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— E allora svegliatevi. Ve ne andrete immediatamente di qui. Questa notte stessa. Spostate tutte le vostre cose nel corridoio, per dare aria all'appartamento. Dormirete nella cella del mozzo di stalla, da basso, se proprio dovete. Poi tornate qui domattina e ripulite l'appartamento.

Per un attimo, il Poeta assunse un'aria da cane bastonato, poi fece l'atto di prendere qualcosa sotto le coperte. Serrò un pugno e lo fissò.

— Chi si è servito di questo appartamento, per ultimo? — chiese.

— Monsignor Logni. Perché?

— Mi chiedevo chi avesse portato le cimici. — Il poeta aprì il pugno, prese qualcosa dal palmo, lo schiacciò fra le unghie, poi lo gettò via. — Può godersele Thon Taddeo. Io non le voglio. Mi hanno mangiato vivo da quando sono entrato qui. Stavo pensando di andarmene, ma adesso che voi mi avete offerto la mia vecchia cella, sarò felice di…

— Non intendevo…

— …di accettare ancora per un certo tempo la vostra gentile ospitalità. Soltanto fino a che sarà finito il mio libro, naturalmente.

— Quale libro? Ma non importa. Togliete di qui tutta la vostra roba.

— Adesso?

— Adesso.

— Bene. Non credo che riuscirei a sopportare queste cimici per un'altra notte. — Il Poeta rotolò giù dal letto, ma si fermò per bere.

— Datemi il vino — ordinò l'abate.

— Sicuro. Prendetene pure. È una buona annata.

— Grazie, poiché l'avete rubato dalle nostre cantine. Si dà il caso che sia vino per il Sacramento. Ci avevate pensato?

— Non era stato consacrato.

— Mi stupisce che abbiate pensato a questo. — Don Paulo prese la bottiglia.

— Ad ogni modo non l'ho rubato. Io…

— Non pensate più al vino. Dove avete rubato la capra?

— Non l'ho rubata — si lagnò il Poeta.

— Si è… materializzata?

— È stato un dono, Reverendissime.

— Di chi?

— Di un caro amico, Domnissime.

— Un caro amico di chi?

— Mio, Signore.

— Questo è un paradosso. Allora, dove…

— Benjamin, signore.

Un lampo di stupore attraversò il viso di Don Paulo. — L'avete rubata al vecchio Benjamin?

Il Poeta rabbrividì a quella parola. — Vi prego, non l'ho rubata.

— E allora?

— Benjamin ha insistito perché l'accettassi in dono, dopo che io ho composto un sonetto in suo onore.

— La verità!

Il Poeta deglutì inutilmente. — Gliel'ho vinta a morra.

— Capisco.

— È vero! Quel vecchio rudere mi aveva quasi ripulito, e poi rifiutò di farmi credito. Dovetti mettere in gioco il mio occhio di vetro contro la capra. Ma rivinsi tutto.

— Portate quella capra fuori dall'abbazia.

— Ma è una capra meravigliosa. Il suo latte ha un profumo celestiale e contiene spezie. In realtà, è merito suo la longevità del Vecchio Ebreo.

— In che misura?

— In tutti i suoi cinquemilaquattrocentotto anni.

— Credevo ne avesse soltanto tremiladuecento… — Don Paulo si interruppe, sdegnoso. — Cosa stavate dicendo, voi, all'Ultima Speranza?

— Giocavo a morra con il vecchio Benjamin.

— Voglio dire… — L'abate si fece forza. — Lasciate perdere. E andatevene di qui. E domani riportate la capra a Benjamin.

— Ma l'ho vinta onestamente.

— Bene, non discutiamone. Portate la capra nella stalla, allora. Gliela restituirò io stesso.

— Perché?

— Non ci serve una capra. E non serve neppure a voi.

— Oh, oh — fece il Poeta con aria astuta.

— Cosa intendete dire, prego?

— Sta per arrivare il Thon Taddeo. Ci sarà bisogno di una capra, prima che tutto sia finito. Potete esserne sicuro. — E ridacchiò soddisfatto tra sé.

L'abate si voltò, irritato. — Andatevene — aggiunse, con rassegnazione, poi andò a occuparsi della disputa nel sotterraneo, in cui ora riposavano i Memorabilia.

