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— Davvero?

— Sì. È un peccato. Qualcuno mi ha rubato la mia capra dalla testa azzurra.

— Una capra dalla testa azzurra?

— Aveva una testa calva come quella di Hannegan, Vostro Splendore, e azzurra come la punta del naso di frate Armbruster. Volevo farvi un presente di quell'animale, ma qualche malandrino me l'ha rubata, prima che voi arrivaste.

L'abate serrò i denti e posò il tacco sul piede del Poeta. Thon Taddeo aveva corrugato lievemente la fronte, ma sembrava deciso a sbrogliare l'oscuro groviglio delle parole del Poeta.

— Abbiamo bisogno di una capra dalla testa azzurra? — chiese al segretario.

— Non riesco a vederne alcuna pressante urgenza, signore — disse il segretario.

— Ma questo bisogno è ovvio! — disse il Poeta. — Dicono che voi scrivete equazioni che un giorno ricostruiranno il mondo. Dicono che una nuova luce stia per sorgere. Se vi dovrà essere la luce, allora qualcuno dovrà essere biasimato per l'oscurità che è passata.

— Ah, e quindi è necessaria la capra. — Il Thon Taddeo guardò l'abate. — Un battuta disgustosa. È il meglio che sa fare?

— Noterete che è disoccupato. Ma parliamo di qualcosa di più sens…

— No, no, no, no! — obiettò il Poeta. — Voi avete frainteso ciò che intendevo dire, Vostro Splendore. La capra dovrà essere accolta in un tempio ed onorata, non biasimata! Incoronatela con la corona che vi ha mandato San Leibowitz, e ringraziatela per la luce che sorge. Poi biasimate Leibowitz, e cacciate lui nel deserto. In questo modo, voi non dovrete portare la seconda corona. Quella di spine. Responsabilità, è chiamata.

L'ostilità del Poeta aveva rotto gli argini; non cercava più di sembrare divertente. Il thon lo fissò, gelidamente. Il tacco dell'abate ondeggiò sul piede del Poeta, e ancora ne ebbe riluttante misericordia.

— E quando — disse il Poeta — l'esercito del vostro protettore verrà per impadronirsi di questa abbazia, la capra potrà essere posta nel cortile e istruita a belare "Qui non c'è nessuno tranne me, qui non c'è nessuno tranne me" ogni volta che si presenti uno straniero.

Uno degli ufficiali si levò dallo sgabello con un grugnito collerico; la sua mano si posò per riflesso sulla sciabola. Sollevò l'impugnatura, e sei centimetri d'acciaio scintillarono un avvertimento al Poeta. Il thon afferrò il polso dell'ufficiale e cercò di ricacciare la lama nel fodero, ma era come spingere il braccio di una statua di marmo.

— Ah! Uno spadaccino, non soltanto un disegnatore! — schernì il Poeta, che a quanto pareva non aveva paura di morire. — I vostri disegni delle difese dell'abbazia mostrano una tale promessa di artistiche…

L'ufficiale latrò una bestemmia e la lama uscì completamente dal fodero. I suoi due compagni l'afferrarono, tuttavia prima che potesse scattare. Un rombo attonito si levò dalla congregazione, mentre i monaci sbalorditi si alzavano. Il Poeta continuava a sorridere, blandamente.

— …di artistica evoluzione — continuò. — Io predico che un giorno il vostro disegno delle gallerie che si aprono sotto le mura verrà appeso in un museo di belle…

Un tonfo sordo venne di sotto la tavola. Il Poeta si interruppe a metà di un morso, abbassò l'osso dalla bocca, e impallidì, lentamente. Masticò, deglutì, e continuò a impallidire. Guardò distrattamente verso il soffitto.

— Me lo state spiaccicando — brontolò, con un angolo della bocca.

— Avete finito di parlare? — chiese l'abate, e continuò a schiacciargli il piede.

— Credo di avere un osso in gola — ammise il Poeta.

— Volete essere scusato?

— Temo che sia necessario.

— Che peccato. Ci mancherete molto. — Paulo diede un'ultima schiacciata al piede, per buona misura. — Potete andare, allora.

