Carewe indicò con la testa la fila d’alberi. — Sapete dirmi dove trovo il più vicino avamposto di civiltà?
— Di che ditta siete? Della Farma? — Dall’accento, la ragazza sembrava australiana o inglese.
— Della Farma — rispose lui, e il suono di quel nome familiare in un ambiente estraneo lo rassicurò un poco.
— Allora non preoccupatevi. Adesso arrivano. Ho portato provviste per loro. Prendetevela calma, per adesso. L’umidità, qui, riduce a pezzi in fretta. — La ragazza diede un’occhiata alla faccia glabra di Carewe, poi si tolse la camicia. Apparve un petto leggermente muscoloso ma molto femminile. — La settimana prossima mi sbattono nel Nord Europa, così cercherò di fare scorta di vitamine D, già che ci sono. — Gettò la camicia su un sedile e andò ad accomodarsi sugli scalini della navicella. Respirava a fondo, come per esporre il più possibile il seno al sole.
Il cuore di Carewe cominciò a battere forte. Non aveva ancora previsto tutte le conseguenze del fingere di essere freddo. In quegli anni, il costume era tornato contrario alla nudità femminile, seguendo uno dei soliti ritmi ciclici; però, quando si trovava in presenza di maschi inattivi, la maggioranza delle donne tendeva a trascurare i tabù sessuali.
— Io resto dentro — le disse. — Mi scotto subito. — Si rimise a sedere, sorpreso per le sensazioni intensissime che una ragazza non particolarmente attraente scatenava in lui. L’interno della navicella diventò tiepido. Chiuse gli occhi. Provava un senso di colpa per aver ingannato la ragazza, e doveva essere stato quello il catalizzatore…
Il rumore della portiera del camioncino che sbatteva lo risvegliò dopo un tempo indeterminato. Scese a terra. La ragazza si era rivestita e stava chiacchierando con un uomo piccolo che aveva spalle robuste, da sollevatore di pesi. La sua pancia obesa si protendeva in fuori, sotto la stoffa leggera dell’uniforme delle Nazioniunì. L’uomo aveva pochi capelli grigi, ma una barbetta argentea stava a indicare che era ancora attivo.
— Sono Felix Parma, addetto ai trasporti — tuonò rivolto a Carewe, con accento scozzese. — Chiedo scusa per il ritardo. Il computer mi aveva informato del vostro arrivo, ma credo di aver dormito troppo. Serata dura, ieri.
— Tutto a posto. — Carewe fece un passo avanti, strinse la mano tesa di Parma, fin troppo conscio che gli occhi blu dell’altro lo stavano scrutando a fondo. L’uomo emanava un odore dolce, familiare, di sudore; però Carewe si risentì all’idea che la ragazza si fosse rimessa la camicia per colpa sua. — Avete lavorato fino a tardi, ieri sera?
Parma rise e mimò in fretta i gesti rituali di una bevuta. Carewe notò che la sua faccia era piena di venuzze. — Voi ve lo fate un goccio, ogni tanto?
— A volte succede. In rare occasioni. — Carewe capì che cominciava già ad affezionarsi a quell’attivo malconcio che era sbucato dall’ignoto e gli aveva parlato col linguaggio che lui comprendeva. Non arrivava a immaginare perché mai Parma fosse giunto al punto di ridursi “in quello stato” senza disattivarsi, ma era chiaro che quell’uomo poteva essere un amico, nelle cose più essenziali.
— Mai stato in Africa?
— No.
— Allora questa è un’occasione rara, William. Non ti pare?
— Rara come poche. — “Perché mai Athene ha fatto una cosa del genere?” si chiese in un lampo.
— Allora si beve — annunciò Parma, con l’aria di chi abbia preso una decisione impegnativa. — Dammi una mano con queste scatole.
