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Come altri abati prima di lui, Don Jethrah Zerchi non era per natura un uomo molto contemplativo, sebbene, come capo spirituale della sua comunità, avesse fatto voto di promuovere lo sviluppo di certi aspetti della vita contemplativa nel suo gregge, e, come monaco, avesse fatto voto di coltivare in se stesso una disposizione alla contemplazione. Ma Don Zerchi non eccelleva nell'una o nell'altra cosa. La sua natura lo spingeva verso l'azione, anche nel pensiero: la sua mente rifiutava di rimanere immobile e di contemplare. C'era in lui una irrequietezza che l'aveva portato alla guida del gregge; aveva fatto di lui un capo più ardito, qualche volta più efficiente di alcuni dei suoi predecessori, ma quella stessa irrequietezza poteva facilmente diventare un difetto, o addirittura un vizio.

Zerchi si rendeva vagamente conto, quasi sempre, della sua inclinazione per l'azione affrettata o impulsiva, quando doveva affrontare draghi non facili da uccidere. Per il momento, tuttavia, quella consapevolezza non era vaga ma acuta. Operava in una sfortunata retrospettiva. Il drago aveva già morso San Giorgio.

Il drago era un Abominevole Autoscrivano, e la sua maligna enormità elettronica riempiva parecchie unità cubiche di una parete cava e un terzo del volume della scrivania dell'abate. Come al solito, quell'ordigno funzionava malissimo. Sbagliava le maiuscole, la punteggiatura e scambiava fra loro le parole. Soltanto un momento prima, aveva commesso un atto di lesa maestà elettronica contro la persona dell'abate, il quale, dopo aver chiamato un tecnico specializzato e dopo averne aspettato invano per tre giorni la comparsa, aveva deciso di riparare personalmente quell'abominazione stenografica. Il pavimento dello studio era cosparso di pezzi di carta con dettature di prova. Fra questi, un esempio tipico era dato da quello che recava la seguente informazione:

pRova prOva proVa? PRova prOva? danNazionE? perchÉ queste matTe maiuSCOle ora È il moMENto peR tutti i buoNI memorizZATORI di Attaccarsi aL dOLORe dei conTRABbandieRi di libRi? ACcidenti; pUoi Far meGLio in LAtino adeSSo traDuCi: nECCesse Est epistULam sacri coLLegio mIttendAm esser statim dictem? Dov'è il guastO IN queSTa maleDETTa MACchina.

Zerchi sedette sul pavimento in mezzo al disordine e cercò di cancellare, con un massaggio, il tremito involontario dell'avambraccio, che poco prima aveva preso una scarica elettrica, mentre esplorava le regioni intestinali dell'Autoscrivano. Le torsioni muscolari gli ricordavano la reazione galvanica di una zampa di rana recisa. Poiché si era prudentemente ricordato di staccare la macchina prima di cominciare a frugarvi, poteva soltanto supporre che quel mascalzone di inventore l'avesse fornita dei mezzi per fulminare i clienti anche quando era stata tolta la corrente. Mentre toccava e tirava i contatti alla ricerca di fili staccati, era stato aggredito da un condensatore ad alto voltaggio che aveva approfittato dell'occasione per scaricarsi a terra attraverso la persona del Reverendo Padre Abate quando il gomito del Reverendo Padre aveva sfiorato il telaio. Ma Zerchi non aveva modo di sapere se era stato vittima di una legge di Natura che riguardava i condensatori o di una astutissima trappola intesa a scoraggiare le velleità dei clienti. Comunque, era caduto e il fatto che fosse seduto sul pavimento era involontario. Il suo unico titolo di competenza alla riparazione di quegli arnesi di trascrizione poliglotta consisteva nella prodezza da lui compiuta una volta, quando aveva estratto un topo morto dai circuiti di memoria, correggendo in tal modo una misteriosa tendenza da parte della macchina a scrivere sillabe doppie (silsillabebe dopdoppiepie). Questa volta, poiché non aveva scoperto alcun topo morto, poteva soltanto cercare qualche filo staccato e sperare che il Cielo gli avesse concesso il proprio crisma come guaritore elettronico. Ma a quanto pareva non era così.

— Frate Patrick! — gridò verso l'anticamera, e si rimise fiaccamente in piedi.