Il Poeta espirò, si asciugò la bocca, e si alzò. Vuotò la coppa del vino e la rovesciò, al centro del vassoio. Qualcosa, nei suoi modi, costrinse tutti a guardarlo. Abbassò le palpebre con un pollice; chinò la testa sulla palma piegata in forma di coppa e premette. L'occhio di vetro gli cadde nella palma, strappando un suono soffocato ai texarkani, i quali, a quanto pareva, non sapevano che il Poeta avesse un occhio artificiale.

— Sorveglialo attentamente — disse il Poeta all'occhio di vetro, e poi lo depose nella base rovesciata della coppa, dove rimase fissando severamente il Thon Taddeo. — Buona sera, signori miei — disse allegramente al gruppo, e se ne andò.

L'ufficiale mormorò furibondo una imprecazione e si dibatté per liberarsi dalla stretta dei suoi compagni.

— Riconducetelo al suo alloggio e stategli vicino fino a che si sarà calmato — disse il thon. — E badate bene che non si avvicini a quel pazzo.

— Sono mortificato — disse poi all'abate, mentre l'ufficiale, livido, veniva trascinato via. — Non sono miei servitori, e non posso dar loro ordini. Ma posso promettervi che si pentirà di questo. E se rifiuta di scusarsi e di andarsene immediatamente, dovrà incrociare quella spada frettolosa con la mia, prima di domani a mezzogiorno.

— Niente spargimento di sangue! — implorò l'ecclesiastico. — Non è stato nulla di grave. Dimentichiamolo. — Le mani gli tremavano, ed era grigio in volto.

— Si scuserà e se ne andrà — insistette il Thon Taddeo — o io dovrò offrirmi di ucciderlo. Non preoccupatevi, non oserà battersi con me perché, se vincesse, Hannegan lo farebbe impalare sulla pubblica piazza e nel frattempo costringerebbe sua moglie a… ma non pensateci. Si scuserà e se ne andrà. Tuttavia, mi vergogno profondamente che una cosa simile sia potuta accadere.

— Avrei dovuto far buttar fuori il Poeta non appena si è presentato. È stato lui a provocare l'incidente, e io non sono riuscito a fermarlo. La provocazione era chiara.

— Provocazione? Per le fantasiose menzogne di un buffone? Josard ha reagito come se le accuse del Poeta fossero vere.

— Allora voi non sapete che stanno preparando un rapporto completo sul valore militare della nostra abbazia come fortezza?

Lo studioso spalancò la bocca. Guardò prima un ecclesiastico poi l'altro, con evidente incredulità.

— Ma allora è vero? — chiese dopo un lungo silenzio.

L'abate annuì.

— E voi ci avete permesso di rimanere.

— Noi non abbiamo segreti. I vostri compagni possono fare questo studio, se lo desiderano. Io non mi permetterei di chiedere perché vogliono quelle informazioni. L'assunto del Poeta, naturalmente, era una pura fantasia.

— Naturalmente — disse debolmente il thon, senza guardare il suo ospite.

— Senza dubbio il vostro principe non ha mire aggressive su questa regione, come insinuava invece il Poeta.

— Senza dubbio no.

— E anche se ne avesse, sono certo che lui avrebbe la saggezza di comprendere… o almeno avrebbe saggi consiglieri che glielo farebbero capire… che il valore della nostra abbazia come magazzino dell'antico sapere è molto più grande di quello che può avere come cittadella.

Il thon colse la sfumatura di supplica, il significato sottointeso di una richiesta d'aiuto, nella voce del religioso, e sembrò meditare, mentre giocherellava con i cibi e taceva, per qualche tempo.

— Riparleremo di questo argomento prima che io ritorni al collegio — promise, quietamente.

Sul banchetto era caduto un gelo improvviso, ma cominciò a disperdersi durante i canti nel cortile, dopo il pasto, e svanì interamente quando venne il momento della lezione dello studioso nell'Aula Magna. L'imbarazzo sembrava quasi finito, e il gruppo era ritornato ad una superficiale cordialità.

Don Paulo condusse il thon al leggio; li seguivano Gault e il segretario del thon, che si unirono a loro sul podio. Gli applausi risuonarono cordiali, dopo che l'abate ebbe presentato il thon; il silenzio che seguì sembrava il silenzio di un tribunale, in attesa del verdetto. Lo studioso non era un grande oratore, ma il verdetto si rivelò soddisfacente per la folla dei monaci.