Si erano riscontrati anche abusi della biostasi a sfondo economico. Il caso più famoso restava quello di St. John Searle, il giovanissimo soprano che i genitori avevano reso immortale all’età di undici anni per il solo motivo che costituiva la loro unica fonte di guadagno. Quel fatto, e diversi bambini attori che conservavano troppo a lungo un aspetto infantile, avevano portato a una legislazione severissima e a stretti controlli sulla produzione e la distribuzione dei biostatici. I soli casi in cui la legge ammetteva la biostasi per i minorenni erano quelli di malattie incurabili. Bloccata la riproduzione delle cellule, il bambino malato veniva salvato da una morte prematura, però il problema morale restava, in quanto lo stato di malattia diventava perenne, immutabile. Anche se in seguito la scienza medica trovava un rimedio, il bambino immortale restava com’era, perché la struttura del suo fisico era stata cristallizzata per l’eternità.
Un altro problema era nato dall’uso dei biostatici sugli animali. Durante i primi periodi di produzione febbrile, quando alcuni industriali si costruirono una fortuna dal niente perché tutti tentavano disperatamente di sottrarre i propri ammalati alla morte, parecchie persone resero immortali i loro animali. In seguito, gli usi veterinari della biostasi erano, stati severamente limitati; ma le corse dei cavalli e altre attività affini in cui la vera età di un animale aveva un’importanza primaria ne erano state sconvolte. Grazie alla condizione di benessere assoluto che la biostasi induceva in un organismo sano, era scoppiata una vera e propria mania per la carne di ovini, bovini e suini immortali, mania che non era del tutto scomparsa nemmeno alla fine del ventiduesimo secolo…
Accorgendosi che qualcuno lo stava fissando, Carewe girò la testa. Il bambino che la donna teneva in grembo aveva scostato i lembi della coperta che lo avvolgeva, e la luce che filtrava dagli oblò illuminava la sua faccia rosea, da bambolotto. Due occhi azzurro oceano (intelligenti, eppure imprigionati in una psicosi eterna per l’incapacità infantile di distinguere fra l’ego e il mondo esterno) lo guardavano allegramente. Il piccolo protese una mano, e Carewe, istintivamente, si ritrasse. La donna notò la reazione e strinse più forte il bambino al seno. I suoi occhi scrutarono Carewe, in una sfida momentanea; poi lei si perse nella contemplazione degli orizzonti privati di un universo a cui ogni altro essere umano era estraneo.
“Ha sei mesi” pensò Carewe, in preda a un panico irrazionale. Il bambino dimostrava sei mesi, ma in realtà poteva avere la stessa età di Carewe. Lui restò ad ascoltare per qualche secondo il rombo dei motori, poi si alzò, in cerca di un sedile vuoto. L’unico sedile disponibile era quello accanto allo steward. Carewe vi si sedette, e cominciò a battersi un’unghia sui denti.
— Vi ha fatto effetto, eh? — Lo steward parlava in tono comprensivo.
— Chi?
Lo steward indicò la donna con un cenno della testa. — La signora Denier. L’Olandese Volante. A volte penso che dovremmo farle pagare biglietto doppio.
— La conoscete?
— Tutti quelli che lavorano sulla linea per Lisbona conoscono la signora Denier.
— Vola spesso? — Carewe cercò di non sembrare troppo interessato.
— Non spesso, però regolarmente. Ogni primavera. Dicono che lei e suo marito e il bambino siano stati coinvolti in un disastro su questa linea, anni fa. Il marito morì.
— Oh! — Carewe decise che non voleva saperne altro. Respirò a fondo quell’aria che sapeva di plastica e si mise a guardare fuori. L’aereo cominciava a muoversi.
— Lei ha fatto dieci anni di galera per avere disattivato il figlio, e da allora fa un volo su questa linea ogni primavera, regolarmente.
— Che storia macabra.
— Dicono che cerchi di rivivere il passato, oppure di ammazzarsi come il marito, ma io non ci credo. Probabilmente ha affari da sbrigare. Le donne non stanno a piangere per tanto tempo.
L’aereo raggiunse il centro del campo tubolare, e il rombo del motore crebbe d’intensità. Era il momento che Carewe detestava maggiormente: il velivolo iniziava la salita in verticale, e in caso di guasto ai motori non c’era né il tempo né la velocità sufficiente per salvarsi. Cercò di distogliere la mente dai pericoli del volo. — Non vi ho sentito — disse. — I motori.
— Ho detto che le donne non cullano rimpianti per tanto tempo.
— Cioè?
— La stima massima di cui ho sentito parlare è trent’anni. Ci credereste?
Carewe scosse la testa, ripensò all’acciaio logoro della fibbia. Il metallo non poteva essersi rovinato così tanto in trent’anni: L’aereo si lanciò verso l’alto, procedendo a strattoni; Carewe afferrò i braccioli della poltrona e si chiese se per caso non fosse quello l’anno destinato a soddisfare i desideri della signora Denier.
7
Era quasi sera quando la navicella delle Nazioniunì, partita da Kinshasa e diretta a nord in volo quasi balistico, passò sopra la città di Nouvelle Anvers e fece rotta verso una radura nella foresta.
Qualche ora prima, sull’aereo di linea da Lisbona, Carewe era rimasto a guardare, speranzoso, i pochi alberi e arbusti sparsi che conferivano un aspetto bucolico alla savana, a nord. Aveva solo un’idea vaghissima di dove si trovasse la squadra Primitivi con cui la Farma era in contatto, e se la base fosse stata in quella savana, che gli sembrava una sorta di parco naturale, i mesi a venire potevano essere accettabili, persino piacevoli. Ma le caratteristiche del paesaggio erano gradualmente cambiate. Adesso la navicella volava al di sopra di una foresta di sempreverdi che sembrava in grado di ingoiare, senza lasciarne traccia, ogni essere umano in generale, e Carewe in particolare. Il suo stato d’animo s’incupì, si sentiva più teso, quasi disperato. Avrebbe dovuto rinunciare all’idea pazzesca, melodrammatica di unirsi a una squadra Primitivi il mattino stesso in cui aveva rotto con Athene. Il servizio in quelle squadre era esclusivamente su basi di volontariato. Il fatto di non partire avrebbe lasciato Athene ancora più indifferente della decisione di andare in Africa. Era tipico del carattere di Carewe piegarsi in situazioni che esigevano risolutezza, e invece assumere una rigidità illogica quando il buonsenso gli suggeriva di seguire la direzione del vento.
Mentre la nave scendeva nell’aria tranquilla e giallastra, Carewe notò, pochi chilometri a nord, un temporale stranamente localizzato. Prima che gli alberi si alzassero di colpo dal terreno, bloccandogli la visuale, ebbe il tempo di frugare con gli occhi il cielo più in alto e di scoprire lo scintillio impalpabile dei campi di controllo meteorologico. La nave atterrò all’interno della radura. I motori si spensero. Lui slacciò la cintura di sicurezza, si alzò e seguì fino all’uscita gli altri quattro passeggeri, tutti attivi barbuti e taciturni. I quattro scesero sull’erba. Ad attenderli c’era un veicolo che ripartì subito verso un’apertura tra gli alberi. Carewe si sentì completamente perso. Stava guardando fuori dal portello, incerto, assaporando quell’aria umida e aliena, quando il pilota spuntò dalla cabina di guida. Era una donna, una bionda robusta che indossava l’uniforme delle Nazioniunì. Guardò Carewe con una simpatia dolce di cui lui le fu profondamente grato.