Carewe lo aiutò a trasportare dalla navicella al camioncino diversi contenitori in lega metallica, mentre la ragazza, seduta sugli scalini, si sistemava i capelli. Si chiese se anche quel gesto fosse a esclusivo beneficio di Parma: in un mondo in cui le donne erano tanto più numerose dei maschi attivi, aveva visto coppie anche più bizzarre. Quando ebbero finito di scaricare, Parma salutò la ragazza con la mano e saltò dietro il volante.
— Andiamo, William — mormorò. — È una bella pollastra, ma qui perdiamo tempo per la bevuta. — Mise in marcia. Sobbalzando, deviando di continuo, partirono nella radura.
Girandosi a dare un’ultima occhiata alla ragazza, Carewe notò di nuovo, a chilometri di distanza, quel temporale stranamente concentrato: una colonna di grigi polverosi e porpora abbacinanti che si stagliava contro il sole al tramonto, simile alla nube di un’esplosione atomica.
Sfiorò il braccio di Parma e puntò l’indice. — Cosa sta succedendo laggiù?
— È il nostro campo d’operazione, William. — Il camion si avventò su una strada già in ombra, scavata fra gli alberi impassibili. — Lavoriamo lì.
— Non capisco. Scendendo, ho visto i campi d’energia del controllo meteorologico, ma… Deve costare una fortuna risucchiare tutta quell’acqua dall’Atlantico.
— Ne vale la pena, William. Il temporale si sfoga esattamente sul villaggio dei primitivi. Da tre settimane. Ufficialmente rientra nel programma di riduzione dell’umidità di questa zona dell’Africa, ma non è questo il vero motivo per cui lo hanno creato.
— Tre settimane? Senza nessuna interruzione? — Carewe provò un vago sgomento. — E che effetto fa a quelli che ci stanno sotto?
— Li inumidisce. E li fa diventare più buoni. — Parma rise, sputò dal finestrino.
— E li fa star male.
— E li fa star male — ammise subito Parma. — Se tu fossi pratico del mestiere, capiresti che vantaggio sia avere a che fare con primitivi malridotti. Ecco perché c’è il temporale.
— Dovrebbero esistere metodi migliori.
— Infatti esistono. I gas, le armi chimiche. Sarebbero molto più pulite, veloci ed economiche, ma la Convenzione di Helsinki ci lega le mani. Vedi, William, uno di quei primitivi può ucciderti senza che nessuno dica niente; ma se solo fai un graffio a uno di quelli con una bomba, sei nei guai. — Parma accese i fari, per diradare le tenebre che scendevano in fretta, e gli alberi parvero infittirsi. — Hai mai visto un morto?
— No, naturalmente — rispose in fretta Carewe. — La pioggia li demoralizzerà, immagino.
— Appunto. Un gruppetto di quei matti decide di staccarsi dalla tribù e di tornare allo stato selvaggio. Si costruiscono un villaggio tutto loro e si danno alle razzie. Per un po’ tutto fila liscio. Poi gli immortali della zona, che non sono stupidi, si stufano e vengono a lamentarsi con noi. Però noi non ci lanciamo alla carica, non li riempiamo di botte. Non più. La prima cosa di cui si accorgono i nostri pelosi primitivi è che di colpo il clima diventa umidissimo, e dopo qualche settimana di piogge continue nella stagione secca, cominciano a pensare di aver offeso qualcuno nelle alte sfere. Dopo di che, in genere è facile convincerli a entrare nella grande società baldracca.
Carewe scrutò il profilo di Parma, un moderno Hemingway. — Ma tu da che parte stai?
— Non sto dalla parte dei primitivi, questo è certo. Non m’importa che scelgano una vita breve ed eccitante, piena di sangue e sperma e sudore e roba del genere, però non dovrebbero uccidere l’altra gente, William. È molto sbagliato che uccidano. Tanto sbagliato da giustificare uno stravolgimento del loro ambiente naturale.
In lontananza, al termine della strada dritta come una freccia, cominciarono ad apparire luci. — Per lo meno — disse Carewe, — la Convenzione di Helsinki non prevede che il controllo meteorologico possa essere un’arma.