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Don Paulo aveva intenzione di accogliere tutti, quando fosse venuto il momento, ma per il momento intendeva sventare tutti i progetti del villaggio che comprendessero l'abbazia in un piano militare. Più tardi sarebbero venuti degli ufficiali da Denver, con richieste eguali; avrebbero pensato meno a salvare delle vite che a salvare il loro regime politico. E intendeva dare anche a loro una risposta simile. L'abbazia era stata costruita per essere una fortezza di fede e di dottrina, e intendeva conservarla tale.

Il deserto cominciò a brulicare di viaggiatori che venivano dall'Est. Commercianti, cacciatori e mandriani che si spostavano verso occidente, portavano notizie dalle Pianure. La pestilenza del bestiame si spargeva come un incendio fra le mandrie dei nomadi; sembrava imminente la carestia. Le forze di Laredo avevano subito continui sfaldamenti e ammutinamenti, dopo la caduta della dinastia laredana. Parte dei soldati erano ritornati in patria, come era stato loro ordinato, ma altri si erano accinti, per un terribile voto, a marciare su Texarkana e a non fermarsi fino a che non si fossero impadroniti della testa di Hannegan II o fossero morti nel tentativo. Indeboliti da quella divisione, i laredani venivano gradualmente spazzati via dalle continue scaramucce dei guerrieri di Orso Pazzo che erano assetati di vendetta contro coloro che avevano portato la moria fra le loro mandrie.

Si vociferava che Hannegan avesse generosamente offerto di accogliere i sudditi di Orso Pazzo come dipendenti e protetti, se avessero giurato fedeltà alla legge "civile", se avessero accettato i suoi ufficiali nei loro consigli e se avessero abbracciato la Fede Cristiana. "Sottomettersi o morire di fame" era la scelta che il fato e Hannegan offrivano ai popoli nomadi. Molti preferivano morire di fame piuttosto di giurare lealtà a uno stato di agricoltori e di mercanti. Si diceva che Hongan Os andasse ruggendo la sua sfida verso sud, verso est e verso il cielo; e per sottolineare quest'ultima bruciava uno sciamano al giorno per punire gli dèi tribali del loro tradimento. Minacciava di diventare cristiano se gli dèi cristiani lo avessero aiutato a massacrare i suoi nemici.

Fu durante una breve visita di un gruppo di pastori che il Poeta scomparve dall'abbazia. Il Thon Taddeo fu il primo a notare l'assenza del Poeta dalla foresteria e a chiedere notizie del vagabondo verseggiatore.

Il viso di Don Paulo si contrasse per la sorpresa. — Siete certo che se ne sia andato? — chiese. — Spesso trascorre qualche giorno nel villaggio, o va alla mesa per discutere con Benjamin.

— Manca tutta la sua roba — disse il thon. — Dalla sua stanza è scomparsa ogni cosa.

L'abate storse la bocca. — Quando il Poeta se ne va, è un brutto segno. Fra l'altro, se è veramente scomparso, vi consiglierei di fare un immediato inventario delle vostre proprietà.

Il thon assunse un'espressione pensierosa. — Dunque i miei stivali…

— Senza dubbio.

— Li avevo messi fuori dalla stanza perché venissero lucidati. Ma non mi sono stati resi. Fu lo stesso giorno in cui tentò di abbattere la mia porta.

— Di abbattere… chi, il Poeta?

Thon Taddeo ridacchiò. — Temo di essermi divertito un po' alle sue spalle. Io ho il suo occhio di vetro. Ricordate la sera in cui lo abbandonò sulla tavola del refettorio?

— Sì

— Lo presi io.

Il thon aprì la borsa, vi frugò per un attimo, poi posò sulla scrivania l'occhio di vetro del Poeta. — Sapeva che l'avevo io, ma ho continuato a negarlo. Però da allora ci siamo divertiti alle sue spalle, inventando addirittura la voce che fosse in realtà l'occhio di vetro, perduto da molto tempo, dell'idolo Bayring, e che avrebbe dovuto essere riportato al museo. Il Poeta è diventato frenetico, dopo un poco. Naturalmente avevo intenzione di restituirglielo prima di ripartire. Pensate che ritornerà, dopo che ce ne saremo andati?

— Ne dubito — disse l'abate, rabbrividendo leggermente mentre fissava il globo oculare. — Ma lo conserverò per lui, se volete. Sebbene sia probabile che il Poeta compaia a Texarkana per cercarlo lì. Sostiene che è un talismano potente.