— Ehi, frate Pat! — gridò di nuovo.

La porta si aprì immediatamente e il suo segretario entrò, guardò gli armadi a muro aperti, con i loro stupefacenti labirinti di circuiti elettronici, osservò il pavimento coperto di fogli, poi studiò cautamente l'espressione del suo capo spirituale.

— Devo telefonare ancora al servizio assistenza, Padre Abate?

— Perché disturbarsi? — grugnì Zerchi. — Li avete già chiamati tre volte. Hanno fatto tre promesse. Abbiamo aspettato tre giorni. Io ho bisogno di uno stenografo. Subito! Preferibilmente un cristiano. Quella cosa… — e indicò irritato l'Abominevole Autoscrivano — …è una dannata infedele o peggio. Sbarazzate vene. Non la voglio più qui.

— L'APLAC?

— L'APLAC. Vendetela a un ateo. No, non sarebbe gentile. Vendetela come rottame. Ne ho abbastanza. Perché, per amor del cielo, l'Abate Boumous — sia benedetta la sua anima — comprò questo sciocco trabiccolo?

— Ecco, Domne, dicono che al vostro predecessore piacessero molto questi arnesi; e questo è utile per scrivere lettere in lingue che non si conoscono.

— È? Dovreste dire sarebbe. Quell'ordigno… ascoltate, fratello, sostengono che quell'ordigno pensi. Dapprima non lo credevo. Il pensiero implica un principio razionale, che implica un'anima. Il principio di una "macchina pensante", fatta dall'uomo, può essere un'anima razionale? Bah! In principio mi pareva una concezione assolutamente pagana. Ma volete sapere una cosa?

— Padre?

— Nulla potrebbe essere così perverso senza premeditazione! Deve pensare! Conosce il bene e il male, e sceglie quest'ultimo. E smettete di sogghignare, per favore. Non è divertente. Non è neppure una concezione pagana. L'uomo ha fatto questo ordigno, ma non ne ha creato il principio. Parlano del principio vegetativo come di un'anima, no? Un'anima vegetale? E l'anima animale? Poi c'è l'anima umana razionale, e questo è quanto elencano come princìpi vivificanti incarnati, poiché gli angeli sono incorporei. Ma come sappiamo se la lista è completa? Vegetativa, animale, razionale… e poi che altro? Quella è qualche cosa d'altro. Quella cosa. Ed è caduta. Fatela togliere di qui… Ma prima devo trasmettere un radiogramma a Roma.

— Devo prendere il blocco, Reverendo Padre?

— Voi sapete l'alleganiano?

— No, non lo so.

— Non lo so neppure io, e il Cardinale Hoffstraff non sa il sudoccidentale.

— Perché non usate il latino, allora?

— Quale latino? Il volgare o il moderno? Non mi fido del mio anglolatino, e se lo usassi, probabilmente lui non si fiderebbe del suo. — E guardò accigliato la mole dello stenografo robotico.

Frate Patrick si accigliò a sua volta, poi si avvicinò agli armadi a muro e cominciò a curiosare nel labirinto di componenti elettronici.

— Niente topi — gli assicurò l'abate.

— Cosa sono tutte queste piccole manopole?

— Non toccatele! — gridò l'Abate Zerchi mentre il segretario sfiorava incuriosito una delle parecchie dozzine di manopole che regolavano altrettanti quadranti. Quei comandi erano montati su una cassetta, alla quale l'abate aveva tolto il coperchio che portava l'irresistibile avvertimento: LA REGOLAZIONE DEVE ESSERE EFFETTUATA ESCLUSIVAMENTE DA INCARICATI DELLA DITTA COSTRUTTRICE.

— Non l'avete mosso, vero? — domandò l'abate, raggiungendo Patrick.

— Può darsi che l'abbia spostato un pochino, ma credo che adesso sia come prima.

Zerchi gli indicò l'avvertimento sul coperchio della cassetta.

— Oh! — disse Pat. Rimasero tutti e due a guardare.

— È soprattutto la punteggiatura, non è vero, Reverendo Padre?

— La punteggiatura e le maiuscole disposte a casaccio, e qualche parola scambiata.

Contemplarono insieme i vari sgorbi, in un silenzio sbalordito.

— Avete mai sentito parlare del Venerabile Francis dello Utah? — chiese finalmente l'abate.