— Non siete preoccupato per i combattimenti nelle Pianure?
Il Thon Taddeo guardò corrucciato la parete. — Ci accamperemo su una collina isolata, a circa una settimana di cammino di qui, verso oriente. Un gruppo di… ehm… la nostra scorta ci incontrerà lì.
— Io spero — disse l'abate, assaporando quell'educato saggio di cattiveria — che la vostra scorta non abbia cambiato le sue alleanze politiche, da quando avete concluso l'accordo. Sta diventando difficile distinguere i nemici dagli alleati, di questi tempi.
Il thon arrossì. — Specialmente se vengono da Texarkana, intendete dire?
— Non ho detto questo.
— Siamo franchi l'uno con l'altro, Padre. Io non posso combattere il principe che rende possibile il mio lavoro… qualunque cosa io pensi dei suoi metodi o della sua politica. Io mostro di appoggiarlo, superficialmente, o per lo meno di ignorarlo… per il bene del collegium. Se lui allarga i suoi domini, il collegium può trarne profitto. Se il collegium prospera, l'umanità trarrà profitto dal nostro lavoro.
— Quelli che sopravviveranno, forse.
— È vero… ma è sempre stato vero, in ogni circostanza.
— No, no… Dodici secoli or sono, neppure i sopravvissuti ne trassero profitto. Dobbiamo ricominciare di nuovo per quella via?
Il Thon Taddeo alzò le spalle. — E io che posso farci? — chiese, di rimando. — Il principe è Hannegan, non sono io.
— Ma voi promettete di cominciare a restaurare il dominio dell'Uomo sulla Natura. Però chi governerà l'uso della potenza per dominare le forze naturali? Chi l'userà? A quale fine? Come lo terrete in iscacco? Queste decisioni devono ancora essere prese. Ma se voi e la vostra fazione non le prendete adesso, altri le prenderanno, presto, al vostro posto. L'umanità ne trarrà profitto, voi dite. Con il consenso di chi? Con il consenso di un principe che firma le sue lettere con una X? Oppure credete veramente che il vostro collegio sarà al sicuro dalle sue ambizioni, quando comincerà a scoprire che voi siete preziosi, per lui?
Don Paulo non aveva preteso di convincerlo. Ma fu con il cuore pesante che l'abate notò la paziente condiscendenza con cui il thon lo ascoltava: era la pazienza di un uomo che ascolta un argomento che ha da molto tempo confutato con propria soddisfazione.
— Ciò che consigliereste in realtà — disse lo studioso — è che noi aspettiamo ancora un poco. Che sciogliamo il collegium, o che lo trasferiamo nel deserto, e in un modo o in un altro… senza possedere oro o argento… facciamo rivivere una scienza sperimantale e teorica, in un modo lento e difficile, senza dirlo a nessuno. Che noi salviamo tutto per il giorno in cui l'Uomo sarà buono e puro e santo e saggio.
— Non è questo che intendevo…
— Non è questo che intendevate dire, ma è ciò che significa quello che avete detto. Tenere la scienza chiusa in un chiostro, non tentare di applicarla, non tentare di far nulla fino a che gli uomini non saranno santi. Ebbene, non funzionerebbe. Voi lo avete fatto qui, in questa abbazia, per intere generazioni.
— Noi non abbiamo nascosto nulla.
— No, non l'avete nascosto; ma vi ci siete seduti sopra, così quietamente, e nessuno sapeva che era qui, e voi non ne avete fatto nulla.
Una breve collera lampeggiò negli occhi del vecchio ecclesiastico. — È tempo che voi conosciate il nostro fondatore, mi pare — brontolò, indicando la scultura lignea nell'angolo. — Era uno scienziato come voi, prima che il mondo impazzisse e che lui corresse in cerca di un rifugio. Fondò quest'Ordine per salvare ciò che poteva essere salvato, dei documenti dell'ultima civiltà. "Salvato" da che cosa, e per quale scopo? Vedete su che cosa è ritto… vedete i fuscelli e la legna? I libri? Ecco quanto poco il mondo voleva la vostra scienza, allora, e per parecchi secoli, poi. Così lui morì per noi. Quando lo aspersero d'olio combustibile, la leggenda dice che lui ne chiese una tazza. Pensarono che l'avesse scambiato per acqua, quindi risero e gliene diedero una coppa. Lui lo benedisse e… e qualcuno afferma che l'olio si cambiò in vino quando lo benedisse… e poi esclamò "Hic est enim calix Sanguinis Mei" e lo bevve prima che l'impiccassero e lo ardessero vivo. Devo leggervi un elenco dei nostri martiri? Devo citarvi tutte le battaglie che abbiamo combattuto per serbare intatti questi documenti? Tutti i monaci diventati ciechi nella copisteria? per il vostro bene? Eppure voi dite che non ne abbiamo fatto nulla, li abbiamo nascosti nel silenzio.
