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— Sono al club. Sto facendo colazione.

— Stamattina arriva una navicella?

— Sì. Dovrei essere a riceverla tra una cinquantina di minuti, se faccio in tempo.

— Farai in tempo, e io verrò con te.

— Ma credevo… — Parma sembrava sorpreso.

— Per me è una faccenda molto importante, Felix. Puoi fare un salto al mio chalet, prendermi la valigia, poi raggiungermi qui col camioncino tra cinque minuti? — Carewe parlò con tono urgente. — Senza raccontare a nessuno quello che stai facendo?

— Penso di sì, Willy. Ci sono guai?

— Ti spiego dopo. Adesso parti.

Carewe rimise giù il comunicatore, scese dal letto. Cercò nell’armadio, ma dei suoi vestiti non c’era traccia. Restò a guardare dalla finestra finché non vide arrivare nello spiazzo centrale il camioncino di Parma. Lasciandogli il tempo di raggiungere l’ingresso principale dell’infermeria, Carewe corse alla porta della corsia e uscì. Mentre si avvicinava alla porta che dava sull’esterno, il polmone destro cominciò a ballonzolargli in petto, al ritmo dei suoi passi. Scese le scale, uscì senza essere visto e saltò sul camioncino che lo attendeva. Si sentiva sollevato, ma anche assurdamente irritato dal fatto che nessuno avesse notato la sua fuga.

— Non fraintendermi — disse Parma, e il suo fiato riempì la cabina dell’odore di birra. — Un po’ di movimento mi piace sempre, specialmente in un buco dimenticato da Dio come questo, ma tu non dovresti essere a letto?

— Andiamocene — disse Carewe, scrutando ansioso la porta dell’ospedale.

— D’accordo, però questa storia non mi va, Willy. — Parma tolse di colpo il piede dal pedale della frizione. Le ruote del veicolo affondarono un attimo nella sabbia, poi il camioncino, fra stridori di sospensioni e carrozzeria, partì. — E ti dico subito che per una fuga questo non è il mezzo ideale.

— Va bene lo stesso. — Carewe continuava a guardare la base, in cerca di indizi che gli dicessero che qualcuno si era accorto della sua scomparsa. La base sonnecchiava sotto i raggi potenti del sole. I soli uomini visibili erano due volontari in uniforme, immobili all’ombra di una tenda. Potevano essere gli stessi due che il mattino prima aveva visto nello stesso identico posto. Quando il camioncino li superò, sollevando nubi di polvere e foglie secche, nessuno dei due girò la testa.

— Tanto per sapere, cos’hai combinato? — chiese Parma. Il camioncino si lanciò sul sentiero e le pareti di alberi gli si chiusero attorno, attenuando la luce.

— Niente. Assolutamente niente.

— Vedo. — Parma era perplesso. — Te lo chiedo perché mi piace sapere in anticipo se mi ficco nei guai.

— Scusami, Felix. — Carewe capì di colpo fino a quale punto si stesse spingendo per lui un amico conosciuto solo da poche ore. — Non è che sto cercando di evitare una spiegazione. È che proprio non ho fatto niente, salvo disobbedire agli ordini del dottore.

— E perché sei tanto ansioso di vedere la navicella?

— Non voglio semplicemente vederla. Voglio salire a bordo e partire. — Carewe s’interruppe. — Pensi che si, possa fare?

— Che caldo — disse Parma, accigliato. — Dovevo portare un paio di birre.

— Allora? — insistette Carewe.

— Così mi metti davvero nei guai, Willy. Anch’io lavoro per la Farma… e l’addetto ai trasporti non dovrebbe far partire gente di nascosto assieme al carico.

— Non voglio partire di nascosto. Segna il mio nome sulla lista di consegna o quello che è.

Parma sospirò. L’odore della birra, mischiandosi a quello del sudore, divenne quasi asfissiante. — Cos’hai contro il volo in vertijet che ti ha prenotato il dottor Redding?

— Niente. È per questo che non voglio prendere il vertijet.

— Eh? — Parma imprecò: il camioncino aveva preso una buca, spostandosi di lato. Lo riportò al centro del sentiero.

