — si preoccupò l'abate.
— E se così fosse, Monsignore, credete che la lettera sarebbe stata mandata?
— Credo di no. Ma questa frivolezza sotto il naso di Hannegan solo per beffare l'analfabetismo del Podestà è insolita in Marcus Apollo, a meno che non cercasse di dirmi qualcosa fra le righe… ma non riuscisse a trovare il modo sicuro di esprimersi. L'ultima parte… a proposito di un certo calice che teme non gli verrà allontanato… È chiaro che è preoccupato di qualcosa, ma che cosa? È insolito, in Marcus: è completamente insolito.
Erano passate parecchie settimane dall'arrivo della lettera: durante quelle settimane Don Paulo aveva dormito male, aveva sofferto per il riacutizzarsi del vecchio disturbo gastrico, aveva riflettuto moltissimo sul passato, come per scongiurare il futuro. Quale fututo? si chiedeva. Non pareva vi fosse alcuna ragione logica per aspettarsi guai. La controversia tra i monaci e gli abitanti del villaggio si era quietata. Nessun segno di turbolenza veniva dalle tribù del Nord e dell'Est. L'imperiale Denver non insisteva nei suoi tentativi di esigere tasse dalle congregazioni monastiche. Non c'erano truppe nelle vicinanze. L'oasi forniva ancora acqua. Non pareva esservi alcuna minaccia di epidemia tra gli animali e gli uomini. Il grano cresceva bene, quell'anno, nei campi irrigati. Il mondo mostrava segni di progresso e il villaggio di Sanly Bowits aveva raggiunto una percentuale fantastica di persone che sapevano leggere e scrivere: ben l'otto per cento. E di questo gli abitanti del villaggio avrebbero potuto essere grati ai monaci dell'Ordine Leibowitziano… ma non lo erano.
Eppure, aveva qualche presentimento. Qualche minaccia innominata era in agguato, all'angolo del mondo, non appena il sole fosse sorto di nuovo. Quella sensazione lo rodeva, tormentosa come uno sciame di insetti affamati che ronzassero attorno al viso di un pellegrino nel sole del deserto. C'era la sensazione di qualcosa di imminente, di spietato, di irragionevole: si avvolgeva in spire come un serpente a sonagli reso furioso dal calore e pronto a colpire un ciuffo d'erba che rotolasse.
Era un demonio, quello che cercava di affrontare, decise l'abate, ma era un demonio molto evasivo. Il diavolo dell'abate era piuttosto piccolo: alto quanto il ginocchio di un uomo, ma pesava dieci tonnellate e aveva la forza di cinquecento buoi. Non era spinto dalla malizia, come l'immaginava Don Paulo, quanto da una convulsione frenetica, qualcosa che somigliava al furore di un cane idrofobo. Azzannava carne e ossa e unghie semplicemente perché si era dannato, e la dannazione creava un appetito dannatamente insaziabile. Ed era malvagio semplicemente perché aveva negato il Bene, e quella negazione era diventata parte della sua essenza, o una falla in essa. In qualche luogo, pensò Don Paulo, stava guadando un mare di uomini, lasciando dietro di sé una veglia funebre di uomini storpiati.
Che sciocchezza, vecchio!, si rimproverò. Quando si è stanchi di vivere, ogni cambiamento sembra malvagio, non è così? perché allora qualunque cambiamento disturba la pace della noia di vivere, così simile alla morte. Oh, c'è il diavolo, sì, ma non dobbiamo dargli più credito del dovuto. Sei così stanco di vivere, vecchio fossile?