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— Un'astronave?

— Infatti. E abbiamo un equipaggio in grado di guidarla.

— Dove?

— L'equipaggio è qui.

— Qui nell'abbazia? Ma chi…? — Joshua si interruppe. Il suo viso divenne ancora più grigio. — Ma, Domne, la mia esperienza nello spazio è limitata esclusivamente a veicoli orbitali, non alle astronavi! Prima che Nancy morisse e che io entrassi nei Cisterc…

— So tutto. Vi sono altri che hanno esperienza in fatto di astronavi. Sapete chi sono. Corrono persino alcune battute sul numero degli exspaziali che sembrano provare una vocazione per il nostro Ordine. Non è un caso, naturalmente. E ricordate quando eravate un postulante, quante domande vi fecero sulla vostra esperienza spaziale?

Joshua annuì.

— Dovete anche ricordare che vi fu chiesto se eravate disposto a ritornare nello spazio, se l'Ordine ve lo avesse chiesto.

— Sì.

— Quindi non eravate completamente ignaro del fatto che eravate assegnato condizionalmente al Quo peregrinatur, se mai fosse stato attuato?

— Credo… credo di aver temuto proprio questo, Monsignore.

— Temuto?

— Sospettato, diciamo. E anche un po' temuto, perché ho sempre sperato di trascorrere il resto della mia vita nell'Ordine.

— Come prete?

— Questo… ecco, questo non l'ho ancora deciso.

— Il Quo peregrinatur non vi libererà dai voti e non significherà abbandonare l'Ordine.

— Parte anche l'Ordine?

Zerchi sorrise. — E con esso i Memorabilia.

— Tutto quanto… e… Oh, vuol dire su microfilm. E dove?

— Nella colonia del Centauro.

— E per quanto staremo lontani, Domne?

— Se partite, non ritornerete mai.

Il monaco respirò pesantemente e fissò il secondo telegramma senza mostrare di vederlo. Si grattò la barba, perplesso.

— Tre domande — disse l'abate. — Non rispondete subito, ma cominciate a pensarci, e pensateci bene. Primo, siete disposto ad andare? Secondo, avete la vocazione per il sacerdozio? Terzo, siete disposto a guidare il gruppo? E per "disposto" non intendo "disposto per la santa ubbidienza": intendo entusiasta, desideroso di fare così. Pensateci sopra. Avete tre giorni di tempo per pensarci… forse meno.

I cambiamenti moderni avevano fatto soltanto poche incursioni sugli edifici e sul terreno dell'antico monastero. Per proteggere gli antichi edifici dall'assedio di una architettura più impaziente, erano state fatte altre aggiunte, all'esterno delle mura, e perfino al di là dell'autostrada… qualche volta a spese della convenienza. Il vecchio refettorio era stato condannato da un tetto pericolante, e adesso era necessario attraversare l'autostrada per raggiungere il nuovo refettorio. L'inconveniente era mitigato dal sottopassaggio che i fratelli percorrevano ogni giorno per andare a prendere i pasti.

Vecchia di secoli, ma ampliata in tempi recenti, l'autostrada era la stessa strada usata da eserciti pagani, pellegrini, contadini, carretti trainati da asini, nomadi cavalieri selvaggi venuti dall'Est, artiglieri, carri armati e camion da dieci tonnellate. Il traffico vi era fluito abbondante, scarso o quasi inesistente, a seconda dell'epoca e delle stagioni. Un'altra volta, non molto tempo prima, c'erano state sei corsie e un traffico automatico. Poi il traffico si era fermato, la pavimentazione si era screpolata, e ciuffi d'erba sparsa erano cresciuti nelle screpolature, dopo qualche raro acquazzone. La polvere l'aveva coperto. Gli abitatori del deserto avevano estratto il suo cemento spezzato per costruire baracche e barricate. L'erosione ne aveva fatto una pista nel deserto, attraverso la desolazione. Ma adesso c'erano sei corsie e un traffico automatico, come prima.

— C'è poco traffico, questa sera — osservò l'abate mentre lasciavano l'antico portone. — Attraversiamo. Quel sottopassaggio diventa soffocante, dopo una tempesta di sabbia. O forse non avete voglia di schivare gli autobus?