14

Il sotterraneo fortificato era stato scavato durante i secoli delle infiltrazioni nomadi dal Nord, quando l'Orda di Bayring faceva scorrerie nelle Pianure e nel deserto, saccheggiando e distruggendo i villaggi che trovava sul suo cammino.

I Memorabilia, il piccolo patrimonio di conoscenza dell'abbazia conservato da secoli, erano stati nascosti nei sotterranei per proteggere quegli scritti inestimabili dai nomadi e dai sedicenti crociati degli Ordini scismatici, fondati per combattere le orde, ma che si dedicavano ai saccheggi indiscriminati e alle lotte settarie. Né i nomadi né l'Ordine Militare di San Pancrazio avrebbero attribuito valore ai libri dell'abbazia, ma i nomadi li avrebbero distrutti per la gioia di distruggerli, e i frati-cavalieri ne avrebbero bruciati gran parte come "eretici", secondo la teologia di Vissarion, il loro Antipapa.

Ora l'Età dell'Oscurantismo sembrava sul punto di concludersi. Da dodici secoli, la fiammella della conoscenza era stata tenuta accesa nei monasteri: soltanto ora vi erano menti pronte a riceverla. Molto tempo addietro, durante l'ultima Età della Ragione, certi orgogliosi pensatori avevano sostenuto che la conoscenza valida era indistruttibile, che le idee erano eterne e la verità immortale. Ma questo era vero soltanto in un senso molto sottile, pensò l'abate, e non era vero affatto, in superficie. C'era un significato oggettivo nel mondo, senza dubbio: il logos non morale, il disegno del Creatore; ma questi significati appartenevano a Dio e non all'Uomo, fino a che non trovavano una incarnazione imperfetta, un riflesso oscuro, nella mente, nella parola, nella cultura di una data società umana, che potesse ascrivere valore a quei significati, in modo che divenissero validi, in senso umano, all'interno della civiltà. Perché l'Uomo è portatore di civiltà così come è portatore di un'anima, ma le sue civiltà non sono immortali, e potevano morire con un razza o con una età, e poi i riflessi umani del significato e l'effigie umana della verità si affievolivano, e la verità e il significato risiedevano, invisibili, soltanto nel logos obiettivo della Natura e nell'ineffabile Logos di Dio. La verità poteva essere crocifissa; ma presto, forse, vi sarebbe stata la resurrezione.

I Memorabilia erano pieni di parole antiche, di antiche formule, di antichi riflessi di significato, distaccati dalle menti che erano morte tanto tempo prima, quando una società completamente diversa era caduta nell'oblio. C'era ben poco, di essa, che poteva essere ancora compreso. Certi documenti parevano insignificanti quanto poteva sembrarlo un Breviario a uno sciamano di una tribù nomade. Altri conservavano una certa bellezza ornamentale, e una certa apparenza ordinata che pareva sottintendere un significato, con un rosario potrebbe indurre un nomade a pensare a una collana. I primi frati dell'Ordine Leibowitziano avevano cercato di trarre una specie di Sindone dal volto di una civiltà crocifissa: ne avevano ottenuto un'immagine che conservava un riflesso dell'antica grandezza, ma quell'immagine era sbiadita, incompleta, difficile da comprendere. I monaci avevano conservato l'immagine, che adesso era sopravvisuta perché il mondo l'esaminasse e cercasse di interpretarla, se lo desiderava. I Memorabilia non potevano, in se stessi, provocare una rinascita dell'antica scienza o di una grande civiltà, tuttavia, poiché le civiltà erano generate dalle tribù dell'Uomo, non da tomi polverosi; ma i libri potevano aiutare, così sperava Don Paulo… i libri potevano indicare una direzione e fornire una traccia a una scienza che cominciava ad evolversi. Era accaduto già una volta, come aveva affermato il Venerabile Boedullus nel suo De Vestigiis Antecessarum Civitatum.

E questa volta, pensò Don Paulo, noi li indurremo a ricordare chi ha mantenuto ardente quella scintilla mentre il mondo dormiva. Si fermò, per guardarsi indietro; per un attimo aveva immaginato di avere udito il belato atterrito della capra del Poeta.