— "E così fu in quei giorni" — disse il Frate Lettore:
"che i prìncipi della Terra avevano indurito i loro cuori contro la legge del Signore, e al loro orgoglio non era fine. E ciascheduno di essi pensava entro di sé che era cosa molto migliore essere distrutto che permettere alla volontà di altri prìncipi di prevalere sulla sua. Perché i potenti della Terra contendevano fra loro per il supremo potere sopra ogni cosa: per inganno, violenza e tradimento essi cercavano di dominare, e temevano grandemente la guerra e ne tremavano; imperocché il Signore Iddio aveva permesso che gli uomini sapienti di quei tempi imparassero i modi per cui il mondo medesimo poteva essere distrutto, e nelle loro mani era affidata la spada dell'Arcangelo con la quale Lucifero era stato abbattuto, e per cui gli uomini e i prìncipi potessero temere Iddio ed umiliarsi davanti all'Onnipotente. Ma essi non si erano umiliati.
"E Satana parlò a un principe, e disse: 'Non temere di usare la spada, perché gli uomini sapienti ti hanno ingannato dicendoti che il mondo sarebbe distrutto. Non ascoltare il consiglio dei deboli, imperocché essi grandemente ti temono, e servono ai tuoi nemici fermando la tua mano contro di quelli. Colpisci, e sappi che tu sarai il sovrano di tutto'".
"E il prìncipe ascoltò la parola di Satana, e chiamò a sé tutti gli uomini sapienti di quel reame e comandò loro di dargli consiglio dei modi in cui il nemico poteva essere distrutto senza attirare la collera sopra il suo regno. Ma molti degli uomini sapienti dissero: 'Signore, questo non è possibile, imperocché anche i tuoi nemici possiedono la spada che noi ti abbiamo data, e la terribilità di essa è come la fiamma dell'Inferno, e come il furore della stella-sole, alla quale un giorno fu accesa'.
'"E allora tu me ne foggerai un'altra che sia ancora sette volte più ardente dell'Inferno stesso', comandò il principe, la cui arroganza era giunta a superare quella di Faraone.
"E molti degli uomini sapienti dissero: 'No, Signore, non chiedere a noi tale cosa: imperocché persino il fumo di un tale fuoco, se noi dovessimo accenderlo per te, sarebbe la causa perché molti periscano'.
"Ora il principe era adirato delle loro risposte, e sospettava che essi lo tradissero, e mandò le sue spie fra essi per tentarli e per provocarli: e per questo gli uomini sapienti divennero timorosi. Alcuni fra essi mutarono le loro risposte, perché l'ira del principe non si scatenasse sopra di loro. Tre volte egli li interrogò, e tre volte essi risposero: 'No, o Signore, anche il tuo stesso popolo perirà, se tu farai questo'. Ma uno dei magi era simile a Giuda Iscariota, e la sua testimonianza era artefatta, ed avendo tradito i suoi fratelli, mentì a tutto il popolo, consigliandolo a non temere il demone Fallout. Il principe ascoltò questo falso sapiente, il cui nome era Blackneth, e causò che le spie accusassero molti dei magi al cospetto del popolo. Essendo intimoriti i meno saggi fra i magi consigliarono il principe secondo il suo piacere, dicendo: 'Le armi possono essere usate; bada soltanto che non si ecceda tale e tale limite, o tutti periremo sicuramente'.
"E il principe cancellò le città dei suoi nemici con il nuovo fuoco, e per tre giorni e tre notti le sue grandi catapulte e i suoi uccelli di metallo fecero piovere l'ira sopra di esse. Su ciascuna di quelle città apparve un sole, ed era più ardente del sole nei cieli, e immediatamente quella città avvizziva e si scioglieva come cera sotto una torcia, e le genti si fermavano nelle vie e le loro pelli fumavano ed essi divenivano come fagotti gettati sulle braci. E quando la furia del sole era svanita, la città era in fiamme; e un grande tuono scendeva dal cielo, come il grande ariete pik-a-don per distruggerla completamente. Fumi velenosi ricadevano sopra tutta la terra, e la terra splendeva la notte dei residui del fuoco e della maledizione dei residui del fuoco che causava scrofola sulla pelle e faceva cadere i capelli e morire il sangue nelle vene.