— E in che senso?

Don Paulo sorrise. — Dice che ci vede molto meglio quando lo porta.

— Che assurdità! — Il thon si interruppe, sempre pronto, evidentemente, a considerare almeno per un attimo qualsiasi insolita premessa, aggiunse: — È un'assurdità… a meno che, riempiendo l'orbita vuota, non influenzi in qualche modo i muscoli di entrambe le orbite. È questo ciò che afferma?

— Si limita a giurare che non può vedere altrettanto bene, senza di esso. Sostiene che deve averlo per la percezione dei "veri significati"… sebbene gli procuri accecanti mal di testa quando lo porta. Ma non si sa mai quando il Poeta racconta fatti, fantasie o allegorie. Se la fantasia è abbastanza intelligente, dubito che il Poeta ammetta una differenza fra fantasia e realtà.

Il thon sorrise ironicamente. — Fuori della mia porta, l'altro giorno, gridava che io ne avevo più bisogno di lui. Questo mi sembra indicare che lui lo consideri, in se stesso, come un potente feticcio… utile a chiunque. Mi domando perché.

— Ha detto che voi ne avevate bisogno? Oh-oh!

— Questo vi diverte?

— Scusatemi. Probabilmente intendeva insultanti. Sarà meglio che non tenti di spiegarvi l'insulto del Poeta; potrebbe sembrare che io lo condivida.

— Affatto. Io sono curioso.

L'abate guardò l'immagine di San Leibowitz nell'angolo della stanza. — Il Poeta usava il suo occhio di vetro come una buffoneria corrente — spiegò. — Quando voleva prendere una decisione, o riflettere su qualcosa, o discutere un argomento, metteva l'occhio di vetro nell'orbita. Lo toglieva di nuovo quando vedeva qualcosa che gli spiaceva, quando fingeva di ignorare qualcosa, o quando voleva fare la parte dello stupido. Quando lo portava, il suo contegno cambiava. I frati cominciarono a chiamarlo "la coscienza del Poeta" e lui stava allo scherzo. Dava piccole lezioni e dimostrazioni sui vantaggi di una coscienza removibile. Fingeva che qualche impulso frenetico lo possedesse… qualcosa di scarsa importanza, di solito… come un impulso diretto verso una bottiglia di vino. Quando portava l'occhio, accarezzava la bottiglia di vino, si leccava le labbra, ansimava e gemeva, poi staccava la mano. Finalmente, l'impulso lo riprendeva. Afferrava la bottiglia, ne versava un poco in una coppa e vi deglutiva sopra per un secondo. Ma poi la coscienza aveva il sopravvento, e gettava la coppa attraverso la stanza. Quindi ricominciava a guardare avidamente la bottiglia di vino, e cominciava a gemere e a perdere saliva dalla bocca, ma continuava a combattere l'impulso… — L'abate ridacchiò, controvoglia. — Era uno spettacolo terribile, comunque. Finalmente, quando era sfinito, si toglieva l'occhio di vetro. Una volta tolto l'occhio, si calmava improvvisamente. L'impulso smetteva di agire su di lui. E allora, freddo e arrogante, prendeva la bottiglia, si guardava intorno e rideva. "Lo farò in ogni caso" diceva. Poi, mentre tutti si aspettavano che bevesse il vino, sfoggiava un sorriso beato e si versava il contenuto della bottiglia sulla testa. Il vantaggio di una coscienza removibile, vedete.

— Quindi crede che io ne abbia più bisogno di lui.

Don Paulo scrollò le spalle. — Ma è soltanto il Poeta!

Lo studioso sbuffò divertito. Toccò la sfera vitrea e la fece rotolare attraverso la tavola, con il pollice. Improvvisamente, scoppiò a ridere. — Mi piace. Credo di sapere chi ne ha bisogno più del Poeta. Forse la terrò, dopotutto. — La raccolse, la lanciò, l'afferrò al volo, e guardò dubbioso l'abate.

Paulo si limitò a scrollare di nuovo le spalle.

Il Thon Taddeo lasciò cadere di nuovo l'occhio nella borsa.

— Potrà riaverlo, se mai verrà a reclamarlo. Ma, fra l'altro, avevo intenzione di dirvelo: il mio lavoro, qui, è quasi finito. Partiremo fra pochissimi giorni.