— Non intenzionalmente — disse lo studioso — ma in effetti voi l'avete fatto… e per gli stessi motivi che, come voi sottintendete, dovrebbero essere i miei. Se voi tentate di salvare la saggezza fino a che il mondo diventerà saggio, Padre, il mondo non l'avrà mai.
— Vedo che l'incomprensione è radicale! — disse burberamente l'abate. — Servire prima Dio o servire prima Hannegan… questa scelta spetta a voi.
— Ho poca scelta, allora — rispose il Thon. — Vorreste forse che lavorassi per la Chiesa? — Il sarcasmo nella sua voce era inconfondibile.
22
Era il giovedì dell'Ottava di Ognissanti.
In preparazione per la partenza, il thon e il suo seguito dividevano gli appunti e i documenti nel sotterraneo. Lo studioso aveva attirato un piccolo pubblico di monaci, e prevaleva uno spirito di amicizia, ora che il momento di andarsene si avvicinava.
In alto, la lampada ad arco continuava a scintillare abbagliante, riempiendo l'antica biblioteca di una dura luce biancazzurra, mentre la squadra di novizi azionava fiaccamente la dinamo a mano. L'inesperienza del novizio che sedeva in cima alla scaletta per regolare costantemente la distanza tra i due carboni dell'arco provocava scintillii irregolari: quel novizio aveva sostituito il precedente e più abile operatore, che in quel momento era nell'infermeria, con compresse umide sugli occhi.
Il Thon Taddeo aveva risposto a domande sul suo lavoro con minor reticenza del solito, non più preoccupato, evidentemente, di argomenti controversi come le proprietà di rifrazione della luce o le ambizioni del Thon Esser Shon.
— Ora, a meno che questa ipotesi sia senza senso — stava dicendo — dovrebbe essere possibile confermarla in qualche modo mediante l'osservazione. Io ho prospettato l'ipotesi con l'aiuto di alcune nuove… o meglio, di alcune antichissime forme matematiche suggerite dal nostro studio dei vostri Memorabilia. L'ipotesi sembra offrire una spiegazione più semplice dei fenomeni ottici, ma francamente, non riuscivo a pensare ad alcun metodo per sperimentarla, dapprima. E allora il vostro fratello Kornhoer mi è stato di grande aiuto. — Fece un cenno con il capo in direzione dell'inventore, sorridendo, e spiegò uno schizzo del proposto apparecchio di prova.
— Che cos'è? — chiese qualcuno dopo un breve intervallo di sbalordimento.
— Ecco… è una pila di lastre di vetro. Un raggio solare che colpisce la pila con questo angolo sarebbe in parte riflesso in parte trasmesso. La parte riflessa sarà polarizzata. Ora, noi regoliamo la pila per riflettere il raggio attraverso questo oggetto, che è un'idea di frate Kornhoer, e facciamo cadere la luce su questa seconda pila di lastre di vetro. La seconda pila è disposta in modo di riflettere quasi tutto il raggio polarizzato, e per non trasmettere quasi nulla. Guardando attraverso il vetro, difficilmente vedremmo la luce. Tutto questo è stato sperimentato. Ma ora, se la mia ipotesi è corretta, chiudendo questo interruttore sulla bobina di campo di frate Kornhoer si dovrebbe provocare un improvviso ravvivamento della luce trasmessa. Se non sarà così… — scrollò le spalle — …allora scarteremo l'ipotesi.
— Dovreste scartare la bobina, invece — propose modestamente frate Kornhoer. — Non sono certo che produrrà un campo abbastanza forte.