— Alla base c’è qualcuno che sta tentando di uccidermi, e potrebbe arrivare al punto di mettere una bomba sull’aereo.

Parma scoppiò a ridere. I peli argentei della sua barba tremarono sulle guance venate di rosso. — Sei proprio una testa di rapa. Chi sarebbe che ha intenzione di ucciderti?

— Mi piacerebbe scoprirlo.

Willy, qui gli unici che hanno qualcosa contro di te sono gli ex primitivi che hai disattivato ieri, e quelli non possono nemmeno avvicinarsi alla base. — Parma sghignazzò, divertito.

Carewe si controllò. Era irritante scoprire che quella che per lui era una questione di vita o di morte negli altri produceva solo ilarità e scetticismo. — Questa storia è iniziata prima che io venissi qui — disse. — Ieri sera, un uomo è entrato in infermeria e ha cercato di pugnalarmi.

— Un sogno. Più che naturale, dopo quello che ti è successo al villaggio.

— Non era un sogno. Era vero. — Carewe descrisse minuziosamente l’uomo che lo aveva aggredito, e si accorse che il polmone, seguendo il ritmo irregolare degli scossoni del camioncino, gli sbatteva di continuo contro le costole. — Ti spiace andare più piano? Ho il polmone che mi si agita.

— Perbacco. — Parma rallentò, diede un’occhiata intensa al petto di Carewe. — Devi essere proprio deciso a fuggire. Non conosco nessuno che somigli alla tua descrizione, ma può darsi che si sia infiltrato alla base dall’esterno.

— È quello che pensavo anch’io… Allora, per la navicella? Mi fai salire a bordo?

Parma si grattò un attimo il naso rosso. — Mi piace come fai fuori una pinta, Willy, ma se non fosse per quello…

— Grazie, Felix. Dov’è la mia valigia? — Carewe strisciò nel retro del camioncino e si tolse il pigiama. La medicazione che aveva sul petto era piccola e fatta bene. Si vestì. Era appena tornato sul sedile passeggeri, quando il rombo di un motore a getto soffocò il ronzio discontinuo del camioncino. Un velivolo argenteo attraversò il cielo, puntò il muso verso l’alto e scomparve dietro gli alberi.

— Ecco qua la tua navicella. — È In anticipo — commentò Parma.

— Non credevo che facesse tanto rumore.

— Tutti gli apparecchi a decollo e atterraggio verticale sono rumorosi. E una caratteristica di costruzione, solo che in genere li senti salire o scendere in un campo tubolare. — Parma sbuffò forte. — E qui, nessuno si preoccupa di finezze del genere.

— E il pilota? Farà difficoltà?

— Non credo. — Parma guardò l’orologio. Era un vecchio modello a radio; però, Carewe fu costretto ad ammetterlo, funzionava in posti dove il suo tatuaggio restava inattivo. — Dovrebbe essere Colleen Bourgou. Quando vola su questa rotta, atterra sempre in anticipo per prendere il sole. La conosco molto bene.

— È la ragazza che mi ha portato qui?

— Già. Me n’ero dimenticato. — Parma gli tirò un colpetto al fianco. — L’hai notata, eh?

— Sì. — Carewe tornò indietro col pensiero, rivide la bionda che, con la massima indifferenza, si era tolta la camicetta di fronte a lui. Allora, Carewe aveva provato un misto di eccitazione e senso di colpa; ma non era niente, a paragone del desiderio scatenato che l’immagine del suo petto nudo accendeva in lui adesso. “Avevano proprio ragione sull’E-ottanta” si disse. “Non mi sono affatto disattivato.” Pochi minuti dopo, il camioncino emerse nel chiarore della radura d’atterraggio. La ragazza, che se ne stava già seduta sugli scalini, s’infilò di corsa la camicetta, con l’agilità di un animale della giungla. I due uomini colsero solo il bagliore vago della sua pelle abbronzata.

— Guardala là — sussurrò Parma e, per la prima volta, fece un accenno diretto al fatto che Carewe fosse un freddo. — Te la sei spassata per trenta o quarant’anni, Willy. Non hai rimpianti?

— Qualcuno — rispose Carewe, — ma forse non del tipo che pensi tu.