"Ed un grande fetore si levò dalla Terra fino al Cielo. Come Sodoma e Gomorra erano la Terra e le sue rovine, persino nelle terre di quel principe, imperocché i suoi nemici non avevano frenato la loro vendetta, mandando fuoco a loro volta per inabissare le sue città. Il fetore di quella carneficina era grandemente offensivo al Signore, Che parlò al principe Name dicendo: 'Che offerta bruciante è mai questa che tu hai preparato davanti a me? Quale è l'aroma che si leva dal luogo dell'olocausto? mi hai tu fatto olocausto di pecore o di capre, o hai offerto un vitello a Dio?'.
"Ma il principe non rispose, e Dio disse: 'Tu mi hai fatto olocausto dei miei Figli'.
"E il Signore lo fece morire insieme a Blackeneth, il traditore, e vi fu pestilenza sulla Terra, e la follia fu sopra l'umanità, che lapidò i sapienti insieme con i potenti, quanti ne rimanevano.
"Ma v'era in quel tempo un uomo il cui nome era Leibowitz, che, nella sua giovinezza, come Sant'Agostino, aveva amato la saggezza del mondo più della saggezza del mondo di Dio. Ma ora vedendo che la grande sapienza, benché buona, non aveva salvato il mondo, si rivolse al Signore in penitenza, gridando…".
L'abate batté seccamente sulla tavola, il monaco che stava leggendo l'antico racconto tacque immediatamente.
— E questo è il solo resoconto di cui disponete? — chiese il Thon Taddeo, sorridendo all'abate, a labbra strette.
— Oh, vi sono parecchie versioni. Differiscono in particolari trascurabili. Nessuno dice con certezza quale nazione lanciò il primo attacco… non che questo abbia più importanza, ormai. Il testo che il Frate Lettore stava leggendo fu scritto pochi decenni dopo la morte di San Leibowitz… fu probabilmente uno dei primi resoconti, dopo che fu di nuovo possibile scrivere ancora, senza correre rischi. L'autore fu un giovane monaco che non aveva vissuto la distruzione: raccolse le notizie di seconda mano, dai seguaci di San Leibowitz, i primi contrabbandieri di libri e memorizzatori, e avevano una predilezione per l'imitazione della Scrittura. Io dubito che un solo resoconto completo e accurato del Diluvio di Fiamma esista da qualche parte. Una volta scatenato, a quanto pare fu troppo immenso perché una singola persona potesse vederne l'intero quadro.
— In quale terra viveva questo Principe chiamato Name, e quell'uomo, Balckeneth?
L'Abate Paulo scosse il capo. — Neppure l'autore di quel racconto ne era certo. Ne abbiamo confrontati molti, abbastanza per sapere che persino alcuni dei governanti meno importanti di quel tempo avevano messo le mani su quelle armi, prima della catastrofe. La situazione che lui descrisse dovette presentarsi probabilmente in più di una nazione. I Name e i Blackeneth erano probabilmente legioni.
— Naturalmente, anch'io ho udito simili leggende. È evidente che accadde qualcosa di terribile — dichiarò il thon; e poi, bruscamente: — Ma quando posso cominciare ad esaminare… come li chiamate?
— I Memorabilia.
— Naturalmente. — Il thon sospirò e sorrise distrattamente all'immagine del santo. — Domani sarebbe troppo presto?
— Potete cominciare anche subito, se volete — disse l'abate. — Dovete sentirvi libero di andare e venire a vostro piacere.
I sotterranei erano fiocamente illuminati dalle candele, e solo pochi monaci-studiosi vestiti di scuro si muovevano negli stalli. Frate Armbruster studiava di malumore i suoi documenti, alla luce di una lampada, nel suo cubicolo ai piedi della scala di pietra, e un'altra lampada ardeva nella sezione della Teologia Morale, dove un monaco se ne stava chino su un antico manoscritto. Era passata l'Ora Prima, e quasi tutti lavoravano nell'abbazia: in cucina, nella scuola, in giardino, nella stalla e negli uffici, lasciando la libreria quasi deserta fino al pomeriggio avanzato all'ora della lectio devina. Quella mattina, tuttavia, i sotterranei erano relativamente affollati.
Tre monaci se ne stavano nell'ombra, dietro la nuova macchina. Tenevano le mani affondate nelle maniche e osservavano un quarto monaco ritto ai piedi della scala. Il quarto monaco fissava pazientemente un quinto monaco che se ne stava sul pianerottolo e sorvegliava l'ingresso della scala.