— Andiamo — dichiarò frate Joshua.

I camion con i fari anabbaglianti — che servivano soltanto come avvertimento — passavano davanti a loro, con i pneumatici che gemevano e le turbine che brontolavano. Con le antenne sorvegliavano la strada, con i sensori magnetici sentivano le strisce-guida d'acciaio inserite nel letto della strada e le seguivano, mentre correvano sul fiume roseo e fluorescente del cemento oleoso. Corpuscoli dell'economia in una arteria dell'Uomo, i leviatani procedevano a passo di carica davanti ai monaci che li schivavano da una corsia all'altra. Essere urtati da uno di loro significava essere investiti da un camion dopo l'altro, fino a che una macchina della polizia stradale avrebbe trovato l'impronta appiattita di un uomo sul cemento e si sarebbe fermata per cancellarla. I meccanismi sensori degli autopiloti riuscivano molto meglio a identificare masse di metallo che masse di carne e sangue.

— È stato un errore — disse Joshua, quando raggiunsero lo spartitraffico e si fermarono per respirare. — Guardate chi c'è laggiù.

L'abate guardò per un attimo, poi si batté una mano sulla fronte. — La signora Grales! Me ne ero dimenticato; è la sera in cui viene a ronzarmi intorno. Ha venduto i pomodori al refettorio delle sorelle, e adesso mi sta cercando di nuovo.

— Sta cercando voi? Era lì anche ieri sera, e anche la sera prima. Credevo che aspettasse qualcuno che le desse un passaggio. Cosa vuole da voi?

— Oh, niente, veramente. Ha finito di salassare le sorelle con il prezzo dei pomodori, e adesso vorrà regalarmi il guadagno in più per la cassetta delle elemosine. È un piccolo rito. Non mi importa il rito in sé. È quello che viene dopo che è triste. Vedrete.

— Dobbiamo tornare indietro?

— E offenderla? Sciocchezze. Ormai ci ha visti. Venite.

Tornarono a tuffarsi nella corrente di camion.

La donna a due teste e il suo cane a sei zampe aspettavano, con una cesta vuota, accanto alla porta nuova; la donna parlava sottovoce al cane. Quattro delle zampe del cane erano sane, ma il paio in soprannumero gli pendeva inutile dai fianchi. In quanto alla donna, una testa era inutile quanto le zampe in più del cane. Era una testa piccina, una testa cherubica, ma non apriva mai gli occhi. Non dimostrava di dividere la respirazione o l'intelligenza della donna. Dondolava inutile su di una spalla, cieca, sorda, muta, viva solo vegetativamente. Forse mancava del cervello, perché non mostrava segni di una coscienza o di una personalità indipendenti. L'altro viso era vecchio e grinzoso, ma la testa superflua conservava i lineamenti dell'infanzia, sebbene fosse stata indurita dal vento sabbioso e scurita dal sole del deserto.

La vecchia si inchinò al loro avvicinarsi, e il cane si tirò indietro, con un ringhio.

— 'sera, Padre Zerchi — cantilenò la donna, con forte accento dialettale — una bella serata a voi… e a voi, fratello.

— Oh, salve, signora Grales…

Il cane latrò, si arruffò, e cominciò una danza frenetica, fiutando le caviglie dell'abate con le zanne scoperte, per azzannare. La signora Grales colpì prontamente la bestia con il canestro delle verdure. I denti del cane lacerarono il canestro; il cane si rivoltò alla padrona. La signora Grales lo tenne a bada con il canestro; e, dopo aver ricevuto alcuni colpi sonori, il cane si ritirò e sedette, brontolando, sulla soglia.

— Priscilla è di ottimo umore — osservò piacevolmente Zerchi. — Deve avere i cuccioli?

— Domando perdono, vostro onore — disse la signora Grales — ma non è perché deve avere i cuccioli che è così, il diavolo se la porti!, ma è stata colpa del mio uomo. Ha stregato questa povera bestia, lui… proprio per il gusto di farlo… e lei ha paura di tutto. Chiedo perdono a vostro onore per la sua cattiveria.

— Non importa. Bene, buonanotte, signora Grales.